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Modello Estonia: il libero mercato e i suoi nemici

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Modello Estonia: il libero mercato e i suoi nemici

Messaggioda franz il 30/10/2013, 14:00

Modello Estonia: il libero mercato e i suoi nemici
Pubblicato: Mar, 29/10/2013 - 20:00 • da: Alessandro De Nicola

Da "La Repubblica" del 29/10/2013

Un principio del buon legislatore, da Solone in poi, è quello di non legiferare sotto la pressione della fretta. Invero, un altro pilastro riconosciuto da sempre per qualsiasi stato di diritto è che le leggi debbono essere generali ed astratte e non mirate a casi singoli. Una giusta riprovazione suscitano infine le norme retroattive. Inoltre, disposizioni precise che lasciano poca discrezionalità 'politica' a governo ed autorità regolatorie limitano le violazioni della Rule of Law, aiutano la certezza del diritto, incoraggiano gli investimenti e diminuiscono il contenzioso giudiziario. Infine, quando il nostro Paese é l'unico ad adottare soluzioni sconosciute nel resto del mondo, raramente succede perché noi siamo i più intelligenti e creativi.

L'ordine del giorno approvato dal Senato ed ispirato dal senatore Mucchetti, che impegna il governo italiano a rivedere la legge sull'Opa, ha la peculiare caratteristica di riuscire ad infrangere tutti insieme i principi sopra descritti. Chapeau! L’ordine del giorno richiede che il governo legiferi prima possibile affinché la spagnola Telefonica non possa completare l'acquisto di Telco (holding che ha la maggioranza relativa di Telecom con il 22%) senza dover obbligatoriamente lanciare un'Opa sul residuo 78%. La modifica al Testo unico della Finanza del 1998 dovrebbe dire che chiunque acquisti il controllo di fatto di una società quotata debba promuovere un’Opa, mentre la legge attuale prescrive l'obbligatorietà solo se
si supera il 30%.

Così facendo, il Parlamento approverebbe un provvedimento importante senza alcuna riflessione, contra personam (Telefonica), sostanzialmente retroattivo (ci si risparmi la capziosità accademica sul fatto che l'operazione non é ancora giuridicamente conclusa: obiezione da leguleio come me, non da uomini di mercato), lasciando ampia discrezionalità alla Consob di determinare quando si acquista il controllo, esponendo qualsiasi decisione a ricorsi giudiziari per danni e facendo sì che l'Italia adotti una normativa sconosciuta al resto del mondo (salvo Spagna, Estonia, Danimarca e Repubblica Ceca, giganti mondiali degli scambi azionari).

Tra l'altro, in Spagna l'obbligo scatta sotto il 30% solo se l'azionista di maggioranza relativa nomina nei 24 mesi successivi più della metà dei membri del consiglio di amministrazione: ironia della sorte, una simile norma non bloccherebbe Telefonica. Il testo delle modifiche proposte, entusiasticamente accolte dal governo attraverso il viceministro Fassina, prevede che il controllo di fatto sia di chiunque, a giudizio della Consob, per due assemblee consecutive nomini amministratori che esercitino un’influenza dominate nella gestione.

Un obbrobrio mai visto nel resto del pianeta che potrebbe obbligare addirittura chi ha il 10% di una public company e indica l’amministratore delegato a lanciare un’Opa. E non ci si può ribellare: chi si lancerebbe in una disquisizione tribunalizia con l’autorità di vigilanza lasciando una società quotata nel limbo? Uno vero sfregio allo Stato di diritto e al diritto di difesa. L'OdG Mucchetti ha l'esplicito fine di impedire agli spagnoli di acquisire il controllo di Telecom e già questo potrebbe bastare a confermare agli investitori internazionali che l'Italia é un paese inaffidabile.

