Analisi
Decreti attuativi, perché noIntervista a Giulio Vesperini, professore ordinario di Diritto amministrativo, e il costituzionalista Giovanni Guzzetta
Camilla Doninelli
Venerdì 11 Lug 2014,
Secondo il monitoraggio di ‘Rating 24’ de ‘Il Sole 24 Ore’ dello scorso 2 luglio, i decreti attuativi in attesa di vedere la luce sarebbero 511 -di questi: 428 ereditati dagli Esecutivi di Mario Monti e di Enrico Letta (177 già scaduti), gli altri 83 in capo all’attuale Governo-, secondo il rilevamento di Palazzo Chigi, dichiarato ieri dal Premier Matteo Renzi, «ci sono 752 leggi da disciplinare: 286 di Monti, 304 di Letta e 162 nostre». Per il momento il Governo ha scartato l’ipotesi circolata nei giorni scorsi di istituire ‘una unità di missione per smaltire i decreti attuativi arretrati’, e ha deciso «che ad inizio di ogni Cdm il Ministro dell'attuazione del programma individuerà nome e cognome del Ministro responsabile».
La gravità del problema dei decreti attuativi è perfettamente sintetizzata dallo stesso Premier: «E' inutile fare leggi se non si applicano, è allucinante». La mancanza del decreto attuativo, quando previsto (e accade per un numero crescente di leggi) comporta l’inapplicabilità della legge stessa.
Con Giulio Vesperini, professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università della Tuscia, e Giovanni Guzzetta, costituzionalista, docente ordinario di Diritto presso l’Università di Roma Tor Vergata, e membro del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, cerchiamo di capire cosa sono i decreti attuativi e soprattutto perché non vengono non vengono adottati tanto da rendere vana l’azione degli Esecutivi.
“L’espressione Decreto Attuativo è a-tecnica, non esiste un istituto nel Diritto italiano che si chiami in questa maniera”, precisa subito Guzzetta, è un’espressione che si usa per indicare “tutti quegli atti che possono essere sia decreti delegati, sia regolamenti, sia atti amministrativi generali, con i quali si dà attuazione a un certo provvedimento legislativo”.
Si parla di Decreto Attuativo, prosegue Vesperini, “per indicare un atto (normativo o amministrativo) che ha la funzione di definire le misure necessarie ad attuare una legge. Si tratta di una tecnica che è usata spesso dal legislatore, specie quando la disciplina di una certa materia è complessa. In questi casi, quindi, la legge rinvia ad altri atti le scelte di dettaglio o di elevato contenuto tecnico che il Parlamento non è in grado di compiere. I decreti attuativi possono avere una natura molto diversa, a seconda di quanto stabilisca la legge. A volte può trattarsi di atti amministrativi (per esempio, decreti ministeriali); altre volte di regolamenti (di competenza del Governo o di singoli Ministri); nei casi più importanti, poi, l’attuazione può essere demandata ai decreti legislativi, e cioè ad atti che hanno un valore equivalente a quello della legge, e che il Governo adotta su delega del Parlamento”.
Il motivo per il quale questi atti, normativi o amministrativi, restano al palo sono, in primo luogo relativi al modo di fare politica in Italia. “noi siamo una democrazia delle parole, delle chiacchiere. La politica si basa per il 90% sulle chiacchiere, le chiacchiere trovano soddisfazione nella legge. Se si trasformano in soluzione concreta o no per i cittadini, questo è un problema secondario”, afferma Guzzetta. Ecco perché poi, molto spesso i decreti attuativi, gli atti, cioè, attraverso i quali si passa dalle parole ai fatti, si bloccano. “Il problema generale delle politiche in Italia è che si fanno grandi attività legislative, dei grandi manifesti con dei grandi obbiettivi, demandando la concreta implementazione al Governo, ai Ministri. Nella maggior parte dei casi si fa la legge, e poi i decreti attuativi o non arrivano o arrivano molto in ritardo. Ci sono decenni di leggi inattuate”.
A ciò si aggiungono, ci spiega Vesperini, “i conflitti che si generano tra le diverse Amministrazioni interessate all’attuazione di una legge o tra queste e i gruppi privati i cui interessi sono toccati dalla legge stessa. In alcuni casi, agendo sui tempi di attuazione, l’Amministrazione sviluppa una sorta di resistenza passiva contro un cambiamento voluto dal legislatore, ma che la trova ostile”. Bisogna considerare, dice Guzzetta, che “ogni riforma tocca interessi, premia e punisce. Ed è chiaro che chi è punito fa di tutto per evitare che la punizione non arrivi, o di dilazionarla il più in là possibile”.
