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l'unità chiude?

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l'unità chiude?

Messaggioda Robyn il 30/07/2014, 18:44

La chiusura dell'unità rappresenta una voce in meno nel pluralismo dell'informazione.Per poter fare il salvataggio la prima cosa è che l'unità cambi la grafica e i contenuti diversificando la sua offerta informativa,la seconda una pluralità di azionisti che acquista le sue azioni,la terza è utilizzare la pubblicità sulle sue pagine per finanziarsi cosa che devono fare anche i partiti nei loro locali e dismettere per sempre gli aiuti all'editoria che rappresentano solo un tampone che porta alla stagnazione che non aiuta a cambiare e a saper affrontare le sfide
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Re: l'unità chiude?

Messaggioda franz il 30/07/2014, 18:57

C'è un altro punto. I 110 milioni di debiti. Chi paga? Perché dovrebbero pagare i contribuenti italiani?
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Re: l'unità chiude?

Messaggioda Robyn il 30/07/2014, 19:03

Siamo sicuri che sono 110 e non 30 mln?Anche se chiude i debiti rimangono e chi li paga?Ma poi i contribuenti italiani non sono obbligati ad acquistare azioni e in ogni caso se lo fanno sapendo che ci sono dei debiti nessuno li ha costretti
Altra cosa è pensare al sabotaggio politico perche si pensa di essere anticomunisti.Infatti se è vero che l'anticomunismo è una cosa altra cosa,l'anticomunismo becero rappresenta una malattia da debellare.Questo anticomunismo becero nasce da un certo modo di fare sinistra ed è al pari della mafia.In Italia si è fatto credere che welfare rmg edilizia sociale aiuti ai più deboli fosse comunismo.La domanda è come si fà a debellare questo anticomunismo becero?
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Re: l'unità chiude?

Messaggioda franz il 30/07/2014, 19:59

La soluzione non è certo rifugiarsi nella improbabile scusa dell'anticomunismo.
Il fatto è che se un giornale non vende, malgrado sussidi pubblici, prima o poi fallisce.
E questa sarebbe la quarta volta.

Leggere (anche ascoltare)
http://www.corriere.it/inchieste/report ... c28e.shtml



I debiti li hanno fatti l’Unità e i Ds, ma a pagarli sarà lo Stato. Ed è una cifra che fa paura: 110 milioni di euro. Poche settimane fa tre pool di banche, capitanati da Intesa San Paolo, Bnl e Banca Popolare, hanno ottenuto dal Tribunale di Roma l’emissione di altrettanti decreti ingiuntivi contro la presidenza del Consiglio dei ministri, per avere indietro i soldi prestati al quotidiano fondato da Antonio Gramsci e gestito fino al 2001 - assai male, a vedere i risultati - dai Democratici di Sinistra. La sentenza non è esecutiva solo perché Palazzo Chigi - conferma il Capo dipartimento dell’Editoria Roberto Marino - ha fatto ricorso tramite l’avvocatura dello Stato. La decisione finale è prevista a ottobre.

Come mai a pagare questi debiti dev’essere lo Stato?
Per capirlo ci tocca fare un passo indietro, a 13 anni fa. Nel 2001 Ugo Sposetti, per anni tesoriere del Pci-Pds-Ds, oggi senatore Pd e presidente della Fondazione Ds, si trova alle prese col debito monstre del partito: 447 milioni di euro. Di questi 125 milioni di euro provenivano da mutui concessi a l’Unità (di cui 82 a carico di Bnl, 32 di Intesa, 20 di Ifibanca, oggi Banco popolare). Debiti che non preoccupavano più di tanto i vertici dei Ds, perché avevano una garanzia a prova di crack: quella dello Stato. Quando la Quercia, nel 2002, chiama in aiuto un pool di consulenti tecnici per capire come evitare un fallimento che sembra sicuro, i maghi dei conti lo scrivono nero su bianco, in un documento riservato: l’obiettivo è «trasferire il debito del partito derivante dai mutui editoria allo Stato, il quale peraltro ne è già garante».

