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E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Messaggioda Iafran il 18/02/2011, 16:42

flaviomob ha scritto:Devo rettificare: intanto avevo capito male, credendo che la festività fosse istituita ogni anno (mentre è solo in occasione del 150°),

A maggior ragione. Una festività "ogni chissà quante morti di Papi" (5, 6 ... 20) si può concepire.
Quel giorno dovrà essere importante, ma anche eccezionale, per coloro che vogliono e che credono nella Nazione Italia.
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Re: E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Messaggioda pierodm il 18/02/2011, 23:20

Bella questa pagina del forum.

Ieri sera, ho lasciato Annozero nel momento in cui su RAI1 c'era Benigni.
Anche questa una bella pagina di televisione: retorica quanto vogliamo, ma ugualmente bella, come solo Benigni riesce a fare.

Devo però confessare un pensiero che ho avuto nel momento in cui, alla fine, stavo ritornando - senza grande interesse- a Santoro, dopo aver ascoltato anche la lettura del noto brano di Gramsci.
Ho pensato che - alla faccia di tante riscritture della nostra storia, ferventi in questi anni - in una celebrazione dellìItalia uno spezio e una voce così profonda l'abbiano avuta due "comunisti", Benigni e Gramsci, oltre tutto in un contesto tutt'altro che favorevole o "amico" com'è quello dela RAI di oggi.
Quando si parla di egemonia culturale.
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Re: E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Messaggioda pianogrande il 20/02/2011, 13:58

Eh! Sì!
Il patriottismo, nella sua versione propagandistica, è stato, a lungo, patrimonio della destra.
Quello di Benigni potrebbe essere anche patriottismo vero; essendo piaciuto ad entrambe le parti (esclusa la Lega che italiana non è).
Fotti il sistema. Studia.
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Re: E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Messaggioda Iafran il 27/04/2011, 18:39

pianogrande ha scritto:Per me, l'Italia unita ha cominciato a formarsi solo dopo la seconda guerra mondiale con la resistenza, la repubblica e la costituzione.
Prima di allora, era l'Italia della gestione dittatoriale, corrotta e sanguinaria dei Savoia.
Era l'Italia della guerra al cosiddetto brigantaggio, di Bava Beccaris (solo come esempio), del fascismo.
Una monarchia, quella dei Savoia, che ha sempre dato legnate in testa (e, purtroppo, anche fior di pallottole) al popolo.


Carlo Pisacane (Napoli, 22 agosto 1818 – Sanza, 2 luglio 1857), un protagonista e un rivoluzionario del Risorgimento italiano, si augurava una storia d'Italia ben diversa da quella che è stata e, certamente, avrebbe tanto da agire per modificare l'attuale.
Egli ha scritto, qualche giorno prima della sua tragica impresa, il suo testamento politico, che ripropongo in questo thread (ma poteva figurare benissimo in "Domani è il 25 aprile") per ricordare la sua figura e le ragioni del sacrificio di tanti, fino ai nostri giorni: un'Italia libera e repubblicana!
- - -
http://www.facebook.com/note.php?note_i ... 6308736380

Genova, 24 Giugno 1857.