Tuttavia, a ragionare in termini più generali, si potrebbe argomentare che il fine dell'auspicato decreto governativo sarebbe quello di far godere anche agli azionisti di minoranza il prezzo maggiorato pagato da Telefonica a Generali, Intesa e Mediobanca. In fondo, questo é il motivo per il quale esiste la soglia del 30% oltrepassata la quale c'è l'obbligo di lanciare un'Opa 'totalitaria'. Vero, ma come ogni intervento che cerca di “raddrizzare' il mercato, non bisogna abusarne. Prescindiamo pure dal fatto che da quando, un mese fa, è stato reso noto l'accordo su Telco il valore del titolo è aumentato di quasi il 20% e i soci di minoranza hanno comunque guadagnato.

Bisognerebbe chiedersi come mai non vi sia uno straccio di compratore che voglia acquistare il 23% dell'ex monopolista e assicurarsene il controllo. Le spiegazioni sono due: la prima è che nessun operatore sano di mente vuole avere a che fare con la politica italiana. La seconda che Telecom non invoglia a investimenti eccessivi. Sotto questo profilo la cessione a Telefonica è comunque un'allocazione efficiente di risorse perché l'alternativa a questa operazione è di tenere dentro 3 riluttanti azionisti italiani senza alcuna voglia di rimanere né di investire: il trionfo dello status quo.

Ma Telefonica ha un conflitto di interessi in Sud America! Può darsi, ma certo non vuole perdere dal suo investimento in Italia e l'equità degli accordi che verranno in futuro conclusi all'interno del gruppo sono presidiati dal regolamento sulle operazioni con parti correlate, dagli amministratori di minoranza, dalla possibilità di iniziare un'azione sociale di responsabilità contro gli ammini-stratori o nei confronti della capogruppo per scorretta gestione, la convocazione dell’assemblea per la revoca del Cda e da una miriade di altre norme.

É bene dunque favorire il cosiddetto mercato del controllo e far sì che le aziende passino di mano per evitare pietrificazioni al comando e favorire chi si ritiene in grado di gestirle meglio. Una soglia molto bassa per le Opa obbligatoria, lungi dal proteggere le minoranze, è invece scoraggiante, in quanto o non si fa niente o gli acquirenti devono avere soldi sufficienti per il 100% delle azioni e indebitarsi pesantemente con le banche: non è forse il tipo di operazione rimproverata ai Capitani Coraggiosi di Colaninno ai tempi dell'Opa del 2001? La politica italiana é lentissima quando si tratta di abolire i propri privilegi, velocissima allorché deve aumentare la sua capacità di interferenza: avanti così che andiamo bene.
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Re: Modello Estonia: il libero mercato e i suoi nemici

Messaggioda Iafran il 30/10/2013, 19:25

franz ha scritto:... nessun operatore sano di mente vuole avere a che fare con la politica italiana.

Infatti, anche per l'altra operazione, che interessa il futuro della compagnia aerea nazionale dei "capitani coraggiosi", i partners esteri aspettano tempi (per loro) migliori ... quando i nostri "politici" avranno fatto sanare il passivo accumulato dalla nuova Alitalia (per la difesa della Nazione) agli ignari cittadini italiani.

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10 ... io/761496/

Alitalia in bilico, i francesi non investono più. Crediti bancari a rischio di Costanza Iotti

