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Ma Renzi “si deve caca’ sotto” o no?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Ma Renzi “si deve caca’ sotto” o no?

Messaggioda ranvit il 11/05/2016, 10:11

Ma Renzi “si deve caca’ sotto” o no?
Tutto può succedere, ma che c’azzeccano le sfide di Roma, Torino, Milano, Napoli, Cagliari con la partita nazionale? Nulla. Le amministrative: cronaca anticipata di una non rivoluzione ordinaria (ah, ricordate gli arancioni?)
di Claudio Cerasa | 11 Maggio 2016 ore 06:17


Si vota tra venticinque giorni, si vota in mezza Italia, si vota in 1.368 comuni, si vota nel 17 per cento delle amministrazioni italiane, si vota a Torino, a Milano, a Cagliari, a Roma, a Napoli, a Bologna, a Trieste, a Ravenna, a Salerno, a Novara, a Latina. Si vota per esprimere il consenso di un pezzo di paese su vari candidati sindaco, i Sala e i Parisi, i Fassino e gli Appendino, i Raggi e i Giachetti e i Marchini, i De Magistris e le Valente, ma secondo qualcuno, gulp, si vota in realtà per esprimere un consenso più generale, più grande, più definitivo, sul sindaco d’Italia, ovvero Matteo Renzi. A meno di un mese dal primo turno delle amministrative, alcuni tratti delle varie campagne elettorali indicano però che, come spesso accade quando si vota per i comuni, trovare un unico comun denominatore nelle varie partite locali è particolarmente dura, forse impossibile, e non c’è una sola delle grandi città al voto che riproduce con fedeltà quello che sarà lo schema elettorale quando si andrà a votare a livello nazionale (noi diciamo il prossimo anno, dopo il congresso del Pd, ma chissà). Non è un modello Roma perché nella Capitale, una città fallita reduce da due amministrazioni a loro volta fallimentari, segnata da un’inchiesta che ha stampato il bollino “mafia” sulle casacche dei partiti di governo spianando la strada agli outsider lontani dai partiti “mafiosi”, lo schema di gioco presenta una frammentazione che non ci sarà a livello nazionale e sarà difficile un domani ritrovarsi con un Berlusconi più vicino a Renzi che a Salvini, con un candidato del centrodestra che rivendica le sue origini partigiane, con una candidata grillina cresciuta nella scuola Previti che vuole combattere i poteri forti con il consenso dei poteri forti, con un candidato della sinistra che non riesce a presentare i moduli giusti per correre alle elezioni (Podemos? ’Ndannamos) e con un candidato del Pd che ogni giorno non perde occasione per dimostrare ai suoi elettori di non aver proprio nessuna voglia di fare campagna elettorale.