Nel momento d'avventurarmi in una intrapresa risicata [rischiosa], voglio manifestare al paese la mia opinione per combattere la critica del volgo, sempre disposto a far plauso ai vincitori e a maledire ai vinti.
I miei principi politici sono sufficientemente conosciuti; io credo al socialismo ma ad un socialismo diverso dai sistemi francesi, tutti più o meno fondati sull'idea monarchica e dispotica, che prevale nella nazione: esso è l'avvenire inevitabile e prossimo dell'Italia e fors'anche dell'Europa intiera. Il socialismo, di cui parlo, può definirsi in queste due parole: libertà e associazione. [...]
Io sono convinto che le strade di ferro, i telegrafi elettrici, le macchine, i miglioramenti dell'industria, tutto ciò finalmente che sviluppa e facilita il commercio, è da una legge fatale destinato ad impoverire le masse fino a che il riparto dei benefizi sia fatto dalla concorrenza. Tutti quei mezzi aumentano i prodotti, ma li accumulano in un piccolo numero di mani, dal che deriva che il tanto vantato progresso termina per non essere altro che decadenza.
Se tali pretesi miglioramenti si considerano come un progresso, questo sarà nel senso di aumentar la miseria del povero per spingerlo infallibilmente a una terribile rivoluzione, la quale cambiando l'ordine sociale metterà a profitto dì tutti ciò che ora riesce a profitto di alcuni.
Io sono convinto che l'Italia sarà grande per la sua libertà o sarà schiava: io sono convinto che i rimedi temperati, come il regime costituzionale del Piemonte e le migliorie progressive accordate alla Lombardia, ben lungi dal far avanzare il risorgimento d'Italia, non possono che ritardarlo.
Per quanto mi riguarda, io non farei il più piccolo sacrifizio per cambiare un ministero o per ottenere una costituzione, neppure per scacciare gli Austriaci dalla Lombardia e riunire questa provincia al regno di Sardegna. Per mio avviso la dominazione della casa di Savoia e la dominazione della casa d'Austria sono precisamente la stessa cosa. Io credo pure che il regime costituzionale del Piemonte è più nocivo all'Italia di quello che lo sia la tirannia di Ferdinando II. Io credo fermamente che se il Piemonte fosse stato governato nello stesso modo che lo furono gli altri Stati italiani, la rivoluzione d'Italia sarebbe a quest'ora compiuta.
Questa opinione pronunciatissima deriva in me dalla profonda mia convinzione di essere la propagazione dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero. La sola cosa, che può fare un cittadino per essere utile al suo paese, è di attendere pazientemente il giorno, in cui potrà cooperare ad una rivoluzione materiale: le cospirazioni, i complotti, i tentativi di insurrezione sono, secondo me, la serie dei fatti per mezzo dei quali l'Italia s'incammina verso il suo scopo, l'unità. [...]
Vi sono delle persone che dicono: la rivoluzione dev'esser fatta dal paese. Ciò è incontestabile. Ma il paese è composto di individui, e se attendessero tranquillamente il giorno della rivoluzione senza prepararla colla cospirazione, la rivoluzione non scoppierebbe mai. Se al contrario tutti dicessero: la rivoluzione deve farsi dal paese e siccome io sono parte infinitesimale del paese, cosí ho io pure la mia parte infinitesimale di dovere da adempiere, e l'adempisse, la rivoluzione sarebbe fatta immediatamente e riuscirebbe invincibile perché immensa. Si può non esser d'accordo sulla forma di una cospirazione, sul luogo e sul tempo in cui una cospirazione debba compiersi: ma non essere d'accordo sul principio è un'assurdità, un'ipocrisia, un modo di celare il piú basso egoismo.
Io stimo colui che approva la cospirazione ed egli stesso non cospira: ma non sento che disprezzo per coloro che non solo non voglion far niente ma che si compiacciono nel biasimare e nel maledire gli uomini d'azione. Secondo i miei principi avrei creduto di mancare ad un sacro dovere se vedendo la possibilità di tentare un colpo di mano su d'un punto bene scelto ed in circostanze favorevoli, non avessi spiegato tutta la mia energia per eseguirlo,e farlo riuscire a buon fine.
Io non ho la pretesa, come molti oziosi me ne accusano per giustificare se stessi, di essere il salvatore della patria. No: ma io sono convinto che nel mezzogiorno dell'Italia la rivoluzione morale esiste: che un impulso energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo ed è perciò che i miei sforzi si sono diretti al compimento di una cospirazione che deve dare quello impulso. Se giungo sul luogo dello sbarco, che sarà Sapri, nel Principato citeriore [nel Mezzogiorno continentale], io crederò aver ottenuto un grande successo personale dovessi pure lasciar la vita sul palco. Semplice individuo, quantunque sia sostenuto da un numero assai grande di uomini generosi, io non posso che ciò fare, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, e non da me. Io non ho che la mia vita da sacrificare per quello scopo ed in questo sacrifizio non esito punto.
Io sono persuaso, se l'impresa riesce, otterrò gli applausi generali: se soccombo, il pubblico mi biasimerà. Sarò detto pazzo, ambizioso, turbolento, e quelli, che nulla mai facendo passano la loro vita nel criticare gli altri, esamineranno minuziosamente il tentativo, metteranno a scoperto i miei errori, mi accuseranno di non esser riuscito per mancanza di spirito, di cuore e di energia. [...]
Tutti questi detrattori, lo sappiano bene, io li considero non solo incapaci di fare ciò che si è da me tentato, ma anche di concepirne l'idea. A quelli che diranno che l'impresa era d'impossibile riuscita io rispondo che se prima di combinare di tali imprese si dovesse ottenerne l'approvazione nel mondo bisognerebbe rinunziarvi.
Il mondo non approva in prevenzione che i disegni volgari. Fu detto un pazzo colui che fece in America l'esperimento del primo battello a vapore, e si è più tardi dimostrata l'impossibilità di traversare l'Atlantico con tali battelli. Era un pazzo il nostro Colombo prima di aver scoperto l'America, e l'uomo volgare avrebbe trattato di pazzi e d'imbecilli Annibale e Napoleone se avessero avuto a soccombere quello alla Trebbia, questo a Marengo. Io non pretendo paragonare la mia impresa con quelle di questi grandi uomini. Essa per altro loro rassomiglia in una parte: perché sarà l'oggetto dell'universale disapprovazione se fallisco, e dell'ammirazione di tutti se riesco. Se Napoleone prima di abbandonare l'isola d'Elba per sbarcare a Fréjus con cinquanta granatieri avesse domandato dei consigli, il suo progetto sarebbe stato biasimato all'unanimità.
Napoleone aveva ciò ch'io non ho, il prestigio del suo nome, ma io unisco alla mia bandiera tutte le affezioni e tutte le speranze della rivoluzione italiana. Combatteranno con me tutti i dolori e tutte le miserie d'Italia.
Io più non aggiungo che una parola: se non riesco disprezzo profondamente l'uomo ignobile e volgare che mi condannerà: se riesco apprezzerò assai poco i suoi applausi. Ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici, che mi hanno recato il loro concorso ed hanno diviso i battiti del mio cuore e le mie speranze: che se il nostro sacrifizio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa l'aver prodotto dei figli che vollero immolarsi al suo avvenire.

