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Siamo in guerra?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 09/12/2015, 13:17

A parte una poco realistica santificazione della Russia di Putin la cui azione è stata innegabilmente efficace e decisa ma che i suoi sporchi interessi li ha anche lei, è sicuramente vero che l'America sta coprendo gli altrettanto sporchi interessi della Turchia o meglio della famiglia Erdogan.
L'IS fa comodo ad Erdogan per i traffici di petrolio e non dimentichiamolo in funzione anti curda.

Il fatto che la Turchia sia un prezioso alleato della NATO non può essere una giustificazione per permetterle di trasformarsi in una scheggia impazzita in un quadro già più che problematico; in una situazione in cui la coscienza dell'America è già sporca per l'appoggio all'altra mafiosissima cosca che si chiama Arabia Saudita.

Proprio un bel quadretto.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda mariok il 09/12/2015, 13:47

Quindi la posizione dell'Italia, in questo quadro, sembrerebbe la più saggia possibile.

Denunciare esplicitamente l'alleato americano sarebbe da irresponsabili, ma rifiutarsi di impegnarsi ulteriormente "senza una chiara strategia condivisa" (parole che, sia pure in modo diplomatico, suonano come una critica anche agli USA) mi sembra più che giustificato, anche alla luce dei vaneggiamenti di cui un po' tutti stanno inondando i media, sia sul fronte dei celoduristi alla Salvini che di quello trattativista dei 5 stelle.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda flaviomob il 09/12/2015, 14:18

L'Italia ha sempre una strategia intramontabile: vendere armi e cercare di capire chi vince.


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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda trilogy il 10/12/2015, 12:59

A me la posizione del governo sembra discreta, tenuto conto della confusione che regna sul piano internazionale.
E' pieno di gente che bombarda non si capisce con quali prospettive; ci aggiungiamo al gruppo tanto per fare numero?
Mi sembra che l'Italia stia cercando di riannodare il filo di un dialogo tra i paesi dell'area, e se vuoi farlo con un minimo di credibilità devi stare un po' in disparte:

[..]Il Mediterraneo torna al centro dell'agenda internazionale. Riparte dalla «Conferenza MED 2015 - Mediterranean Dialogues, organizzata dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e l'Istituto per gli Studi di Politica internazionale, che si apre oggi pomeriggio a Roma (fino al 12 dicembre) il tentativo di mettere attorno a un tavolo leader politici, economici, della sicurezza,della cultura e dei media e fare così il punto sulle crisi in atto nell'area e gettare le basi per »un'agenda futura che sia positiva[..]

http://www.ilmessaggero.it/primo_piano/ ... 01055.html
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda flaviomob il 11/12/2015, 12:15

Io credo molto più pragmaticamente che il governo italiano sia terrorizzato dalla possibilità di un attentato, specialmente durante il giubileo, e quindi si mantenga molto defilato per non svegliare "il can che dorme".

__

http://www.dinamopress.it/news/la-colum ... -con-lisis

La Columbia University inchioda la Turchia: “Collabora con l’ISIS”

di Luca Cafagna

Ultima modifica il Venerdì, 11 Dicembre 2015 07:32

In un rapporto pubblicato a settembre ma ignorato finora in Italia, l'università statunitense denuncia i rapporti tra il governo di Ankara, Daesh e Al Nusra: armi, mezzi e denaro come sostegno ai gruppi terroristi. E spunta un piano per invadere la Siria

La Turchia sta concretamente supportando l’attività dell’ISIS e di Al-Nusra in Siria attraverso un aiuto tecnico, logistico e sanitario. È quanto sostiene David L. Phillips, direttore del Program on Peace-building and Rights del Columbia University’s Institute for the Study of Human Rights in una ricerca diffusa lo scorso settembre dal sito americano dell’Huffington Post. Negli scorsi mesi vi hanno preso parte ricercatori provenienti degli Stati Uniti, dall’Europa e dalla Turchia, con il compito di esaminare i media turchi e internazionali per valutare la credibilità delle accuse. Sono state prese in esame una serie di fonti internazionali – il New York Times, il Washington Post, il Guardian, il Daily Mail, la BBC, Sky News – e turche, tra cui CNN Turk, Hurriyet Daily News, Taraf, Cumhuriyet, e Radikal.

Il testo è ora consultabile grazie al portale UIKI Onlus che ne ha reso disponibile una traduzione italiana. Nell’articolo si mettono in fila le singole accuse mosse nei confronti del governo di Erdogan, confrontandole con le notizie pubblicate dai media su ogni singola questione. Si passa dalla collaborazione militare al trasferimento di armi, dall'assistenza finanziaria a quella sanitaria.