Non è un modello Roma, evidentemente. Ma non è neanche un modello Napoli, con un sindaco più grillino dei grillini (i grillini, intanto, a Napoli hanno candidato un non napoletano che di cognome fa Brambilla) che invita Renzi a “cacarsi sotto” e ad “avere paura” e che viene da un partito (Idv) il cui massimo esponente oggi zappa la terra in Molise (Di Pietro) e che fa parte di un movimento (la rivoluzione arancione) che cinque anni fa avrebbe dovuto conquistare l’Italia (“scassiamo tutto”) salvo incidentalmente ritrovarsi cinque anni dopo con molti colleghi di quella rivoluzione (Pisapia) pronti ad allearsi con il candidato del partito guidato dal premier che “si deve caca’ sotto”. Non è un modello Napoli, evidentemente, ma non è un modello neanche Cagliari, con un sindaco di centrosinistra, Zedda, tessera numero due del partito dello scassiamo tutto, iscritto a Sel, sostenuto a Cagliari dallo stesso partito guidato da un premier che il segretario di Sel, Vendola, considera un pericolo per la democrazia. Non è un modello Cagliari, evidentemente, ma non è un modello neanche Torino, da molti punti di vista, perché la sfida tra il Partito della nazione guidato da Piero Fassino e il Partito dell’altra nazione guidato da Chiara Appendino potrà essere anche suggestivo ma difficilmente si potrà trasformare in, semplifichiamo, “quello che potrebbe succedere alle prossime elezioni in caso di sfida tra Renzi e il Movimento 5 stelle”: banalmente perché Piero Fassino non è Matteo Renzi, perché il centrodestra (che a Torino non esiste) nel resto d’Italia esiste, perché Torino non è l’Italia e perché ogni elezione locale fa storia a sé. Lo stesso si potrebbe dire di Milano, città che amiamo alla follia, dove i due candidati sindaco – Beppe Sala e Stefano Parisi, che il Foglio intervisterà, nel corso del loro primo incontro pubblico organizzato da questo giornale, venerdì 20 maggio a Milano al Teatro Parenti – sono due candidati atipici, non solo per essere espressione di un centrosinistra riformista e di un centrodestra moderato che si fa fatica a individuare in tutto il resto d’Italia e non solo per essere un caso originale di un candidato di centrodestra con sfumature più di sinistra di quello di centrosinistra, e viceversa, ma anche perché il modello Milano, città a suo modo unica e disgraziatamente diversa dal resto d’Italia, è drogato in positivo dall’essere un comune del tutto degrillizzato e dunque, al momento, non in linea con quanto succede nel resto dell’Italia. Comunque andranno a finire, sia in caso di vittoria di Renzi sia in caso di sconfitta del premier, le elezioni comunali, a voler essere onesti, sono da sempre, tranne l’eccezione del 1993 con i sindaci eletti sull’onda di un ricambio della classe dirigente generato dall’introduzione di un nuovo sistema elettorale, lo specchio di un paese che esiste solo nel suo contesto locale. E nella storia recente italiana e non solo (pensate a quante città ha conquistato Podemos un anno fa, Barcellona e Madrid, e pensate ora alla faccia depressa del compagno Iglesias) sono frequenti i casi in cui è stato dimostrato che le amministrative riescono a mobilitare con più facilità un elettorato desideroso più di sanzionare che di premiare chi governa il paese (se le elezioni di cinque anni fa fossero state un’anticipazione di quello che sarebbe dovuto succedere alle successive politiche, al giro successivo avremmo avuto come premier Luigi de Magistris, come vicepremier Nichi Vendola, come ministro alla Trattativa Antonio Ingroia, come ministro all’Agricoltura Antonio Di Pietro e come ministro ai Rapporti con le procure Henry John Woodcock).

Tutto può succedere, naturalmente, e non dubitiamo che il dato sull’affluenza, le preferenze dell’Appendino, i consensi della Meloni, gli scassiam’ di De Magistris avranno riflessi definitivi sul destino del paese – e non dubitiamo che qualcuno, come ha ripetuto anche ieri Silvio Berlusconi, proverà a trasformare il voto delle amministrative “in un avviso di sfratto al governo e un primo passo sul percorso per il referendum sulla Costituzione dove vincerà assolutamente il no”. Tutto può succedere, certo, ma prima di dire che i voti di Sala e di Parisi, di Fassino e di Appendino, di Raggi e Giachetti e Marchini e De Magistris e Valente serviranno a capire quale sarà l’inevitabile ventura del paese fate un bel respiro, pensate a che fine ha fatto il movimento Arancione (nato nel 2012, sostenitore della lista Rivoluzione civile di Antonio Ingroia nel 2013, tornato a zappare la terra nel 2016) e pensate se davvero le storie dei Nogarin, delle Raggi e delle Podemos italiane sono le tracce giuste da seguire per capire, senza possibilità di errore, se c’è qualcuno pronto a far cagar sotto Renzi e in definitiva, come si dice, a scassare l’Italia.
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http://www.ilfoglio.it/politica/2016/05 ... e_c222.htm
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Re: Ma Renzi “si deve caca’ sotto” o no?

