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Tagli alla disabilità e al sociale?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Tagli alla disabilità e al sociale?

Messaggioda flaviomob il 27/05/2014, 15:53

Riduzione della spesa per beni e servizi e politiche sociali



Il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale) è noto come il provvedimento che ha previsto una inferiore tassazione sul lavoro dipendente e la correlata concessione ai titolari di reddito non superiore ai 26 mila euro di una maggiore retribuzione mensile fino a 80 euro.

In realtà il decreto, in attesa di conversione in legge, introduce numerosi interventi di riduzione, di ristrutturazione e anche di opportuna trasparenza della spesa pubblica soprattutto da parte delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni.

Ma non mancano gli interventi sulle amministrazioni centrali. I Ministeri, ad esempio, dovranno ridurre le spese per beni e servizi per 700 milioni di euro annui per il 2014.

200 milioni (300 nel 2015 e nel 2016) vengono “tagliati” direttamente dal decreto legge riducendo i relativi stanziamenti. I rimanenti dovranno essere recuperati direttamente dai Ministeri.

Si tratta di riduzioni ulteriori rispetto a quelli già operate dal decreto legge 28 gennaio 2014, n. 4 (articolo 2, allegato 1) poi convertito dalla legge 28 marzo 2014, n. 50 (la cosiddetta legge sulla spending review).

Solo per ricordare uno degli effetti di quella disposizione: il Fondo Nazionale per le Politiche sociali ha subito una riduzione di 17.4 milioni di euro per l’anno 2014 (da aggiungere alla riduzione di 2.2 milioni in forza del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35)

Il nuovo decreto-legge, come dicevamo, taglia da subito di 200 milioni i trasferimenti ai Ministeri.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si vede “limare” la già boccheggiante dotazione di 0,9 milioni per quest’anno e di ulteriori 1,3 milioni per il 2015 e il 2016.

Va peggio al Ministero dell’Istruzione che restituisce 6,3 milioni per il 2014 e 9,4 milioni per ciascuno dei due anni successivi.

Visto che la norma non dovrebbe riguardare il funzionamento delle istituzioni scolastiche, le prime spese ad essere ridotte saranno quelle delle consulenze e servizi esterni. Ovvio che il pensiero corre all’obbligo di aggiornamento in servizio sulle didattiche inclusive, ottenuto dalle associazioni in sede di approvazione della Legge128/2013 e che verosimilmente è destinato a rimanere lettera morta.

Ma non è tutto. Vincoli di bilancio (ripetiamo ulteriori a quelle già previste dalle norme sulla spending review e dal Patto di Stabilità) sono imposti anche alle regioni (meno 700 milioni), alle province, alle città metropolitane, ai comuni.

A province e città metropolitane è richiesta una riduzione di spesa per beni e servizi di 340 milioni di euro per il 2014 e di 510 milioni di euro per ciascuno dei tre anni successivi.

Ai comuni non va meglio: 360 milioni di euro nel 2014 e 540 milioni l’anno fino al 2017.

Ma in che quantità dovranno ridurre la spesa comuni, provincie e città metropolitane? Proporzionalmente alla spesa media, sostenuta nell'ultimo triennio. Cioè chi ha speso di più restituisce di più.

Le voci di spesa considerate per calcolare il risparmio successivo sono elencate in un’apposita tabella (Tabella A) del decreto-legge.

Vi leggiamo voci quali: “Carta, cancelleria e stampati”, “Materiale divulgativo sui parchi, gadget e prodotti tipici locali”, “Utenze e canoni per energia elettrica”, “Organismi e altre Commissioni istituiti presso l'ente”, “Spese per liti (patrocinio legale)” ecc.

Ma nell’elenco sono inclusi anche le spese per: “Mense scolastiche”, “Servizi scolastici”, “Rette di ricovero in strutture per anziani/minori/handicap ed altri servizi connessi”. Le spese “pesano” tutte in egual modo indipendentemente dalla loro qualità o dai servizi erogati direttamente ai cittadini. Pertanto il “risparmio” richiesto a comuni, province, città metropolitane sarà basato solo sulla spesa e non sulle singole voci. Potrebbe essere, ad esempio, svantaggiato il comune che abbia investito di più in servizi per i minori, gli anziani o i disabili, rispetto ad un altro che abbia invece speso di meno in questi servizi e di più nell’ordinaria amministrazione. Il che appare in contraddizione con lo spirito attribuito alla spending review, cioè ai tagli selettivi e non lineari e con la necessità di promuovere servizi per i cittadini.

Oppure potrebbe accadere che sia avvantaggiato il comune che abbia adottato delibere che impongono una maggiore partecipazione alla spesa da parte del cittadino, rispetto ad un altro che abbia favorito i ceti meno abbienti.

Una scelta che avrà effetti negativi sulle politiche sociali degli enti locali in particolare e finirà per acuire una tendenza già in atto da anni.



