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Mannino e la trattativa mafia-stato

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Mannino e la trattativa mafia-stato

Messaggioda flaviomob il 10/03/2012, 15:12

Mannino, “fuorionda” sulla trattativa: “Hanno capito tutto, stavolta ci fottono”

In un bar di Roma, una cronista del "Fatto" ascolta un colloquio riservato tra l'ex ministro e l'europarlamentare Udc Gargani. "Massimo Ciancimino ha detto la verità". Nelle parole del politico siciliano, la preoccupazione che emerga il ruolo della sinistra Dc e di Ciriaco De Mita nelle pressioni per ammorbidire il carcere duro per i boss di Cosa nostra nel 1992-1993

Calogero Mannino Sono circa le 12,30 di mercoledì 21 dicembre quando arrivo alla pasticceria Giolitti in via degli Uffici del Vicario, a due passi da Piazza del Parlamento, dove ho appuntamento per ragioni di lavoro con l’onorevole Aldo Di Biagio di Fli. Entro, ma non lo vedo. La voglia di accendere una sigaretta supera anche il freddo pungente. Esco. Mi siedo a un tavolino e ordino un cappuccino. Sono sola.

Poco dopo vedo arrivare, a passo lento, l’onorevole Calogero Mannino in loden verde, in compagnia di un signore dai capelli bianchi, occhiali, cappotto scuro taglio impermeabile e in mano un libro e dei fogli. Non so chi sia. I due stanno parlando. E continuano a farlo fermandosi in piedi accanto al mio tavolo. Mannino, che mi dà le spalle, dice con tono preoccupato e guardandosi più volte intorno sospettoso: “Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”.

Il suo interlocutore annuisce con cenni del capo e ripete: “Certo, certo, stai tranquillo, non ti preoccupare, ci parlo io”. E Mannino ripete: “Fallo subito, è importante, mi raccomando”. Poi, avvicinandosi di più al signore coi capelli bianchi, gli sussurra all’orecchio parole che ovviamente mi sfuggono, ma che suscitano nell’interlocutore un’espressione di meraviglia. Subito dopo, i due si salutano, si abbracciano e si scambiano gli auguri di Natale. Mannino si dirige verso il Pantheon, mentre il signore occhialuto col cappotto scuro verso Piazza del Parlamento, dove poco dopo lo fotografo con il mio iPhone.

Subito dopo mi raggiunge l’onorevole Di Biagio. Il quale, vedendomi un po’ turbata, mi domanda cosa mi sia accaduto. Rispondo genericamente di aver ascoltato Mannino dire cose incredibili. Rientro in redazione nel primo pomeriggio e racconto per sommi capi quello che ho visto e sentito al direttore Antonio Padellaro e al vicedirettore Marco Travaglio. Quest’ultimo, quando gli mostro la foto scattata dal mio iPhone e gli chiedo se riconosca il signore occhialuto coi capelli bianchi, risponde sicuro : “Certo, è Giuseppe Gargani, ex democristiano, demitiano, poi berlusconiano”. Gargani è un ex Dc, ex Ppi, nominato commissario dell’Agcom dal governo dell’Ulivo, poi transitato in Forza Italia e di lì confluito nel Pdl, eletto europarlamentare, ultimamente fondatore di Europa Sud e da poco passato all’Udc di Casini. Alla luce di questa biografia, le parole che ho appena ascoltato diventano tante tessere che vanno a riempire una parte del mosaico.

Annoto quello strano episodio con le parole che ho ascoltato dalla viva voce di Mannino nel mio taccuino: un giorno questi appunti potrebbero tornare utili. Ci ripenso quando leggo che la Procura di Palermo, nel corso dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, è salita a Roma il 12 gennaio per sentire come testimone Ciriaco De Mita. Già so infatti quel che ha dichiarato a suo tempo Massimo Ciancimino: la trattativa fra gli uomini del Ros e suo padre Vito godeva di coperture politiche anche tra le file della sinistra Dc (la corrente, appunto, di De Mita e Mannino).

Mi riservo di approfondire e contestualizzare meglio. Intanto passa qualche altro giorno ed ecco accendersi definitivamente la lampadina quando, il 23 febbraio, le agenzie e i siti battono la notizia che Calogero Mannino, già assolto in Cassazione dopo un lungo e tortuoso processo per concorso esterno in associazione mafiosa, è di nuovo indagato a Palermo. Questa volta per il suo presunto coinvolgimento nella trattativa Stato-mafia. Il reato contestato è quello previsto dall’articolo 338 del Codice penale, aggravato dall’articolo 7 (cioè dall’intenzione di favorire Cosa Nostra): per “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Lo stesso che vede già indagati il generale ex Ros Mario Mori, l’ex capitano Giuseppe De Donno, il senatore Marcello Dell’Utri, i boss Totò Riina e Bernardo Provenzano. Approfondisco le ultime mosse dei magistrati e apprendo che durante l’interrogatorio c’è stato un duro scontro tra il pm Antonio Ingroia e Ciriaco De Mita.