Si può anche dare il caso, prosegue Vesperini, “che il Parlamento approvi una legge solo perché conti di ricavare un beneficio in termini politici ed elettorali da una riforma annunciata, ben sapendo, però, che quella stessa legge, per la natura delle sue disposizioni o per l’inefficienza dell’Amministrazione, resterà lettera morta”.
In Italia “la quantità di riforme che sono abortite è infinita, perché non c’è la cultura pragmatica della soluzione dei problemi”, sottolinea Guzzetta. Poi, certo, ci sono motivazioni oggettive: complessità normativa; frammentazione del processo decisionale; scarsa efficienza dell’Amministrazione; scarsa competenza del personale dell’Amministrazione pubblica; insufficienza del controllo politico sulle scelte amministrative.
A volte, la regolamentazione di determinate materie è molto complessa e i tempi lunghi possono rappresentare una necessità obiettiva. “Nel momento in cui si va ad implementare una riforma, i problemi di gestione sono enormi”, afferma Guzzetta. “Le faccio un esempio: il decreto legge relativo all’eliminazione delle sedi distaccate dei TAR. Secondo me è un’iniziativa, in parte,
demagogica, perché il cittadino pensa chissà quante ce ne siano, invece sono meno di dieci. Il problema è che, eliminare le sezioni distaccate, ad esempio del TAR Sicilia che si trova a Catania, vuol dire che bisogna organizzare la gestione concreta del trasferimento di 35.000 fascicoli arretrati a Palermo, e del Personale. Quindi pomposamente si può dire che abbiamo eliminato le sezioni distaccate, di fatto staremo anni prima di arrivare ad un equilibrio. Noi non abbiamo la cultura pragmatica, noi abbiamo una cultura idealista. L’implementazione non si può sottovalutare, la mia sensazione è che la politica tenda un po’ a disinteressarsi di questi aspetti”.
Talvolta la responsabilità è del legislatore. Se, come spesso avviene, spiega Vesperini, la legge dispone che un certo decreto attuativo deve essere adottato con la partecipazione di più Amministrazioni, “il processo decisionale risulterà frammentato; il potere di veto e di interdizione di ciascuno degli uffici coinvolti sarà esaltato; sarà difficile l’identificazione stessa di un ufficio che si assuma la responsabilità finale della decisione e della preventiva composizione dei diversi interessi in gioco. Per evitare questi inconvenienti, sono state adottate nel corso degli ultimi venti anni molte norme, ma la loro riuscita complessiva è stata poco soddisfacente”.
Altra causa oggettiva è l’inefficienza. Alcune volte, dice Vesperini, “il ritardo dei decreti attuativi è un semplice riflesso del problema più generale della scarsa efficienza degli uffici amministrativi e delle difficoltà che essi hanno a rispettare i tempi previsti per le loro decisioni”, i tempi lunghi delle decisioni amministrative rappresenta un problema generale, ai soli decreti attuativi, ma esteso a molti altri atti che l’Amministrazione deve adottare. Il problema della nostra Pubblica Amministrazione è culturale, secondo Guzzetta, “E’ un po’ lo specchio della nostra società. Ciascuno agisce in modo individualistico. In un Paese in cui l’apparato pubblico è talmente enorme, l’individualismo diventa una contraddizione interna. Il problema non è solo riformare la Pubblica Amministrazione, ma è anche ridurne il perimetro. Ridurre lo spazio della presenza pubblica”.
Una ‘cultura della lentezza’ che va cambiata, denunciata nei giorni scorsi dal Sottosegretario agli Affari Esteri Mario Giro (Demo.S). «E' una pratica che ha ingessato il Paese e ha spesso impedito che si realizzasse un'azione di trasformazione coerente con le linee dell'Esecutivo. In questi anni è avvenuto che provvedimenti innovativi, su cui c'era accordo del Parlamento e del Governo, sono rimasti lettera morta a causa di un'abitudine alla procrastinazione o all'inerzia».