27 maggio 2014



Carlo Giacobini

Direttore responsabile di HandyLex.org

http://www.handylex.org/gun/riduzione_s ... iali.shtml


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Re: Tagli alla disabilità e al sociale?

Messaggioda flaviomob il 29/05/2014, 11:48

Bisogna dire che su Vita.it sono stati coerenti e hanno sempre avuto fiducia in Renzi... Coerenzi :)

http://blog.vita.it/lapuntina/2014/05/1 ... -di-renzi/

Ecco il Civil Act di Renzi. Terzo settore, la volta buona?


di Riccardo Bonacina

In questi anni il Terzo settore è stato umiliato, usato spesso, costringendolo a schemi che gli sono estranei, in un quadro sussidiario al contrario “fate voi che io non ce la faccio e a poco prezzo grazie” che ha rischiato si snaturarne e corrompre la stessa anima. Bisognava finirla con questa stagione delle medaglie e dello sfruttamento, per liberare le energie sociali e civiche che fanno grande e unico questo Paese.

Matteo Renzi ha avuto sempre chiaro che occorreva #cambiareverso. “Lo chiamano Terzo Settore ma in effetti è il primo”, così era scritto nel suo programma alle primarie, concetto che ribadì all’uscita dalla stanza del Presidente Napolitano dopo aver definito la lista dei ministri, e ancora nella conferenza stampa dopo il primo Consiglio dei Ministri annunciando il fondo per l’impresa sociale: «basta dire come sono bravini questi del Terzo Settore, no, noi sul Terzo Settore vogliamo investire». Sembrava un facile slogan qualche mese fa, invece a 70 giorni dal suo insediamento come promesso un mese fa a Lucca al Festival del Volontariato (“Oggi è il 12 aprile fra un mese esatto presenterà le linee guida della Riforma del settore” aveva detto nell’incontro, vedi foto), l’annunciata riforma del Terzo settore arriva allo scoccare della mezzanotte del 12 maggio con un twitt e un link al testo (qui il testo).

Qualcuno ha parlato, a me sembra giustamente, di un vero e proprio Civil act, perché in effetti il testo fa capire come Renzi stia ridisegnando il campo da gioco della politica: dal Palazzo al rapporto con la società. La società viene prima, la sua coesione viene prima, il benessere dei cittadini viene prima della politica che è uno strumento per la crescita della società, e non per la crescita delle banche o delle autostrade o dei partiti. Usciamo da anni in cui alla società (e quindi al cosiddetto Terzo Settore che è poi la società che si organizza), si guardava, ma dopo. Quando la crescita lo avrebbe permesso, quando l’Europa lo avrebbe permesso, dopo aver fatto le infrastrutture materiali, una volta messo a posto il debito. La società, da troppi anni, veniva dopo.

“Noi vogliamo ribaltare la logica delle ultime stagioni”, aveva detto a Vita (qui l’intervista) Matteo Renzi, “noi pensiamo che la capacità di risposta dei cittadini ai cittadini, il loro impegno civico, sia la risorsa prima del Paese (Primo settore non più Terzo), pensiamo che la capacità dei cittadini di partecipare alle sfide del quotidiano in un vero spirito sussidiario e di solidarietà sia la prima infrastruttura necessaria al Paese. Per aumentarne il capitale sociale e il grado di coesione delle comunità. Questa sfida è la nostra sfida perché voi siete un pezzo della scommessa culturale educative ed economica del Paese”.

Le linee guide proposte vanno nella direzione giusta, quella che la mobilitazione lanciata da Vita lo scorso marzo con il Manifesto #inmovimento indicava. Eccole:

Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio.

Riforma del Codice civile datato 1942 per superare le vecchie dicotomie tra pubblico/privato e Stato/mercato e passare da un ordine civile bipolare a un assetto “tripolare”, dobbiamo definire in modo compiuto e riconoscere i soggetti privati sotto il profilo della veste giuridica, ma pubblici per le finalità di utilità e promozione sociale che perseguono. Abbiamo inoltre bisogno di delimitare in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica, del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra associazionismo di promozione sociale e impesa sociale, meglio inquadrando la miriade di soggetti assai diversi fra loro che nel loro insieme rappresentano il prodotto della libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune. Occorre però anche sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge.

Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale.

L’azione diretta dei pubblici poteri e la proliferazione di enti e organismi pubblici operanti nel sociale si è rivelata spesso costosa e inefficiente. Nel sistema di governo multilivello che caratterizza il nostro paese l’autonoma iniziativa dei cittadini per realizzare concretamente la tutela dei diritti civili e sociali garantita dalla Costituzione deve essere quanto più possibile valorizzata. In un quadro di vincoli di bilancio, dinanzi alle crescenti domande di protezione sociale abbiamo bisogno di adottare nuovi modelli di assistenza in cui l’azione pubblica possa essere affiancata in modo più incisivo dai soggetti operanti nel privato solidale. Pubblica amministrazione e Terzo settore devono essere le due gambe su cui fondare una nuova welfare society.

