Perché le startup italiane non riescono a crescere. Un report fotografa bene la situazione
I principali indicatori del rapporto Scaleup Italy di Mind the Bridge
di ARCANGELO ROCIOLA 05 febbraio 2018,11:01
(agi.it)
L’Italia è l’undicesima nazione in Europa sia per numero di startup che sono riuscite a diventare aziende solide, sia per capitali raccolti da queste aziende per poter crescere. Ultima tra le grandi nazioni europee, ma indietro anche a mercati molto più piccoli, come la Svizzera o l'Irlanda. E pesa soprattutto l’eredità culturale delle piccole e medie imprese, che non possono essere declinate sul modello delle startup.
È la fotografia che è emersa nel report “Scaleup Italy” di Mind The Bridge, redatto con i dati dell'associazione Startup Europe Partnership e presentato durante lo Startup Day organizzato da Agi il 5 febbraio a Roma. Il rapporto racconta una situazione di stallo che oramai va avanti da molti anni, e che rischia di peggiorare.
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Perché se oramai Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna risiedono stabilmente nella parte alta della classifica, l’Italia scivola a metà, lontana dai miliardi di investimenti degli altri Paesi, e dalle loro politiche per l'innovazione diventate un modello per far crescere ecosistemi imprenditoriali digitali.
"Cosa ha che non va l'Italia? Si muove troppo lentamente"
“Cosa ha che non va l’Italia? È che si muove troppo lentamente”. Comincia con una citazione il report presentato dal presidente di Mind The Bridge Alberto Onetti. È di un giovane imprenditore italiano, Augusto Marietti, che ventenne ha lasciato l’Italia con in tasca un progetto di impresa e che in Silicon Valley è diventato un’azienda che ha raccolto 18 milioni di dollari da uno dei principali investitori di Facebook, Linkedin e Twitter: Andreessen Horowitz. E quella frase, la sua storia, sono una rappresentazione plastica di quello che manca in Italia: capitali abbastanza coraggiosi da investire nelle nuove idee di impresa. 110 milioni appena gli investimenti nel 2017, contro i 3,7 miliardi della Gran Bretagna, i 2,7 miliardi della Francia e i 1,1 della Germania.
Perché le startup italiane non riescono a crescere. Un report fotografa bene la situazione
Per Scaleup Onetti intende le startup che hanno raccolto da uno a 100 milioni di investimento e che abbiano un fatturato nella stessa forchetta. In Europa ce ne sono circa 4.200, racconta il report. Il contributo dell’Italia è di 135 startup con queste caratteristiche, mentre 1.412 sono le britanniche, 442 le tedesche, 513 le francesi, 207 le spagnole.
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E se negli ultimi sette anni le nostre hanno raccolto 900 milioni, le britanniche hanno raccolto 20,2 miliardi, le tedesche 10,1 miliardi, le francesi 6,6 miliardi, le spagnole 2,8 miliardi. Senza contare Paesi come la Svezia, l’Olanda, la Danimarca, l’Irlanda e la Finlandia o la Svizzera, che pur avendo mercati molto inferiori a quello italiano, che è tra le nazioni più popolose d’Europa, investono cifre stabilmente sopra il miliardo di euro.
“Ma il vero problema dell’Italia è che andiamo a velocità di crociera, mentre gli altri corrono”, ha spiegato Onetti. “I nostri investimenti nell’economia delle startup sono semplicemente insufficienti. E non si può pensare di raggiungere gli altri che sono in testa se si va ad una velocità inferiore”.
Il rapporto di Mind The Bridge oltre ad aver fotografato il caso Italia, indaga anche delle possibili cause della lentezza del nostro ecosistema delle imprese innovative. Che ci sono, sono ottomila, almeno secondo i dati del ministero dello Sviluppo. Ma non crescono.
L'eredità culturale delle Pmi
Sembra infatti, spiega il report, che l’Italia si sia portata dietro l’idea delle piccole e medie imprese anche quando si parla di startup, senza abbracciare fino in fondo questo nuovo modo di intendere l’economia. “Da questo punto di vista, più tardi si comincia [a cambiare prospettiva su queste imprese], inferiori saranno i risultati”. Anche quando si tratta di diventare grandi infatti, le startup italiani restano di taglio medio piccolo. L’86% ha raccolto dei finanziamenti che va tra l’uno e i 10 milioni di euro. 16 hanno raccolto tra i 10 e i 50 milioni, solo due più di 50.
Eppure la situazione sembra cominciare a cambiare: “La nostra analisi suggerisce che negli ultimi 12 mesi per quanto riguarda le scaleup l’Italia ha fatto bene, con un aumento del 22% dei volumi e del 26% del capitale raccolto”. Un aumento che si lega a quello del 36% del 2016. Qualcosa quindi sembra muoversi. Ma quello che di buono c’è, viene soprattutto da quelle aziende che vanno all’estero a cercare investitori: prodotti italiani che cedono quote di mercato a investitori esteri per crescere. L’80% di queste va negli Usa, il 20 in Uk.
Male, ma molta energia. "Servono le ali"
Le scalup in Italia per il 42% sono a Milano. Roma, Cagliari e Napoli sono le città che ne hanno di più, mentre il 52% risiede lontano dalle aree metropolitane.
Per quanto riguarda il mercato delle exit, ovvero quelle aziende che sono state vendute, ricompensando gli investimenti fatti da venture e business angels, l’Italia resta ancora lontana dal resto d’Europa. Sono 36 le operazioni di acquisizione fatte nel 2016, quasi la metà di queste startup (45%) sono state comprate da altre aziende italiane.
Ma al netto di una situazione ancora di stallo, il rapporto di Mind the Bridge racconta di un ecosistema ancora fragile, ma vivo: “L’Italia ha fatto enormi progressi negli ultimi anni”, conclude Onetti. “Solo con 5-10 anni fa il paragone risulterebbe impietoso. Oggi si può respirare una vibrante energia imprenditoriale in tutta la Penisola. Bisogna dotarla di ali, per volare”.