Messaggioda mariok il 11/05/2016, 10:42

Staino: Cuperlo e gli altri?
Con Togliatti sarebbero già in Siberia

Il disegnatore satirico: «Fossi in Renzi, sarei più modesto. C’è una altissima percentuale di probabilità che perda il referendum. Sta rischiando grosso»

«Il Pd è diventato una porcilaia».
Ma come, Staino? Il Partito democratico una porcilaia?
«Ma sì, sono molto preoccupato. Si è perso il dna del nostro essere di sinistra».
Renzi vira troppo a destra?
«No, sto parlando della sinistra dem. Gente come Cuperlo dovrebbe avere lo stile di Berlinguer. Invece sono i peggiori: hanno distrutto il dialogo».
Loro dicono che l’ha distrutto Renzi il dialogo.
«Con Fassina che minaccia: o cambiate questo articolo o me ne vado? Avessero fatto così negli anni Cinquanta, con Togliatti, sarebbero già in Siberia».
La minoranza fa la minoranza.
«Se sei minoranza devi essere responsabile. E invece Cofferati ha buttato la Liguria in braccio ai leghisti e ora si prende le maledizioni».
Anche lei è spesso sotto accusa.
«Cos’è questa rabbia, questa cattiveria? Ci son compagni che mi trattano da fascista, ma che roba è?».
È considerato «renziano».
«Si è arrivati a usare l’aggettivo renziano come sinonimo di merdoso, traditore, figlio di puttana. Ma perché? Io non sono renziano, come non sono stato prodiano, pur avendo appoggiato Prodi. Ma c’è qualcosa di meglio a sinistra di Renzi? Preferite Salvini o Grillo? Io scelgo Renzi, dov’è l’assassinio, dov’è il tradimento?».
L’alleanza con Verdini?
«Renzi si sarà pure venduto a Verdini, ma il primo a chiamare i Cecchi Gori, i Mastella, i Di Pietro, personaggi ambigui e tremendi, è stato D’Alema».
Che ora non ha ruoli.
«Ma è lì come un avvoltoio, non vede l’ora di tornare. Non lo voglio, serve gente nuova, cervelli nuovi, anime nuove».
Il nome Verdini a lei non provoca nessun fremito?
«Abbiamo storie diverse, ma non mi scandalizzo se cerchiamo i suoi voti. Abbiamo avuto Dini al governo. Dini!».
Per il ministro Boschi chi vota no al referendum vota come CasaPound.
«Avrebbe potuto dire: “Per voi, chi vota sì è come Verdini; io potrei dire lo stesso di chi vota no, che è come CasaPound. Ma non lo dico”».
L’Anpi, comunque, non l’ha presa bene.
«L’Anpi sta utilizzando il nome sacrosanto dei partigiani per fare una politica bertinottiana, rifondarola».
E Renzi?
«Fossi in lui, sarei più modesto. C’è un’altissima percentuale di probabilità che perda il referendum. Sta rischiando grosso».
Lei voterà a favore?
«Certo, rischiamo di finire nella spazzatura della destra europea. Vogliamo darci altre martellate sulle cosce? È una pazzia».
Giachetti le piace?
«È serio, modesto e radicale. Con il Vaticano qui, aiuta».
E Sala?
«Avrei preferito un altro. Ma quando si è imbecilli come a sinistra, che si moltiplicano i candidati, poi si perde. E allora ciucciatevi Sala».
Il Pd ha subito una mutazione genetica?
«Fassino e D’Alema hanno fatto il Pd perché pensavano di mangiarsi la Margherita. E invece sono stati mangiati».
Anche Veltroni?
«Tanto di cappello. Almeno ha lasciato davvero. E ha scritto bei libri e bei film. Non vedo l’ora che se ne vadano Bersani e soprattutto D’Alema».
L’accuseranno di essere sdraiato.
«Le mie vignette non sono sdraiate. E neanche l’Unità. Fossi direttore, un provocatore come Rondolino non lo prenderei. Ma perché Cuperlo ha rifiutato la direzione de l’Unità? Te la sei fatta addosso, Gianni? Troppo comodo».
Alessandro Trocino
10 maggio 2016 (modifica il 10 maggio 2016 | 23:28)
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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Re: Ma Renzi “si deve caca’ sotto” o no?

Messaggioda ranvit il 11/05/2016, 11:49

E' la prima volta che sono d'accordo con Staino! :roll: :D

Non concordo solo con l'invito a Renzi di essere piu' modesto....se lo fosse se lo mangerebbero vivo!
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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