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Il fattore P e i re negligenti

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Il fattore P e i re negligenti

Messaggioda ranvit il 17/11/2012, 13:05

http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ref=HREA-1

LE IDEE

Il fattore P e i re negligenti
di BARBARA SPINELLI
Esiste il fattore P (fattore Politica), come in guerra fredda esisteva, secondo la formula che Alberto Ronchey escogitò nel 1979, il fattore K, da kommunizm in russo. Il fattore K impedì all'Italia, per mezzo secolo, di darsi una democrazia compiuta. Troppo potente era il Pci, perché fossero ammesse vere alternanze. La democrazia, bloccata, s'incancrenì presto: assicurata l'immobile permanenza del trono, tutto era permesso. Il fattore P è più subdolo: quel che oggi si tende a escludere, ma senza dirlo, è la Politica tout court, intesa come dibattito fra visioni che si contrappongono perché la migliore sia votata, sperimentata, o respinta. Ovvio che se vien sottratta la politica-dibattito evapora anche la democrazia, che è sovranità del popolo ma, forse ancor più, controllo dei governati sui governanti. L'esclusione è subdola perché chi esce da questo schema subito è sospettato di antipolitica.

Se il fattore K nacque dalla guerra fredda, il fattore P è frutto insidioso della crisi economica, che alla guerra somiglia sempre più. La nazione in guerra non discute: si mobilita. La via d'uscita è univoca, e chi può tracciarla meglio dei tecnici, generali o economisti? Quel che accomuna le guerre e le grandi crisi è lo stato di ineluttabilità, che riduce le libere alternative. Il Regno della necessità si fa legge di natura, e s'installa a dispetto di smentite o disavventure.

La prevalenza del tecnico non è un fenomeno solo italiano: lo spiega Ralph Bollmann sul numero di settembre della rivista Merkur, esaminando il ruolo, "quasi sempre negativo", che gli esperti economici hanno avuto in Germania: a cominciare da Ludwig Erhard, Cancelliere dopo Adenauer, che fu ingegnoso negli anni dell'occupazione alleata, non dopo. Né è un fenomeno esclusivamente nazionale: l'Unione europea rischia analogo rattrappimento. Il tecnico Monti agisce politicamente, ma non senza una certa impazienza per la dialettica politica democratica, e per le sue lentezze parlamentari (intervista a Spiegel, 5-8-12).

Un fastidio simile lo spinge a difendere la tecnocrazia di Bruxelles, in un libro scritto con l'eurodeputata Sylvie Goulard (La democrazia in Europa, Rizzoli). Quel che si deduce dall'estratto apparso domenica su Repubblica è di grande interesse. Il libro chiede un'Unione più democratica, e a giusto titolo ricorda che se l'Europa non si fa, la colpa non è degli eurocrati ma dei governanti nazionali, della loro procrastinazione, imperizia, strapotere. Ma la tesi centrale, nel brano pubblicato, è un'altra: "A livello europeo, la richiesta di più "politica" risulta alquanto sconcertante. Da un lato perché essa mostra di ignorare il carattere intrinsecamente politico del progetto europeo sin dai suoi esordi (...). Dall'altro perché l'esperienza insegna che "più politica" tante volte significa meno rigore e più problemi: i giochi della politica minano la fiducia nelle istituzioni comuni; gli scambi di favori (...) possono portare ad accogliere nell'Eurozona uno Stato che non soddisfa del tutto i criteri richiesti, a chiudere un occhio su un deficit pubblico o ancora a ignorare una pericolosa bolla immobiliare".
I politici, secondo gli autori, non solo dissipano forze e tempo nel gioco della politica (l'incubo italiano è sempre quello: la contesa fra guelfi e ghibellini, la politica come gioco, o teatrino). Peccano soprattutto di imperizia, avendo ignorato le bolle finanziarie generatrici della crisi. Così come pecca il popolo, animato più da "pulsioni" che da ragionamenti. Ambedue, politici e popolo, eludono il solo farmaco che guarisca: i governi di unità nazionale, atti a "rassicurare gli investitori e i partner europei".