Se per Intesa Sanpaolo, azionista e creditore di Alitalia, il partner industriale della compagnia italiana “deve essere Air France-Klm”, per i vertici franco-olandesi, invece, è meglio che il vettore romano si organizzi diversamente. Almeno per l’imminente aumento di capitale. Proprio mentre Carlo Messina, ad di Banca Intesa, sostiene la strategicità delle relazioni con Air France-Klm, il quotidiano economico francese La Tribune conferma che la compagnia d’Oltralpe non “intende partecipare alla ricapitalizzazione "senza un serio piano di ristrutturazione con tanto di tagli al personale, ridimensionamento della flotta e del ruolo degli scali. E soprattutto senza “l’annullamento del debito” da 1,2 miliardi accumulato dopo il salvataggio del 2008 orchestrato dall’ex premier Silvio Berlusconi e dall’allora banchiere Corrado Passera, che mise insieme la cordata dei “patrioti” di Cai, la holding di controllo di Alitalia.
Tuttavia le richieste francesi difficilmente potranno essere accettate perché, oltre a pesanti ricadute occupazionali, comporterebbero nella migliore ipotesi notevoli perdite per le banche e nella peggiore un nuovo salato conto per i cittadini che già hanno sborsato circa 4,5 miliardi in occasione del piano Passera di cinque anni fa. “I progetti di Air France-Klm sono ancora una volta in contraddizione con gli interessi del governo italiano – spiega il giornale francese – o degli ambienti finanziari della Penisola o di certi gruppi industriali che domandano lo sviluppo di una rete a lungo raggio per Alitalia contrariamente a quanto voluto dal gruppo franco-olandese che predilige piuttosto lo status quo”. Il riferimento, neanche troppo velato, è appunto ai debiti bancari e alle prospettive di sviluppo di Fiumicino che fa capo ad Aeroporti di Roma, controllata dalla famigliaBenetton, socia anche di Alitalia. Per lo scalo della capitale sono ad oggi previsti dodici miliardi di investimenti di ampliamento che andrebbero rivisti al ribasso nell’ottica di un vettore nazionale solo su scala locale. Quanto ai debiti “ci sono poche chance che le banche accettino di rinunciare a una grande parte dei propri crediti non ipotecari – prosegue La Tribune – tanto più che si tratta delle stesse banche (Intesa e Unicredit) che devono partecipare all’aumento di capitale e garantire in teoria, linee di credito supplementari per altri 200 milioni di euro”.
Salvo colpi di scena, quindi, Air France-Klm, che ha il 25% del capitale della compagnia italiana, “passerà la mano” esattamente come in una “partita a poker attendendo il prossimo giro”. Quello in cui si prevede che Alitalia si trovi di nuovo in difficoltà finanziarie, cioè “tra febbraio e marzo, al massimo in primavera”. Nulla di ufficiale naturalmente, ma ciò che filtra dalla stampa francese è un progressivo deteriorarsi della situazione in vista della scadenza del 14 novembre, data entro la quale i soci della compagnia aerea dovranno comunicare in via definitiva le proprie intenzioni sull’aumento di capitale da 300 milioni. E, a biglie ferme, Air France-Klm, le cui mosse sono nel mirino anche dei bellicosi sindacati francesi, si diluirà almeno al 10% del capitale della compagnia “perchè nel perimetro attuale, Alitalia non è fattibile”. E considerato che, secondo quanto aggiunge la testata, “le linee di credito supplementari da 200 milioni non sono finora assicurate” e non tutti i soci aderiranno all’aumento da 300 milioni, la nuova crisi è dietro l’angolo. Tanto più che le banche non sono intenzionate a fare più dello stretto dovuto: “Unicredit garantirà l’inoptato nell’aumento di capitale di Alitalia – ha spiegato l’ad, Federico Ghizzoni – ma puntiamo a creare le condizioni perché i soci lo sottoscrivano e abbia successo. Il nostro obiettivo è uscire dall’azionariato”.
La partita Alitalia, insomma, appare tutt’altro che conclusa. Tanto più che Bruxelles, su richiesta della British Airways, sta valutando se l’ingresso di Poste nel capitale Alitalia possa qualificarsi come aiuto di Stato. Se l’Unione dovesse pronunciarsi contro l’operazione, allora il salvataggio faticosamente costruito dal governo di Enrico Letta, salterebbe. In attesa che Bruxelles decida, il gruppo di Massimo Sarmi va avanti come da copione con il consiglio di amministrazione del 31 ottobre chiamato ad effettuare la modifica dello Statuto inserendo il trasporto passeggeri nel proprio oggetto sociale. Una mossa che, nelle idee del manager, renderebbe più realistica agli occhi dell’Unione l’ipotesi delle sinergie industriali possibili fra la futura partecipata Alitalia e la controllata, cronicamente in perdita, Mistral Air.
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