La riforma della PA, alla quale sta lavorando il Ministro della Semplificazione, Marianna Madia, dovrebbe incidere anche sul problema dei decreti attuativi, con l’obiettivo di arrivare a ottenere tempi certi. L’obiettivo presuppone, secondo Vesperini, “una forte capacità e una altrettanto forte volontà della Presidenza del Consiglio dei Ministri di fare questi interventi. Di far capire ai Ministeri, cioè, e ai Ministri, responsabili dell’attuazione di questa e di quella norma, che c’è un centro pronto a sostituirsi a loro se non sanno o non vogliono fare le scelte che la legge ha chiesto loro di fare. Peraltro, un meccanismo analogo già esiste per le comuni decisioni amministrative. Nella legge di semplificazione del Governo Monti, ad esempio, si prevede che se l’Amministrazione non provvede entro un termine prestabilito su un’istanza di un cittadino, lo stesso cittadino interessato può rivolgersi ad un altro ufficio della stessa amministrazione (responsabile del potere sostitutivo) e chiedergli di provvedere in sostituzione dell’ufficio che sarebbe stato competente a farlo. Se, come mi pare di capire, allora, l’idea è di riprodurre questo stesso meccanismo per assicurare l’adozione tempestiva dei decreti attuativi potrebbe trattarsi di una buona idea. Essa potrebbe anche agire come semplice deterrente per i singoli Ministeri, che potrebbero essere sollecitati a fare presto per non essere spogliati di una competenza loro attribuita. Ma oltre alle condizioni che indicavo prima, un meccanismo di questo tipo può funzionare se s’impara dall’esperienza e si approfondiscono, ad esempio, le ragioni per le quali, finora, i vari meccanismi sostitutivi finora previsti hanno funzionato ben poco”.
Secondo Guzzetta, nel decreto legge, manca un elemento fondamentale: i meccanismi che si basano sul premio del merito. “I tempi si velocizzano non solo se io faccio le norme, ma anche e soprattutto se a dirigere i processi metto gente capace. Per mettere gente competente devo selezionare funzionari validi. Se seleziono elementi di merito, devo anche dire a qualcun altro che è incapace, e in questo Paese nessuno ha il coraggio di dire a qualcun’altro che è incapace. Nel decreto non c’è una sola parola sul merito e di conseguenza sul primato del merito. L’unico sistema che si trova è quello dello ‘spoils system’. Il meccanismo di tipo totalmente fiduciario. Ma lo ‘spoils system’ non ha nulla a che vedere con il merito, significa solo che i collaboratori li sceglie il politico. La velocizzazione cammina sulle gambe, non solo sulle regole, di funzionari bravi che sono lì con l’attitudine di risolvere i problemi e non di togliere una castagna dal fuoco”.
Il Premier Renzi aveva proposto un tempo limite di 60 giorni per l'approvazione dei decreti attuativi, e il principio del silenzio – assenso, relativo al concerto tra i Ministeri. Potrebbe essere una soluzione (anche se al momento è sparita al vaglio degli uffici del Quirinale)? Il principio del ‘silenzio- assenso’, secondo Vesperini, ha motivo d’essere nel momento in cui un cittadino chiede all’Amministrazione un provvedimento ‘positivo’ (come un’autorizzazione), in quei casi, la legge può disporre che il silenzio mantenuto dall’Amministrazione per un determinato tempo equivalga al provvedimento positivo. Quindi, il cittadino può ritenere in questi casi che la sua domanda sia stata accolta. “Non mi pare invece che questo meccanismo possa funzionare per i decreti attuativi. L’inerzia del soggetto che avrebbe dovuto decidere può trovare soluzione, per esempio, nei meccanismi sostitutivi di cui parlavamo prima, ma non certo nel silenzio assenso”. Quando è l’Amministrazione che deve fare, e se entro un tempo limite non agisce, nessuno può farlo al suo posto, conferma Guzzetta. Piuttosto, dice, “ci dovrebbero essere dei meccanismi punitivi di chi non assolve al proprio dovere, e quindi ritorniamo al discorso del merito. Ci vuole un sistema in cui i decisori siano solidi dal punto di vista della stabilità per poter prendere delle decisioni impopolari. Ci vuole il potere, un altro dei nostri vizi è che si rimuove la questione del potere. Il potere c’è. Il problema è se il potere è legittimo oppure è nei fatti, e quindi a seconda della sua collocazione sappiamo chi lo esercita”.