Ingroia definisce Mannino, nel periodo che era oggetto dell’interrogatorio, ministro degli Interventi straordinari del Mezzogiorno, De Mita puntualizza: “Ministro dell’Agricoltura”. Ma il pm insiste. “E come fa a permettersi di insistere?”, sbotta De Mita. Il pm replica: “Perché ricordo, ricordo diversamente”. “Giudice – ribatte De Mita – se lei ha la presunzione della verità delle sue opinioni, io temo per gli imputati!”. Ad avere ragione è Ingroia: Mannino fu ministro dell’Agricoltura nel 1982 e ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno dal 12 aprile ‘91 al 28 giugno ‘92. Ma alla fine De Mita aveva dovuto ammettere di avere torto: “È grave, è grave per me…”.

Quanto al ruolo di Mannino, le cronache riferiscono che l’autista di Francesco Di Maggio (il magistrato promosso vent’anni fa vicedirettore del Dap e poi scomparso) ha rivelato ai pm di aver appreso dallo stesso Di Maggio che proprio Mannino fece pressioni affinché non venisse rinnovato il 41-bis ad alcuni mafiosi detenuti. Ecco di che cosa parlava Mannino con Gargani quel mattino poco prima di Natale. Ecco perché appariva così terrorizzato da possibili “voci stonate” sulla trattativa e interessato alla compattezza e all’uniformità delle versioni da parte di tutti gli “amici” della vecchia Dc. Ed ecco, ben chiare di fronte a me, le ultime tessere mancanti del mosaico di quell’episodio che temevo fosse destinato a restare confinato in qualche riga di appunti sul mio block notes.

Ne parlo con qualche mia fonte di ambiente investigativo e ben presto la scena cui ho assistito davanti al bar Giolitti giunge a conoscenza dei magistrati di Palermo. Vengo convocata dai pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Paolo Guido che indagano sulla “trattativa” per essere ascoltata come persona informata sui fatti, cioè come testimone nel fascicolo sulla trattativa. Ovviamente accetto di raccontare tutto ciò che ho visto e sentito quel mattino. Dopo verranno subito sentiti i due politici protagonisti del colloquio da me casualmente ascoltato: cioè Mannino e Gargani.

Alla fine, al momento di firmare il verbale, i magistrati mi ricordano che le deposizioni dei testimoni sono coperte dal segreto investigativo. Obietto che sono una giornalista, oltreché la depositaria della notizia. Dunque, ultimate tutte le verifiche per contestualizzare il colloquio Mannino-Gargani, racconterò tutto anche ai lettori. Cosa che ho appena fatto.

da Il Fatto Quotidiano del 10 marzo 2012

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... no/196466/


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Re: Mannino e la trattativa mafia-stato

Messaggioda matthelm il 11/03/2012, 16:10

Mancino: «Io usato e venduto
nella trattativa con la mafia»
L'ex ministro dell'Interno: chi fece arrivare il mio nome a Riina?



ROMA - «Io sono amareggiato, non so più che cosa dire» mormora Nicola Mancino, ministro dell'Interno a partire dal 1° luglio 1992, nel pieno della presunta trattativa tra lo Stato e la mafia ricostruita dal nuovo atto d'accusa della Procura di Caltanissetta. Oggi, a ottant'anni compiuti, dopo essere stato presidente del Senato e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, trascorre gran parte del suo tempo a leggere e rileggere articoli e carte processuali sulla stagione del terrorismo mafioso, di cui fu testimone diretto.
Forse basterebbe dire la verità, presidente Mancino.
«Ma io l'ho detta! Ora vedo che i pubblici ministeri giudicano inverosimile il mio racconto, e ipotizzano che abbia qualcosa da nascondere. Ma io non ho segreti, se ne avessi li avrei già svelati, in mezzo a tanti che ritrovano la memoria dopo diciassette o diciotto anni non sfigurerei di certo. Ma non conosco verità inconfessabili, so solo ciò che ho riferito».

Ma come può pensare che sia verosimile non ricordare di aver incontrato Borsellino, quello che tutti indicavano come l'erede naturale di Giovanni Falcone appena assassinato, nel giorno del suo insediamento al Viminale?
«Capisco che possa apparire incredibile ma andò proprio così. Non ho mai escluso di avergli stretto la mano, ma non l'avevo mai visto prima, e dunque non avrei potuto riconoscerlo. Un altro giudice, Aliquò, ha detto che lui e Borsellino ebbero con me un fugace saluto e se ne andarono delusi, il che è compatibile con il mio non ricordo. C'erano centinaia di persone alla cerimonia del mio insediamento. Nessuno mi indicò quel magistrato come Borsellino, né lui mi ha chiesto un colloquio più approfondito. Ma le pare che se avesse domandato di incontrarmi io non avrei accettato?».