Il rifornimento di armi all’ISIS

Secondo il Vice Presidente del Partito Popolare Repubblicano turco (CHP), Bulent Tezcan, il 19 gennaio del 2014 tre camion sono stati fermati nella città di Adana per un’ispezione. I camion erano stati caricati all’aeroporto Esenboga di Ankara. Gli autisti avevano portato i camion nei pressi del confine, dove agenti dei servizi segreti turchi avrebbero dovuto prenderli in consegna e portarli in Siria per consegnare il carico all’ISIS e ad altri gruppi affini. Tezcan descrive una situazione in cui queste operazioni formano una strategia di sostegno sistematico. Delle volte i camion vengono fermati ai controlli, ma gli agenti del MIT (l'Agenzia di Intelligence Nazionale della Turchia) hanno più volte tentato di evitare che gli ispettori controllassero il carico. Le ispezioni hanno rilevato il trasporto di razzi, armi e munizioni. L’attività di Daesh sul suolo turco.

Il 29 giugno dello scorso anni la CNN turca ha riportato che in luoghi come Duzce e Adapazari, nel cuore di Istanbul, sono stati girati alcuni video di Daesh. L’emittente turca ha anche denunciato come, presso alcune organizzazioni religiose, aspiranti jihadisti ricevano addestramento militare, senza che le forze di sicurezza turche siano mai intervenute per fermarli. Anche fonti interne dei servizi di intelligence giordani confermerebbero l’addestramento dei miliziani dell’ISIS in Turchia.

L’acquisto del petrolio

Il 13 settembre del 2014 sul New York Times vengono raccontati gli “sforzi” dell’amministrazione Obama per premere sulla Turchia per porre fine all’autofinanziamento dell’ISIS tramite la vendita di petrolio. James Phillips, un ricercatore senior della Heritage Foundation, ha fatto notare che la Turchia non ha mai smesso del tutto con gli acquisti del petrolio di Daesh, perché può beneficiare di un prezzo molto conveniente, e che è possibile che alcuni funzionari governativi traggano beneficio da questi traffici.

Sempre il 13 settembre dello scorso anno è apparso sul sito di informazione Radikal un articolo di Fehim Taştekin sugli oleodotti illegali che trasportano petrolio dalla Siria alle città turche lungo il confine. Il petrolio è venduto a circa 1,25 lire/litro. Taştekin ha raccontato che molti di questi oleodotti sono stati smantellatti, dpo 3 anni di attività, in seguito al suo articolo su Radikal.

Il tentativo di legittimare un intervento in Siria

Oltre a supportare a Daesh e ad Al Nusra, il governo turco sta cercando da mesi il modo di intervenire direttamente nel conflitto siriano per difendere i propri interessi e sferrare un colpo decisivo alla resistenza curda del Rojava. Il portale Cumhuriyet racconta – ad esempio – come Fuat Avni, un influencer di Twitter ha fornito le prove del supporto che la Turchia ha fornito a gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda. Secondo il rapporto, in alcune registrazioni Erdogan fa pressione diretta sulle forze armate turche e sui servizi per trovare una scusa per intervenire direttamente nel conflitto in Siria.

Hakan Fidan, capo dell’intelligence turca, in questo dialogo con Yasar Guler un alto ufficiale della difesa e Feridun Sinirlioglu, un funzionario del Ministero degli Esteri dichiara: "Se necessario invierò 4 uomini in Siria. Per trovare un pretesto per la nostra entrata in guerra gli farò sparare otto razzi verso la Turchia.” Il piano non è stato poi messo in atto, ma l’obiettivo di Ankara di legittimare un proprio intervento in Siria contro i curdi delle YPG/YPJ resta prioritario. Ma anche di fronte all'evidenza, la NATO e gli USA non sembrano intenzionati a ritirare il loro appoggio alla Turchia.


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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 11/12/2015, 15:08

Quindi, finanziare la Turchia (e l'Europa lo sta facendo o sta per farlo) significa finanziare il terrorismo.

http://www.ilpost.it/2015/11/30/accordo ... -migranti/

Il terrorismo provoca l'ondata di rifugiati e la Turchia prende soldi per trattenerli dopo aver supportato la causa della loro fuga.

L'Europa, inoltre, rimette in campo la circolazione dei cittadini turchi nell'area Shengen e l'ammissione della Turchia nella UE.