"Più politica tante volte significa meno rigore e più problemi": ecco la frase chiave, che tradisce impazienza di fronte alla politica-controversia. Un poco somiglia al disprezzo che Donoso Cortés nutriva, nell'800, per la clase discutidora dei Parlamenti borghesi. La guerra economica, in altre parole, meglio lasciarla ai periti tanto è complessa. Ma è proprio vero? Da quel che si sa, quasi nessun perito previde la crisi del 2007-2008. Perfino la regina d'Inghilterra se ne stupì, nel novembre 2008, in un incontro con eminenti economisti alla London School of Economics, e chiese: "Possibile che non abbiate visto venire nulla? Why did nobody notice it?". Chi aveva visto e suonato l'allarme fu per anni considerato uno stravagante, dentro e fuori le accademie. Quanto al governo tecnico italiano, sono tanti gli errori, troppi per non destare il sospetto che anche l'intenditore si districhi a fatica. Il problema non sono le battute, di cui Monti si rammarica. Dietro le battute ci sono sviste, calcoli mal fatti o fatti a tavolino, e marce indietro che denotano ragionamenti (e convinzioni) non sempre stabili. Ci sono le incessanti titubanze sugli esodati; i tagli di fondi (poi parzialmente ritirati) per i malati di Sla; la legge sulla corruzione, che lascia impuniti reati gravi quali il falso in bilancio e l'auto-riciclaggio; i tagli alla pubblica istruzione; l'aumento di ore di lavoro degli insegnanti a parità di stipendio, poi sconfessato; il pasticcio del tributo Imu per la Chiesa. I tecnici sono d'aiuto, in crisi e in guerra. Ma senza convinzioni civili forti rischiano di cadere anch'essi nella procrastinazione, nel disorientamento.

E i politici? I politici e i partiti continuano a delegare al tecnico i propri compiti. Scrive ancora Bollmann che gli unici esperti di politica restano pur sempre i politici. Solo loro sanno trovare equilibri accettabili tra bisogni di cassa e bisogni del Paese, tra economia e Stato di diritto, tra nazione e mondo. Solo loro possono pensare nuovi modelli di sviluppo, attento al clima e alla tutela del bene pubblico. I tecnici sono il più delle volte, come diceva Friedrich Schlegel a proposito degli storici, "profeti volti all'indietro". Stabilizzano il presente, anche parlando del futuro. Di rado sono i fondatori di ordini nuovi, in casa e in Europa.

Il guaio è che i politici in Italia non vogliono esserlo. Sono affetti da nolitio, non-volontà. Temono, se rifiutano le unità nazionali, l'epiteto dell'antipolitico, del demagogo. Sono anch'essi inorriditi dalle "pulsioni" del popolo (Grillo è pulsione). Somigliano ai re negligenti, che Dante colloca in un'aiuola fiorita dell'Antipurgatorio. Mettendosi da parte, s'aggrappano al potere per il potere: terreno tra i più propizi per la corruzione morale. Se non fosse così, non si darebbero tanto da fare per fabbricare una legge elettorale che lascia in piedi tutte le storture della legge precedente tranne l'unico vantaggio che aveva: far uscire dalle urne una maggioranza chiara.

In guerra fredda, un tacito accordo (la conventio ad excludendum) allontanava il Pci dal potere. Oggi la conventio allontana la politica. È l'argomento di Ilvo Diamanti, su Repubblica di lunedì: Monti è stato designato in quanto tecnico non eletto. "Perché non deve rispondere ai cittadini delle sue scelte. Ha ottenuto la fiducia del Parlamento proprio perché non è un politico. Per questo si fanno largo progetti di legge elettorale con l'obiettivo di impedire a qualcuno di vincere davvero. Per costringere le principali forze politiche al compromesso. Come nella Prima Repubblica. Per riproporre Monti al governo".

Lo scenario non è diverso in Europa. "La richiesta di più politica risulta alquanto sconcertante", scrive Monti. Perché sconcertante? Quando la politica si autoesclude in quanto inesperta, non resta che la tecnocrazia e questo diventa un problema. La domanda di più politica, e di partiti che anche in Europa lavorino a un ordine nuovo, è più che giustificata in una crisi che corrode il progetto europeo degli esordi. Marx diceva che i governi moderni sono semplici comitati d'affari delle forze di mercato. Oggi il caso pare aggravarsi. Per lungo tempo, l'eurocrazia fu un servizio tecnico degli Stati. Ora anche i governi nazionali sono servizi tecnici. Comitati d'affari nazionali d'un comitato d'affari europeo, in un circolo vizioso che solo il ritorno alla politica, dunque della speranza, può spezzare.
(17 novembre 2012)
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il fattore P e i re negligenti

Messaggioda ranvit il 17/11/2012, 13:08

http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... 46834268-3


SONDAGGIO IPR-REPUBBLICA.IT

Governo Monti, consensi in picchiata
dopo un anno fiducia ridotta a un terzo

Il rilevamento effettuato in occasione dell'anniversario dell'esecutivo tecnico fotografa la delusione del Paese: solo il 32% ci crede ancora. Record negativo per Fornero: -26% di gradimento in 12 mesi. Resiste solo il presidente del Consiglio (48%)









ROMA - Il governo Monti compie un anno, ma c'è poco da festeggiare. Quanto meno dal punto di vista del consenso. Se infatti la percentuale di gradimento del presidente del Consiglio rimane piuttosto alta, la fiducia degli italiani nell'esecutivo dei tecnici ha toccato il punto più basso proprio in concomitanza con l'anniversario del suo insediamento.