Carlo Pisacane


(Scritti vari, inediti e rari, a c. di A. Romano, Ed. Avanti, 1964)
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Re: E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Messaggioda Iafran il 27/04/2011, 18:39

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Re: E sono centocinquanta. W l'unità d'Italia!

Messaggioda Iafran il 06/10/2011, 19:49

Un doveroso omaggio a Bronte, una cittadina (suppongo) delusa dal "moto risorgimentale per eccellenza".

Da oggi fino al 9 ottobre, a Bronte (Catania), si tiene la sagra del pistacchio, un prodotto che fa conoscere in Italia la cittadina etnea, ma Bronte era assurta già all'attenzione dell'Italia (meglio all'attenzione degli artefici della cosiddetta "Unità d'Italia") fin dai primi di agosto del 1860.

I cittadini di Bronte, infatti, non hanno bisogno delle celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, perché la "novità" dell'unità d'Italia sono stati i primi (di alcune centinaia di migliaia) a provarla sulla loro pelle e a ... doverla ritenere una vera e propria "azione piratesca" di Casa Savoia.
D'altra parte Garibaldi lo aveva scritto nel "proclama di Salemi" che assumeva la "Dittatura" della Sicilia <<in nome di Vittorio Emanuele II, fornendo così la dimostrazione che non era venuto in Sicilia per liberarla dai Borboni (che, alla fine, risulteranno addirittura meno dannosi e vessatori dei proconsoli di Casa Savoia) bensì per portare a compimento il prestabilito progetto di "annessione" del sud Italia alla monarchia piemontese, secondo i piani elaborati da Cavour.>>

Tutto l'entusiasmo e le speranze di quei primi cittadini siciliani sono stati repressi dalle stesse "camicie rosse", all'ordine di Nino Bixio. Un "tribunale di guerra", infatti, processò e condannò a morte, in quattro ore, Nicolò Lombardo, Spitaleri Nunzio Nunno, Samperi Nunzio fu Spiridione, Longhitano Nunzio Longi, Nunzio Ciraldo Fraiunco, il 9 agosto 1860 "in nome di Vittorio Emanuele II re d'Italia", quali capi di una rivolta popolare (altri 745 imputati, per avere la sentenza definitiva, vennero trattenuti in carcere fino al 1863, nonostante il decreto d'indulto di Garibaldi del 29 ottobre 1960). (*)

Una "bella lezione" ai popolani di Bronte e a tutti quelli che avevano accolto quelle che sembravano "nuove idee per una giustizia sociale" e che si erano illusi "di uscire dal tunnel della fame, della miseria e delle privazioni"!

http://www.ethosassociazione.it/bronte.htm
http://www.bronteinsieme.it/2st/mo_601a.html#repress

. . . .

(*) Una prassi questa della lunga detenzione nelle carceri sabaude, in condizioni ambientali estreme, riservata anche ai prigionieri dell'esercito borbonico ... per la loro fedeltà al giuramento originario (non ricordo la fonte).
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