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Un politica paleondustriale per il futuro

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Un politica paleondustriale per il futuro

Messaggioda franz il 07/07/2013, 10:08

da Repubblica del 5 luglio 2013 di Alessandro De Nicola

Politica industriale è uno di quei termini che si presta ad ogni genere di ambiguità. L'Unione Europea cerca di definirla come l'insieme di politiche che "nell'ambito di un sistema di mercati aperti e concorrenziali" accelerano l'adeguamento dell'industria alle trasformazioni strutturali; promuovono un ambiente favorevole all'iniziativa, allo sviluppo e alla cooperazione tra imprese; favoriscono innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico. In un altro articolo del Trattato, si rende poi chiaro che non sono ammessi gli aiuti di Stato a condizioni non di mercato.

Come si vede, alti concetti che poi vanno declinati nel concreto, anche se le uniche scelte chiare sono il favore per i mercati aperti e concorrenziali e lo scetticismo verso le iniezioni di denaro pubblico.

Orbene, il nostro ministro dello sviluppo economico, Zanonato, in teoria dovrebbe occuparsi, come missione principale del suo dicastero, proprio di queste tematiche e seguendo l'ottica europea, mentre invece a volte sembra che la sua attenzione sia dirottata verso altri problemi.

In una recentissima intervista, ad esempio, egli dichiara che si batterà "affinché non si svendano aziende strategiche perdendo quote di mercato. Fincantieri e Finmeccanica...può capitare che abbiano bisogno di rafforzarsi, di stringere partnership industriali con altre imprese, ma con l'obiettivo di tutelare produzione di qualità e occupazione". Ebbene, in questa semplice frasetta vi sono 3 ovvietà e si sollevano altrettante preoccupazioni. Le ovvietà risiedono nel fatto che nessuna persona sana di mente può desiderare svendere, perdere quote di mercato e non avere come obiettivo la qualità della produzione. Come dicono i giuristi, si tratta di dichiarazioni inutiliter data.

Prima preoccupazione: "svendere" è una parola in codice per significare "privatizzare"? Negli ultimi 10 anni, in qualsiasi momento di mercato, buono o cattivo, chi voleva mantenere le aziende nelle mani della politica agitava lo spauracchio dei saldi: é un argomento ormai trito. Anche perché nel frattempo gli interessi sul debito si sono alzati ed abbatterlo attraverso le cessioni di patrimonio pubblico è diventato ancor più conveniente per lo Stato.

Seconda: persino imprese che operano in mercati concorrenziali come Fincantieri e Finmeccanica (quindi senza nemmeno potersi aggrappare alla foglia di fico del monopolio naturale o del servizio pubblico) sono considerate incedibili? Che tutta l'industria della difesa anglo-americana (che di motivi di vigilanza ai fini della sicurezza nazionale ne ha anche più di noi) sia in mani private non dice nulla? È la cantieristica? Come mai è lo stesso amministratore delegato di Fincantieri che continuamente chiede di essere privatizzato?

Infine: l'obiettivo delle imprese pubbliche è tutelare l'occupazione? Davvero? Certo, purtroppo così è stato per molti anni e di conseguenza abbiamo avuto i disastri Sulcis, Tirrenia, Alitalia e così via. Ma le società che stanno sul mercato devono competere e prosperare: è compito delle politiche governative rendere flessibile, aperto ed efficiente l'ordinamento giuslavoristico, favorendo così l'occupazione e nel contempo tutelando e formando chi si trova momentaneamente senza. È impensabile che la politica deleghi, a spese del contribuente, tale finalità alle aziende, rendendole per di più meno efficienti.

Andiamo avanti. Nella medesima intervista il ministro rende noto che avrebbe piacere se Alitalia restasse italiana e che ha fiducia nell'amministratore delegato Del Torchio, capace di tutelare gli interessi del paese. Non sembra chiaro al ministro che l'interesse del paese consiste nell'avere una linea aerea efficiente e che serva al meglio gli utenti, caratteristiche che si raggiungono in un mercato concorrenziale la cui esistenza dipende dalla volontà del governo di renderlo tale, non dalla volontà dell'amministratore delegato di uno dei concorrenti. Ed è sperabile che il ministro non voglia tirare fuori i sobri argomenti berlusconiani per i quali l'Air France avrebbe certamente complottato per spostare i turisti dal Colosseo alle spiagge della Normandia e quindi, per salvare il turismo e la patria, Alitalia doveva rimanere italiana (sempre con enormi costi per il contribuente).

L'ultima considerazione di Zanonato riguarda la Cassa Depositi e Prestiti e di un suo possibile intervento "per non disperdere il patrimonio di grandi imprese italiane coma Alitalia e Telecom". Questa eventualità è in contrasto con il principio esposto dallo stesso ministro per il quale lo Stato non fa l'imprenditore: più di così...mettere in mano pubblica i beni e le aziende che il governo considera a suo insindacabile giudizio prioritari! Inoltre, non viene data una giustificazione razionale a tali nazionalizzazioni striscianti e d'altronde sarebbe difficile farlo.

Insomma, se si dovesse dar retta a questa intervista, il Ministero dello Sviluppo Economico potrebbe ribattezzarsi Ministero delle Partecipazioni Statali e della Pianificazione Economica. Sarebbe un errore muoversi in questa direzione e non concentrarsi a disboscare il groviglio di lacciuoli che soffoca l'economia italiana. C'è bisogno di politiche industriali moderne, non paleoindustriali.

Alessandro De Nicola
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Re: Un politica paleondustriale per il futuro

Messaggioda trilogy il 08/07/2013, 10:08

questo è interessante per capire come funziona nella realtà la "politica industriale" all'italiana. Di situazioni come questa ne abbiamo centinaia che contribuiscono nell'insieme ad affondare l'economia del paese. E in questo caso la burocrazia ha trovato un accordo, (almeno per ora) quando non lo trova si blocca tutto.

[..]il decreto scavi deve attuare quanto previsto dal Crescita 2.0 (D.L. 179/2012) con nuove norme per semplificare gli scavi, riducendone tempi e costi, ma è rimasto da febbraio in balia delle trattative tra il ministero allo Sviluppo economico e quello delle Infrastrutture e dei Trasporti. I due ministeri avevano divergenze di vedute proprio sull'uso delle minitrincee. Tanto che a maggio i Trasporti ha rigettato una bozza di decreto preparata da Sviluppo economico e le trattative sono partite da zero.

Trasporti (su indicazioni di Anas, in particolare) aveva qualche remora a concedere agli operatori un via libera a usarle su tutto il territorio nazionale, ma per Sviluppo economico questo è sempre stato un punto essenziale per arrivare a un testo condiviso. Ad oggi le minitrincee- come confermato da una recente inchiesta del Corriere delle Comunicazioni- vengono usate dagli operatori solo a fronte di accordi specifici con enti locali e gestori della strada. Il testo invece spinge verso un ricorso più "di default" della minitrincea, ma per i dettagli bisognerà aspettare la firma dei due ministri e un passaggio alla Conferenza unificata (serve anche il parere delle Regioni). Le minitrincee sono senz'altro l'aspetto più importante del nuovo decreto, che include però anche altre semplificazioni nelle autorizzazioni e nella burocrazia in genere associata con gli scavi, la posa della fibra.

Sviluppo economico stima in circa 2 miliardi di euro i vantaggi che possono arrivare all'industria grazie alle semplificazioni, considerando che gli operatori investiranno 8-10 miliardi di euro per le nuove reti nei prossimi cinque anni circa.[..]

articolo: http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc ... rincee.htm
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