Come è possibile?
Grazie ad un legge, varata nel 1998 dal governo Prodi, che permette di trasferire la garanzia posta dallo Stato fin dal 1987 sui debiti dei quotidiani di partito «anche a soggetti diversi dalle editrici concessionarie» (cioè, in questo caso ai Ds). Specifica la legge: «La garanzia concessa a carico dello Stato è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario». Tradotto: siccome la Fondazione Ds è inadempiente, allora paga lo Stato, con tanto di interessi di mora. D’altronde la Fondazione, che ancora oggi garantisce circa 4 milioni di euro di contributo pubblico a l’Unità, è la bad company del vecchio partito della sinistra italiana. Ha ancora una montagna di debiti, ma prima della nascita del Pd ha ceduto tutto il suo patrimonio a un gruppo di 55 fondazioni locali. Alcune banche, tra cui Unicredit, per avere indietro i propri soldi oggi contestano proprio questa operazione di “sparizione”. E chiedono alle fondazioni locali di entrare in possesso di alcuni immobili (due in Friuli, uno a Bergamo, uno a Pomigliano).

La cattiva pratica di far debiti - e non pagarli - a l’Unità non è passata di moda. Oggi la Nie (Nuova iniziativa editoriale, la società che edita il quotidiano) è in liquidazione. Lascia un conto salatissimo a banche e creditori: 35 milioni di passività, di cui 10 con le banche (di cui 4 con Unicredit) e 6,5 milioni verso i fornitori. Per le imprese editrici de l’Unità è il quarto fallimento in vent’anni. Ed è proprio in questi repentini crack e cambi societari che il debito de l’Unità passa in capo ai Ds. L’editrice storica - l’Unità Spa - attiva fin dal 1944, va in liquidazione nel 1994; le subentra Arca Spa, controllata al 99,9 per cento dai Ds, che finisce a gambe all’aria nel 1998; poi arriva la Uem Spa, di cui il partito controlla la quota di maggioranza, ma a cui partecipano anche privati come la Tosinvest degli Angelucci e la Asset Spa di Marchini, oltre alla fondazione Italiani europei di Massimo D’Alema. Ma nel 2000 anche la Uem è costretta a chiudere bottega. Prima, però, cede il marchio - e il contributo pubblico - alla Nie spa. Oggi nuovamente in liquidazione.

Il rosso del giornale non dovrebbe però colpire il Pd, il cui bilancio ha “solo” 10 milioni di debiti, nessuno dei quali provenienti dal quotidiano. Il premier Matteo Renzi ha promesso di salvare l’Unità e ha ridato alle feste del partito il nome dell’antico giornale della sinistra. Ma il conto, ora, rischia di pagarlo proprio Palazzo Chigi. Gramsci non avrebbe approvato.
27 luglio 2014 | 22:38
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Re: l'unità chiude?

Messaggioda Robyn il 31/07/2014, 11:35

Dare dei contributi alla stampa è sbagliato perchè si fà una competizione sleale nei confronti di quei quotidiani che i contributi non li ricevono,devono cioè imparare a camminare sulle proprie gambe.Inoltre devono essere slegati dai partiti sia finanziariamente che politicamente,possono tuttal'più avere una certa affinità non di più.Ma rimane sempre il problema di farli vivere perche l'informazione più è plurale e meglio è, la cosa riguarda l'Unità,Europa,la Repubblica,Liberazione,il Manifesto che dovrebbero differenziare l'offerta,cambiare la grafica,usare la pubblicità e costituirsi in public company cioè in azionariato diffuso.La stessa cosa per i partiti usare la pubblicità uscire dalle amministrazioni delle banche delle assicurazioni e acquistare azioni risparmio,magari facendo rimanere una piccola quota di finanziamento pubblico il cui utilizzo è trasparente e certificato,entrate,uscite,utilizzo.Andrebbe abbandonata anche la propaganda cartacea dei manifesti utilizzando sempre di più manifesti display elettronici,facendo rimanere quella cartacea solo come deplians per i singoli canditati.Per la festa dell'unità era meglio festa dem
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Re: l'unità chiude?

Messaggioda franz il 31/07/2014, 12:33

Robyn ha scritto:Ma rimane sempre il problema di farli vivere perche l'informazione più è plurale e meglio è, la cosa riguarda l'Unità,Europa,la Repubblica,Liberazione,il Manifesto che dovrebbero differenziare l'offerta,cambiare la grafica,

Appunto. La soluzione è il mercato. Domanda ed Offerta. Quantità e qualità della domanda e dell'offerta. Ma il mercato implica che alcuni vincano e ogni tanto qualcuno perda. Nascono nuovi quotidiani (ed è un valore) e ne muoino altri. E per quanto possa dispiacere, anche la morte di chi non riesce a fornire un'offerta adeguataè un fatto positivo, altrimenti tutta la biologia della vita non orbiterebbe attorno al continuo ricambio, che ben conosciamo.
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