La politica dei redditi
(appunti tratti da Corso di economia politica di Franco Poma, Principato editore, pag.387/388)
E’ l’accordo tra le Parti sociali (Associazioni degli imprenditori e sindacati dei lavoratori), con la mediazione del Governo, al fine di limitare l’aumento dei prezzi, attraverso il contenimento dei salari, dei profitti e degli altri redditi, che vanno mantenuti entro limiti compatibili con la stabilità monetaria.
La politica dei redditi si realizza stabilendo un legame fra i salari e la produttività media del lavoro: in pratica le parti sociali concordano di attenersi alla regola secondo cui l’aumento dei salari monetari non deve superare l’aumento della produttività del lavoro.
Se tanto i salari monetari che la produttività aumentano nella stessa misura percentuale, le imprese non hanno aggravio di costi e quindi i margini di profitto restano immutati a parità di prezzo di vendita. Ovviamente, un accordo di questo tipo presuppone che le parti sociali considerino soddisfacente l’attuale distribuzione del reddito. Se invece una delle due parti desidera aumentare la propria quota di reddito, la politica dei redditi viene rifiutata in quanto misura conservatrice della situazione esistente.
La politica dei redditi si presenta come un’autolimitazione delle diverse categorie sociali al fine di evitare la morsa dell’inflazione. Si vede però chiaramente che il carico maggiore di tale politica è posto sui lavoratori, anche per il fatto che la dinamica salariale è molto più controllabile di quella dei profitti. Per questa ragione la politica dei redditi non è sempre stata accettata dai sindacati.
Perché possa essere accettata dai lavoratori, dovrebbe essere accompagnata da altri provvedimenti di salvaguardia, come:
a) L’uso della leva fiscale per colpire i redditi più alti
b) La riduzione del carico fiscale e previdenziale sui salari
c) Il controllo dell’evoluzione degli altri tipi di reddito, in particolare dei profitti e della rendita
La politica dei redditi, teorizzata da Ugo La Malfa e applicata dai governi di centro sinistra degli anni sessanta e dal governo di unità nazionale degli anni settanta, ha trovato la sua più forte applicazione con gli accordi di luglio del 1992 e del 1993, accordi conclusi con la mediazione di due Presidenti del Consiglio a capo di Governi tecnici(Ciampi e Amato). Grazie a tali accordi l’Italia ha potuto presentarsi come un paese virtuoso nel raggiungimento del parametro di Maastricht relativo al tasso di inflazione, che è effettivamente sceso a livelli accettabili.
Negli anni più recenti la politica dei redditi è stata abbandonata, a favore dei temi della flessibilità del lavoro e della partecipazione dei sindacati dei lavoratori alla politica e agli utili dell’impresa. (* Quest'ultima parte in Germania, non certo in Italia!!!)
Nel nuovo secolo si è assistito ad un aumento del divario, sia a livello mondiale che a livello nazionale, tra salari e profitti, con una perdita di otto punti percentuali di Pil per i salari e un aumento di 8 punti percentuali di pil per profitti.
Gli stipendi dei manager, sia pubblici che privati, sono aumentati a dismisura, nel silenzio dei sindacati e dei Governi. A titolo di esempio, alla Fiat, lo stipendio dell’amministratore delegato Valletta era superiore di 20 volte a quello dei suoi operai, oggi la remunerazione di Marchionne supera di 430 volte quella dei suoi operai, in ciò non discostandosi da quella di altri manager.
Le disuguaglianze nei redditi sono aumentate e c’è da chiedersi se ciò non dipenda in larga misura dalle mutate politiche economiche, di stampo neoliberista, attuate dai Governi negli ultimi trent’anni.(Si veda La coscienza di un liberal di Paul Krugman)