Non mi pare. Però pare impossibile che lei non ricordi l'incontro con colui che già era un simbolo dell'Antimafia, e di lì a poco ne divenne un martire. Borsellino appuntò sulla sua agenda l'incontro con lei.
«Il pentito Gaspare Mutolo riferisce che quel giorno Borsellino si allontanò dall'interrogatorio con lui per andare al Viminale, e quando tornò gli confidò di aver incontrato non me, ma Parisi e Contrada. Quel Contrada di cui Mutolo stava per rivelare le collusioni con la mafia. Il pentito è considerato attendibile, e il suo racconto coincide col mio. In ogni caso, a parte la possibile stretta di mano, è certo che dopo Borsellino non mi ha mai cercato. Tantomeno per dirmi che aveva intuito l'esistenza di una trattativa».

Magari poteva cercarlo lei.
«E perché? Io ero ministro dell'Interno, non della Giustizia. E della presunta trattativa, dei carabinieri che erano in contatto con Vito Ciancimino non ho mai saputo niente».

L'ex ministro della Giustizia Martelli dice di avergliene parlato, per lamentarsi di un'iniziativa che lui giudicava inopportuna. Mente Martelli o mente lei?
«Io non mento, a me Martelli non ha mai detto niente del genere. L'ho ribadito anche nel confronto che abbiamo fatto davanti ai magistrati di Palermo. Del resto non capisco il senso di lamentarsi con me: se pensava che i carabinieri stessero commettendo irregolarità o scorrettezze, perché Martelli non l'ha detto al procuratore competente? Io non avevo nessun tipo di rapporto con l'allora colonnello Mori. Lui e i suoi superiori non mi comunicarono nemmeno la cattura di Riina: me lo disse il presidente della Repubblica. Figurarsi se mi informavano dei loro incontri con Ciancimino».

Eppure Massimo Ciancimino e il pentito Brusca, l'uno per averlo saputo dal padre Vito e l'altro da Totò Riina, sostengono che il terminale politico della trattativa con Cosa Nostra era lei.
«Posso confessarle una sensazione? Io penso di essere stato usato e venduto».

Da chi?
«È quello che vorrei sapere. Evidentemente qualcuno ha fatto il mio nome a Vito Ciancimino, politicamente distante mille miglia da me, e poi il nome è arrivato a Riina. Aspetto di sapere come e perché s'è realizzato questo millantato credito. Purtroppo Ciancimino è morto e il figlio è giudicato inattendibile dagli stessi magistrati di Caltanissetta».

Può essere stato l'allora colonnello Mori?
«Non ho elementi per dirlo. Però è certo che Mori e il capitano De Donno s'incontravano con Ciancimino. Leggo che ritennero di non riferire nulla dei loro incontri nemmeno al giudice Borsellino. Questo a me pare inspiegabile».

Lei dice di non averne saputo nulla all'epoca, ma oggi s'è fatta un'idea più precisa sulla trattativa? Qualcuno nello Stato è sceso a patti con la mafia?
«Io non lo posso escludere. E credo, a posteriori, che la mafia può aver avuto l'impressione che qualcuno nello Stato stava cedendo alle sue pressioni e richieste. Pezzi dello Stato, però, da cui io sono fuori. Ora qualcuno dice che lo Stato ha sempre trattato, ma allora significa che io sono cresciuto in uno Stato che non ha avuto rispetto di se stesso. Io l'ho servito sempre con onestà e determinazione, anche in un periodo torbido come quello. Fui per l'intransigenza contro i terroristi che tenevano in ostaggio Aldo Moro, s'immagini con i mafiosi. Preferisco passare per un ingenuo e magari un fesso, ma non come un furbo, o uno che nasconde la verità».

Nel 1993 lei seppe che a qualche centinaio di mafiosi non fu rinnovato il regime di carcere duro e non fece nulla. Perché?
«Io venni a sapere da un giornalista che il ministro della Giustizia Conso, succeduto a Martelli, non aveva rinnovato 140 decreti e risposi che bisognava vedere di che calibro fossero. Ora si scopre che erano quasi 400, ma non ne ebbi mai comunicazione ufficiale. Del resto non era materia di mia competenza, e lo stesso Conso ha riferito di aver preso quella decisione in assoluta solitudine».

Le pare credibile?
«Che le devo rispondere? Oggi leggo che ci fu una interlocuzione con la direzione delle carceri, evidentemente Conso avrà meditato e poi deciso. Ne fossi stato informato io avrei posto il problema nelle sedi competenti; lui, col suo indiscutibile prestigio, ha fatto quel che riteneva di fare».

Giovanni Bianconi
11 marzo 2012 | 10:00

Lo sfogo e l'amarezza di Mancino sul Corsera: mai trattato con la mafia. Io, per quel poco che vale, gli credo
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: Mannino e la trattativa mafia-stato

Messaggioda matthelm il 11/03/2012, 20:53

Mannino Mancino... ho fatto confusione.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: Mannino e la trattativa mafia-stato

Messaggioda Stefano'62 il 11/03/2012, 20:56

matthelm ha scritto:Mannino Mancino... ho fatto confusione.

:lol:
Poi tra i due,a parte il nome,c'è una bella differenza.
Stefano'62
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