da Repubblica del 5 luglio 2013 di Alessandro De Nicola
Politica industriale è uno di quei termini che si presta ad ogni genere di ambiguità. L'Unione Europea cerca di definirla come l'insieme di politiche che "nell'ambito di un sistema di mercati aperti e concorrenziali" accelerano l'adeguamento dell'industria alle trasformazioni strutturali; promuovono un ambiente favorevole all'iniziativa, allo sviluppo e alla cooperazione tra imprese; favoriscono innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico. In un altro articolo del Trattato, si rende poi chiaro che non sono ammessi gli aiuti di Stato a condizioni non di mercato.
Come si vede, alti concetti che poi vanno declinati nel concreto, anche se le uniche scelte chiare sono il favore per i mercati aperti e concorrenziali e lo scetticismo verso le iniezioni di denaro pubblico.
Orbene, il nostro ministro dello sviluppo economico, Zanonato, in teoria dovrebbe occuparsi, come missione principale del suo dicastero, proprio di queste tematiche e seguendo l'ottica europea, mentre invece a volte sembra che la sua attenzione sia dirottata verso altri problemi.
In una recentissima intervista, ad esempio, egli dichiara che si batterà "affinché non si svendano aziende strategiche perdendo quote di mercato. Fincantieri e Finmeccanica...può capitare che abbiano bisogno di rafforzarsi, di stringere partnership industriali con altre imprese, ma con l'obiettivo di tutelare produzione di qualità e occupazione". Ebbene, in questa semplice frasetta vi sono 3 ovvietà e si sollevano altrettante preoccupazioni. Le ovvietà risiedono nel fatto che nessuna persona sana di mente può desiderare svendere, perdere quote di mercato e non avere come obiettivo la qualità della produzione. Come dicono i giuristi, si tratta di dichiarazioni inutiliter data.
Prima preoccupazione: "svendere" è una parola in codice per significare "privatizzare"? Negli ultimi 10 anni, in qualsiasi momento di mercato, buono o cattivo, chi voleva mantenere le aziende nelle mani della politica agitava lo spauracchio dei saldi: é un argomento ormai trito. Anche perché nel frattempo gli interessi sul debito si sono alzati ed abbatterlo attraverso le cessioni di patrimonio pubblico è diventato ancor più conveniente per lo Stato.
Seconda: persino imprese che operano in mercati concorrenziali come Fincantieri e Finmeccanica (quindi senza nemmeno potersi aggrappare alla foglia di fico del monopolio naturale o del servizio pubblico) sono considerate incedibili? Che tutta l'industria della difesa anglo-americana (che di motivi di vigilanza ai fini della sicurezza nazionale ne ha anche più di noi) sia in mani private non dice nulla? È la cantieristica? Come mai è lo stesso amministratore delegato di Fincantieri che continuamente chiede di essere privatizzato?
Infine: l'obiettivo delle imprese pubbliche è tutelare l'occupazione? Davvero? Certo, purtroppo così è stato per molti anni e di conseguenza abbiamo avuto i disastri Sulcis, Tirrenia, Alitalia e così via. Ma le società che stanno sul mercato devono competere e prosperare: è compito delle politiche governative rendere flessibile, aperto ed efficiente l'ordinamento giuslavoristico, favorendo così l'occupazione e nel contempo tutelando e formando chi si trova momentaneamente senza. È impensabile che la politica deleghi, a spese del contribuente, tale finalità alle aziende, rendendole per di più meno efficienti.
Andiamo avanti. Nella medesima intervista il ministro rende noto che avrebbe piacere se Alitalia restasse italiana e che ha fiducia nell'amministratore delegato Del Torchio, capace di tutelare gli interessi del paese. Non sembra chiaro al ministro che l'interesse del paese consiste nell'avere una linea aerea efficiente e che serva al meglio gli utenti, caratteristiche che si raggiungono in un mercato concorrenziale la cui esistenza dipende dalla volontà del governo di renderlo tale, non dalla volontà dell'amministratore delegato di uno dei concorrenti. Ed è sperabile che il ministro non voglia tirare fuori i sobri argomenti berlusconiani per i quali l'Air France avrebbe certamente complottato per spostare i turisti dal Colosseo alle spiagge della Normandia e quindi, per salvare il turismo e la patria, Alitalia doveva rimanere italiana (sempre con enormi costi per il contribuente).
L'ultima considerazione di Zanonato riguarda la Cassa Depositi e Prestiti e di un suo possibile intervento "per non disperdere il patrimonio di grandi imprese italiane coma Alitalia e Telecom". Questa eventualità è in contrasto con il principio esposto dallo stesso ministro per il quale lo Stato non fa l'imprenditore: più di così...mettere in mano pubblica i beni e le aziende che il governo considera a suo insindacabile giudizio prioritari! Inoltre, non viene data una giustificazione razionale a tali nazionalizzazioni striscianti e d'altronde sarebbe difficile farlo.
Insomma, se si dovesse dar retta a questa intervista, il Ministero dello Sviluppo Economico potrebbe ribattezzarsi Ministero delle Partecipazioni Statali e della Pianificazione Economica. Sarebbe un errore muoversi in questa direzione e non concentrarsi a disboscare il groviglio di lacciuoli che soffoca l'economia italiana. C'è bisogno di politiche industriali moderne, non paleoindustriali.
Alessandro De Nicola
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