Far decollare davvero l’impresa sociale, per arricchire il panorama delle istituzioni economiche e sociali del nostro paese dimostrando che capitalismo e solidarietà possono abbracciarsi in modo nuovo attraverso l’affermazione di uno spazio imprenditoriale non residuale per le organizzazioni private che, senza scopo di lucro, producono e scambiano in via continuativa beni e servizi per realizzare obiettivi di interesse generale.

Assicurare una leva di giovani con un Servizio Civile Nazionale universale, come opportunità di servizio alla comunità e primo 3 approccio all’inserimento professionale, aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderino confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica.

Per far questo Renzi, dopo tanti anni, mette sul piatto molte risorse, oltre 1,5 miliardi per un 5 per mille finalmente stabile e finanziato, per un Servizio civile che non lasci a casa nessun ragazzo che chiede di potersi impegnare, per dare gambe, finalmente, all’impresa sociale nel nostro Paese. E semplificando un grado normativo ingarbugliato e contradditorio (14 leggi di settore e 4 normative fiscali) con la proposta di una legge Quadro. Ora discutiamone e approfondiamo e poi la Legge.


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Re: Tagli alla disabilità e al sociale?

Messaggioda flaviomob il 09/06/2014, 11:58

Spesa per disabilità: Italia in fondo alla classifica UE

6 giugno 2014

Bandiere Paesi UE“Arriva dall’ISTAT il sigillo ufficiale sul disastroso stato delle politiche per l’inclusione e la disabilità in Italia su cui da anni FISH chiede un intervento radicale e di sistema.” Questo il commento a caldo di Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, a margine della pubblicazione del rapporto annuale 2014 ISTAT sulla situazione del Paese.

I dati più preoccupanti si leggono nel quarto capitolo del Rapporto che ci offre uno spaccato delle condizioni di vita delle famiglie e delle politiche di welfare del nostro Paese.

Tra i 28 Stati membri dell’UE, l’Italia è settima per la spesa in protezione sociale che comprende la spesa in Sanità, Previdenza e Assistenza.

Nel 2011, l’Italia ha destinato per questa funzione il 29,7% del proprio Prodotto Interno Lordo, valore al di sopra della media europea, pari al 29% del PIL.

Sembra una buona notizia ma questa settima posizione è caratterizzata da forti disomogeneità rispetto alle voci di spesa: in pensioni di anzianità e vecchiaia se ne va il 52% contro la media europea del 39,9 e pone l’Italia in cima alla classifica.

Il nostro Paese è invece penultimo per la voce “Famiglia, maternità e infanzia” con il 4,8% (la media europea è l’8%). Tradotto: 1,4 del PIL.

Va molto male per la spesa destinata alle persone con disabilità.

Nel 2011, è stata pari in Italia al 5,8% della spesa complessiva in protezione sociale, a fronte del 7,7% della media europea. Si tratta di pensioni di invalidità, contributi per favorire l’inserimento lavorativo, servizi finalizzati all’assistenza e all’inclusione sociale e strutture residenziali.

Questo ci colloca tra i Paesi con le percentuali più basse di spesa destinata alla disabilità. A spendere percentualmente meno dell’Italia sono solo Grecia, Irlanda, Malta e Cipro. Prestazioni che pesano solo per l’1,7% sul nostro Prodotto Interno Lordo.

Di questa percentuale l’1 per cento è destinato alle provvidenze (pensioni e indennità) per l’invalidità civile e solo lo 0,7 del PIL è destinato ai servizi per l’inclusione sociale o per strutture residenziali.

“Chi ha ipotizzato che sia sufficiente razionalizzare la spesa sociale, magari spostando la spesa per voci, è smentito dalle cifre. È necessario aumentare l’intervento economico per allinearci almeno alla media europea, cioè investire sulla disabilità come minimo un altro mezzo punto di PIL e altrettanto su famiglia, infanzia, maternità.”

I dati di raffronto con l’Europa si sommano a quelli drammatici sull’impoverimento e sulla fortissima sperequazione fra Nord e Sud del Paese. Solo per citarne uno, nell’area disabilità le differenze territoriali risultano insostenibili: mediamente un Cittadino con disabilità residente al Nord-Est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua pari a 5.370 euro, contro i 777 euro del Sud. La FISH entra nel dettaglio dell’analisi dei dati nel proprio sito www.condicio.it

“La disabilità e la non autosufficienza – ricorda Falabella – sono uno dei primi elementi di impoverimento e di rischio di povertà delle famiglie e degli individui. È a rischio la coesione sociale, un insidioso pericolo figlio dell’esclusione su cui bisogna intervenire poiché è un’emergenza e una priorità.”

http://www.fishonlus.it/2014/06/06/spes ... sifica-ue/


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Re: Tagli alla disabilità e al sociale?

Messaggioda Iafran il 09/06/2014, 13:05

flaviomob ha scritto:Spesa per disabilità: Italia in fondo alla classifica UE

Se abbiamo una classe politica "vampira" ... possiamo aspettarci che dia "sangue" ai bisognosi? :x
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