GUARDA LE TABELLE

A fotografare la delusione - e l'apparentemente contradditorio credito di cui continua invece a godere il Professore - è il sondaggio realizzato da Ipr Marketing per Repubblica.it su un campione di mille italiani consultati per via telematica. Gli intervistati che dichiarano di avere molta/abbastanza fiducia in Mario Monti sono il 48%. Una percentuale in forte calo (-4%) rispetto all'ultimo rilevamento dello scorso settembre, quando nell'aria c'era ancora l'eco degli apparenti successi ottenuti dal presidente del Consiglio nel corso dei vertici estivi con i partner europei, e addiritura in picchiata rispetto al picco del 62% conquistato nel gennaio scorso, ma comunque non lontana da quel 50% che lo aveva accolto al momento del suo ingresso a Palazzo Chigi a metà novembre del 2011.

Molto diverso è il discorso per la sua squadra, soprattutto per quanto riguarda i titolari dei dicasteri di punta. Gli italiani che sostengono di avere "molta/abbastanza" fiducia nel governo nel suo complesso sono crollati al 32% mentre un anno fa erano il 54%, ben 4 punti in più del gradimento riservato negli stessi giorni al premier. Il ministro che riscuote maggiore fiducia è la responsabile del Viminale Anna Maria Cancellieri con il 47%: 3 punti in meno rispetto allo scorso settembre e 8 punti in meno rispetto al giorno del suo giuramento. A seguire viene il ministro della Cooperazione internazionale Andrea Riccardi con il 43%, anche lui in calo rispettivamente di 3 e 5 punti in confronto con settembre 2012 e novembre 2011. Male anche Corrado Passera. Ad avere fiducia nel ministro dello Sviluppo economico è il 41% (a settembre come al momento del suo insediamento era il 46%).

Ma a forza di gaffe, provocazioni e provvedimenti contestati, chi ha davvero dilapidato il credito ricevuto al momento del suo arrivo al governo è il minstro del Lavoro Elsa Fornero. Un anno fa ad avere fiducia nella professoressa che si accingeva a mettere nuovamente mano alle pensioni degli italiani era il 58% degli intervistati, una percentuale altissima che non riscuoteva nessun altro componente dell'esecutivo tecnico. Oggi quel patrimonio di fiducia si è quasi dimezzato e solo il 32% (-26%) concede alla Fornero "molta/abbastanza" fiducia.
(17 novembre 2012)
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Re: Il fattore P e i re negligenti

Messaggioda trilogy il 18/11/2012, 11:28

ranvit ha scritto:http://www.repubblica.it/politica/2012/11/17/news/fatto_p_re_negligenti-46821322/?ref=HREA-1

LE IDEE

Il fattore P e i re negligenti
di BARBARA SPINELLI

[..] quel che oggi si tende a escludere, ma senza dirlo, è la Politica tout court, intesa come dibattito fra visioni che si contrappongono perché la migliore sia votata, sperimentata, o respinta. Ovvio che se vien sottratta la politica-dibattito evapora anche la democrazia, che è sovranità del popolo ma, forse ancor più, controllo dei governati sui governanti. L'esclusione è subdola perché chi esce da questo schema subito è sospettato di antipolitica.[..]


Barbara Spinelli quando scrive è sempre molto lucida e interessante.
Senza politica non c'è democrazia. In Italia supportata da responsabilità reali dei politici (uomini) e dei partiti (organizzazioni) si è innescata e opportunamente alimentata una distruzione della concetto stesso di politica come sintesi di interessi diversi. Il consenso viene sostituito dalla forza bruta, il politico dal burocrate.
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Re: Il fattore P e i re negligenti

Messaggioda ranvit il 18/11/2012, 11:49

Barbara Spinelli quando scrive è sempre molto lucida e interessante.
Senza politica non c'è democrazia. In Italia supportata da responsabilità reali dei politici (uomini) e dei partiti (organizzazioni) si è innescata e opportunamente alimentata una distruzione della concetto stesso di politica come sintesi di interessi diversi. Il consenso viene sostituito dalla forza bruta, il politico dal burocrate.



Totalmente d'accordo!


Per questo se Renzi perde le primarie (anche grazie all'ostruzionismo messo in atto con una organizzazione cervellotica e demenziale), votero' M5S....una bella rimescolata di carte non puo' che far bene!
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Re: Il fattore P e i re negligenti

Messaggioda franz il 18/11/2012, 13:07

trilogy ha scritto:Barbara Spinelli quando scrive è sempre molto lucida e interessante.
Senza politica non c'è democrazia.

Certo ma una pessima politica mette a rischio non solo la democrazia ma anche l'economia, le tasche degli italiani e delle imprese. Insomma la politica non deve essere arrogante e pensare di essere omnipotente ed omnipresente come Dio ma deve anche (dico e sottolineo anche) dar retta ai tecnici, alle persone competenti. Soprattutto quando i politici dimostrano di essere incompetenti (se non a volte anche furboni e disonesti).
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