Il quadro è sempre più confuso.
L'unico segnale forte e chiaro e senza dubbi di interpretazione è quello olfattivo.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda flaviomob il 17/12/2015, 20:18

Carri armati e migliaia di soldati turchi per schiacciare il Kurdistan

17 dic 2015

Ankara stringe la morsa a sud est: oltre 200 civili uccisi da luglio. Ieri notte i tank hanno aperto il fuoco in zone residenziali. Manifestazioni di protesta in molte comunità


Roma, 17 dicembre 2015, Nena News – “I cecchini turchi prendono di mira soprattutto i bambini. Sono almeno 20 i minori uccisi da luglio, quando la guerra è ricominciata. Oggi hanno ucciso anche una donna di 30 anni, a Cizre”. Burcu Cicek Sahinli, attivista kurda turca, fa l’elenco dei morti, ormai quotidiani nel Kurdistan turco.

“I civili vengono uccisi ogni minuto dalla polizia e dai soldati – dice a Nena News – I carri armati dell’esercito sono dentro le città ora e sparano. Sono morti oltre 200 civili da luglio. Il governo li uccide e poi dice che erano terroristi. La stessa vecchia storia”. Burcu si lamenta per il silenzio dell’Europa che invece di fare pressioni su Ankara la premia con accordi sui rifugiati: “Erdogan sa bene come giocare la carta dei rifugiati. E così tutti i valori europei, libertà, democrazia, possono essere tranquillamente violati”.

Che il silenzio sia sceso sul conflitto lanciato dal governo dell’Akp al movimento indipendentista kurdo ma anche alla popolazione civile è un dato di fatto. L’attenzione del mondo è concentrata sugli screzi tra Russia e Turchia, sulla guerra civile siriana, sulle truppe turche in Iraq. E in Kurdistan si muore. Ieri a Cizre un bambino di soli 11 anni è stato colpito da un cecchino turco. Poco dopo è toccato ad una 30enne, nella stessa città, che da giorni subisce un coprifuoco violento.

Stanotte l’esercito turco ha mandato i carri armati in molte comunità a sud est del paese, in aree civili a Cizre, Silopi, Sur, Yuksekowa, e non ha esitato ad aprire il fuoco, raccontano i testimoni. A Silopi una bomba a mano lanciata dalla polizia è entrara in una casa nel quartiere di Nasak: un anziano è morto per soffocamento. Intanto i carri armati venivano dispiegati nei quartieri di Basak e Yenisehir e circondato alcune scuole elementari, per poi aprire il fuoco contro alcuni edifici civili, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa kurda Anf.

Sono migliaia i soldati e i poliziotti mandati in queste ore nel Kurdistan turco, per quella che il governo ha definito “una campagna militare decisiva”. Nel mirino ci sono i quartieri residenziali e le aree abitate da civili, dove Ankara ritiene si nascondano i combattenti del Pkk. Ma l’immagine che si ha da fuori è quella di una punizione collettiva, un’operazione che pieghi definitivamente le ambizioni autonomiste kurde. Solo oltre 200mila le persone che hanno lasciato le proprie case in cerca di sicurezza; gli insegnanti sono stati mandati via dalle scuole; gli ospedali sono costretti a lavorare senza sosta per portare soccorso ai feriti, mentre nelle città migliaia di soldati arrivano a bordo di autobus e aerei.

La repressione turca si è intensificata a partire dal 14 dicembre, dopo la grande manifestazione di Diyarbakir. Quel giorno il premier Davutoglu ha promesso di scovare i militanti kurdi “quartiere per quartiere, strada per strada, casa per casa”. E lo sta facendo. Ma a pagarne il prezzo sono i civili: “La gente è senza acqua, elettricità, cibo, medicinali e molti civili sono morti – spiega Nurcan Baysal, fondatore del Diyarbakir Political and Social Research Institute – E i funzionari statali dicono che continueranno”.

La gente reagisce: ieri migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il Kurdistan turco contro le politiche dell’Akp, definite terrorismo di Stato. A Van centinaia di donne hanno marciato nella città; a Siirt e Marsin i partiti Hdp e Dbp hanno tenuto sit-in di fronte alle sedi dei comuni; ad Urfa centinaia di persone hanno marciato in solidarietà con Sur, Cizre, Silopi e tutte le comunità sotto coprifuoco. Nena News

- See more at: http://nena-news.it/carri-armati-e-migl ... tZf9H.dpuf


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