La corruzione si alimenta di «cifre nere»
di Lionello Mancini 13 ottobre 2014
Come per le violenze in famiglia o gli stupri, il problema è la cifra nera. Cos'è la "cifra nera"? È la differenza tra il numero dei reati commessi e quelli che risultano all'Autorità giudiziaria, cioè quelli su cui si indaga e si tenta di arrivare a un colpevole.
A nessuno verrebbe mai in mente di tener nascosto alle forze dell'ordine il furto dell'auto o uno scippo, perciò la cifra nera di quel tipo di fatti è pressoché nulla: è pacifico che dieci furti d'auto sfocino in altrettante denunce. Invece, come ha spiegato Pier Camillo Davigo all'InsolvenzFest di Ferrara (i dialoghi interdisciplinari organizzati dall'Osservatorio sulle crisi d'impresa), i reati di corruzione, concussione e finanziamento illecito sono fra quelli con la cifra nera più alta.(***) Perché? Intanto perché le forze di polizia «sono in genere strutturate per affrontare forme di criminalità visibili», quelle che la gente corre a denunciare. Ma, quel che è peggio, ha aggiunto Davigo, «le attività corruttive producono situazioni assimilabili all'omertà. Infatti è evidente la convergenza d'interesse tra chi paga e chi incassa, perché solo il silenzio di entrambi evita le conseguenze penali ed extra-penali come l'annullamento di atti amministrativi, la responsabilità civile eccetera». Eppure la corruzione è seriale, chi imbocca questa strada tende a ripetersi ogni volta che ne abbia occasione «con una ragionevole certezza di impunità». Ed è «diffusiva» (un aspetto che interroga il comportamento e le scelte di ciascuno) nel senso che corrotti e corruttori, per evitare di essere scoperti, «tendono a coinvolgere altre persone, fino a che sono gli onesti a essere esclusi dagli ambienti che man mano diventano prevalentemente corrotti».
Per contribuire alla repressione del fenomeno, l'unica via è perciò quella della denuncia, che mette magistratura e forze dell'ordine nella condizione di svolgere il loro lavoro. Ma ciò non accade, o non accade in misura sufficiente, cosicché la "cifra nera" non si assottiglia, l'omertà resta ferrea, le conseguenze pesantissime per l'economia già provata del Paese. Parole inquietanti, quelle del giudice Davigo - tra i protagonisti della prima manche di "Mani pulite" - sia per il loro contenuto intrinseco, sia perché l'analisi non si discosta dal solco risalente ormai a un ventennio fa.
E un aspetto che quattro lustri fa non era (né poteva essere) ancora abbastanza a fuoco è il rapporto tra corruzione e criminalità organizzata. «Da tempo le cosche non agiscono più in un contesto puramente delinquenziale e separato dall'economia - ha spiegato, sempre ai dialoghi dell'Oci, il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti -. Inchieste e processi disvelano sempre più articolati intrecci di malaffare nei quali la corruzione fa parte a pieno titolo del sistema mafioso».
Non è, quindi, un caso che il sondaggio condotto nel 2010 dall'Ipsos abbia fotografato tra i manager di multinazionali straniere un'idea assai diffusa del peso della corruzione in Italia: una zavorra solo immaginata da parte dei dirigenti che non avevano ancora operato qui da noi e che si rivelava ancora più grave con l'esperienza sul campo. «Leggevo e mi riferivano che il problema esistesse - ha risposto oltre la metà dei manager -, ma non credevo fosse ai livelli che ho sperimentato».
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... 3735.shtml
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(***) Questo potrebbe spiegare perché apparentemente i dati sulla corruzione perseguita in Germania non sono "lontanissimi" dai nostri, secondo quanto riportava un articolo postato da Ranvit. (Ndr)