Si lo so non è politicamente corretto ad una settimana dai ballottaggi, e magari lo voterei anch'io se fossi napoletano ma noi siamo "diversi" dagli altri e non possiamo dimenticare il De Magistris e gli incredibili errori del PD. Niente di nuovo sotto il sole? e quanti quaraquaqua. Una storia che si ripete? Indignatos!
Why not? E perché non votarlo? Il titolo di quella che fu una delle inchieste più note e più fallite della storia giudiziaria d’Italia si adatta bene alla stupefacente sindrome di Stoccolma che ha preso a Napoli tutte le vittime dell’ex pm Luigi de Magistris, trasformandole in suoi supporter nella corsa alla carica di sindaco. Nemmeno Clemente Martella, che da quella inquisizione fu politicamente fatto fuori (insieme al governo Prodi di cui faceva parte), se l’è sentita di schierare al ballottaggio i suoi diecimila voti contro il candidato dell’Idv, e si è rifugiato nella finta neutralità del Terzo Polo, che invece sottobanco pende dalla parte del nuovo Masaniello napoletano. Per non dire di Gianfranco Fini, che ai tempi del Pdl tuonava contro le toghe rosse e adesso considera l’emulo di Di Pietro il male minore rispetto al candidato berlusconiano Lettieri, «perché è difficile dire a un napoletano di votare per uno dietro il quale c’è l’ombra di Cosentino». O per non dire del magnifico rettore Pasquino, moderato candidato del moderatissimo De Mita, che da qualche giorno incontra segretamente de Magistris scoprendo in lui «un legame e una simpatia veri». Poi ci sono i venerati intellettuali come Francesco Rosi, che non resistono alla seduzione di un pm che sculacci Napoli. E poi ci sono gli imprenditori che fanno capo al past president di Confindustria Antonio D’Amato, gente sideralmente lontana dalla sinistra, che però in odio al collega imprenditore Lettieri (anzi, «prenditore di soldi pubblici» secondo de Magistris), si muovono per far vincere l’Uomo dei Valori. C’è chi dice che perfino Alfredo Vito, l’ex mister centomila preferenze del tempi d’oro della Dc, capitano di ventura ora passato agli ordini di Bocchino, stia lavorando per lui. Ma la conversione più sensazionale è certamente quella di Umberto Ranieri, il più giovane discendente dell’antica tradizione dei miglioristi napoletani che da sempre guardano come faro indiscusso a Giorgio Napolitano, e che oggi salirà sul palco di de Magistris per osannare il magistrato che insultò il capo dello Stato, reo di essere provvidenzialmente intervenuto per mettere fine alla indecorosa lite tra le procure di Catanzaro e di Salerno, accesa proprio dall’ex pm con le sue accuse ai colleghi. L’endorsement è così imbarazzante da aver provocato una divisione perfino nel compatto gruppo dei fedelissimi del Presidente: Emanuele Macaluso ha preso la penna per bacchettare l’enfasi con cui Ranieri abbraccia l’ex pm, descritto «come un gigante del pensiero e dell’azione», e per dire che lui per votarlo dovrebbe turarsi il naso. E l’olfatto di Macaluso è certamente più in grado di annusare l’aria che si respira al Quirinale. Quello che è certo è che, tra tutte le vittime di de Magistris, il Pd è sicuramente la più masochista. Dopo essersi suicidato con le primarie, incapace di dare ragione a Cozzoilno che aveva vinto o a Ranieri che aveva perso denunciando brogli, il partito di Bersani si è affidato a un mite prefetto che è stato surclassato dalla furia del magistrato. E ora sulla sua pelle si sta conducendo a Napoli un esperimento politico di valore nazionale: utilizzare i voti dei riformisti per togliere ai riformisti la leadership dell’opposizione. Il fatto è che de Magistris si è presentato come il campione dell’antipolitica, del disgusto per i partiti, della condanna del bassolinismo. Più o meno come fece proprio Bassolino ormai un ventennio fa, quando sulle macerie dei partiti spazzati via da Tangentopoli (Pci compreso) costruì un lungo regno personale. E oggi Napoli, città dagli umori facili e sempre pronta a concedersi a chi le mostri gli attributi di una prorompente virilità politica, sembra adorare l’afrore che emana dal corpo mistico dell’ex pm, vendicatore di torti e dispensatore di giustizia. La crisi della monnezza è l’equivalente delle tangenti del ’92, e l’elettorato scalpita per voltare pagina, al punto da respingere perfino una fisiologica alternanza: col paradosso che il candidato del centrodestra sembra più in continuità con il regime del centrosinistra di quanto non sia de Magistris, alleato del centrosinistra. Del resto Napoli è stata la prima città d’Italia a inventarsi il leader carismatico che vince contro tutto e tutti, contro i partiti e contro Roma. Si chiamava Achille Lauro; era certamente più ricco di Lettieri, ma decisamente meno giovane e bello di de Magistris.
A. Polito- Corriere della sera