Altra possibilità d’intervento è che, in caso d’inadempienza dei Ministeri sia Palazzo Chigi a provvedere alla realizzazione dei Decreti attuativi. “C’è una politica del Governo, che si attua anche attraverso leggi; queste leggi a loro volta richiedono misure attuative; se queste misure non vengono adottate, la politica del governo rimane frustrata; il responsabile ultimo della politica di Governo, cioè il Presidente del Consiglio dei Ministri, assume su di sé allora la responsabilità politica di intervenire anche sostituendosi, per quel determinato atto, a Ministri che non hanno fatto il loro dovere”, conferma Vesperini, sottolineando che per ora sono solo ipotesi. Il Governo non è altro che l’insieme di tutte le Amministrazioni centrali dello Stato, di tutti i Ministeri, per tanto, afferma Guzzetta, l’ipotesi è sostenibile in teoria, “quando, però, le decisioni da avocare diventano centinaia e centinaia, il Governo non ce la farà. E’ molto suadente come posizione, nel caso d’inerzia del Ministro decide tutto il Consiglio dei Ministri. Ma anche qui siamo al confine delle dichiarazioni a effetto, ma non so se sia la soluzione dei problemi”.
Un ruolo forte di Palazzo Chigi, così come l’utilizzo del principio del silenzio-assenso, era stato sostenuto dal Sottosegretario agli Esteri Mario Giro, immediatamente prima del Consiglio dei Ministri di ieri. «E’ necessario un vero direttore d'orchestra, che non può essere che la Presidenza del Consiglio. I provvedimenti attuativi sono parte integrante dell'azione di Governo e non devono essere considerati una questione solo amministrativa. Essi devono essere una priorità per tutti i dicasteri ed è ragionevole pensare al limite di due mesi per esprimere parere oltre il quale valga la regola del silenzio-assenso. Palazzo Chigi è responsabile dell'azione di Governo di fronte ai cittadini e ha tutto il diritto di portare a termine quanto i dicasteri si sono impegnati a fare. La politica così può assumere il suo vero compito: la responsabilità ultima nei confronti dei cittadini per il bene del Paese e il rafforzamento della democrazia».
Il problema dell’arretrato, ovvero i 286 decreti attuativi non adottati ereditati dal Governo Monti, e 304 dal Governo Letta, potrebbero richiedere una trattazione a parte, il Premier aveva ipotizzato una sorta di Commissione ad hoc. Sulla questione, ricorda Vesperini, era stata fatta una relazione apposita dal Ministro Piero Giarda, durante il Governo Monti. “Una situazione così pesante può dover richiedere misure straordinarie”. Secondo Guzzetta, può essere “la decisione necessaria per chi non ha la forza e la capacità di punire chi dovrebbe decidere. Che ci sia la necessità di un sistema di monitoraggio sugli andamenti delle amministrazioni centrali dello Stato non c’è alcun dubbio. Tutto quello che concerne la trasparenza va benissimo. Bisogna, però, aggredire il nodo. Questa potrebbe essere una soluzione emergenziale, ma non si può vivere in un sistema in cui il Ministero non fa quello che deve fare e c’è una struttura che vi si sostituisce costantemente”.
- See more at:
http://www.lindro.it/politica/2014-07-1 ... X5Xx2.dpuf____
In soldoni, la prima responsabilità è di chi scrive leggi fatte male, poi c'è la responsabilità dei singoli ministeri, la demagogia, l'ignoranza degli aspetti tecnici dei problemi. A mio parere è prima un problema politico che burocratico, anzi spesso sono proprio i buoni, oscuri burocrati (almeno in Europa spesso è così, come mi scrive il nostro amico Stefano Gatto) che riescono a far funzionare leggi e regolamenti farraginosi.
Un governo che va avanti a colpi di fiducia o di deleghe però deve assumersi la responsabilità di produrre leggi che funzionino immediatamente e non nascondersi dietro al pregresso.
Ricordiamoci che grazie alla mancanza dei decreti attuativi delle norme emanate dai governi precedenti, nel 2001 il governo Berlusconi non fece nulla contro l'impennata dei prezzi di molti esercizi commerciali in seguito al passaggio dalla moneta nazionale all'euro, con le conseguenze che ben conosciamo.