Marcegaglia: «Il Veneto non è Mirafiori ma servono nuove regole»
Contratti, Bonanni (Cisl) attacca: «Clima violento anche qui in certe fabbriche. Intolleranza da naziskin
PADOVA — Sconcertati da una politica precipitata in un abisso forse mai visto, incerti se fare del Marchionnismo una nuova religione, timorosi di perdere l’ennesimo treno su ripresa (che finalmente si intravede) e federalismo (tanto agognato), gli industriali veneti scelgono di sostenere la leader. Emma Marcegaglia sbarca al Gran Teatro Geox per l’assemblea di Confindustria Padova, tra migliaia di colleghi (1.800 per l’esattezza) e addetti ai lavori; plana sulla città veneta per benedire il neo presidente Massimo Pavin e marcare tutta la differenza che ormai c’è tra il potere «di chi distribuisce le risorse pubbliche» e le necessità «di coloro che producono ricchezza in questo Paese», per usare le parole di un altro protagonista della serata, il segretario Cisl Raffaele Bonanni. È una Marcegaglia che già dall’esordio sul palco fa capire che non è più tempo di grandi affettuosità confindustriali nei confronti del governo e dei media a lui fedeli: «Vedere qui tanta gente mi ripaga delle cose non belle che mi sono capitate di recente, per esempio quando sono stata insultata solo perché ho detto che il Paese è fermo». E poi, sulla lettera di Berlusconi al Corriere con tanto di proposta bipartisan, la risposta è assai fredda: «Basta parlare. Si sblocchino subito in Consiglio dei ministri i provvedimenti possibili a sostegno della crescita, come i finanziamenti già stanziati per le opere pubbliche». Ma il tema più forte della serata è forse quello delle relazioni sindacali, dello strappo Fiat e di ciò che ne consegue. Provvede Bonanni a scaldare il clima: «Anche in Veneto, in alcune fabbriche non si può discutere in assemblea. Chi ha avuto buona volontà viene denigrato.
E le sedi Cisl vengono attaccate. Un caso unico in Europa, visto che certe violenze le fanno solo i naziskin in Germania. Ecco, fanno come i naziskin ». Bonanni poi precisa che a Nord Est, nella stragrande maggioranza dei casi, «le relazioni industriali vanno alla grande. E, prima ancora di Pomigliano, in tante industrie tessili o chimiche, molte delle quali in Veneto, si erano stretti accordi per ottenere più produttività e difendere i posti di lavoro». Quasi un assist per la Marcegaglia che, chiamata a ragionare sulla rivoluzione Marchionne, sceglie una specie di via di mezzo: «Ciò che è successo a Mirafiori e Pomigliano è un fatto positivo ma riguarda casi specifici. In altre aree del Paese, come in Veneto, certi problemi erano stati risolti e affrontati». La questione adesso è come andare avanti per tutto il sistema: «Ripartiamo dalla prossima stagione dei contratti aziendali, e poi con il rinnovo dei contratti nazionali per introdurre nuove regole nelle relazioni industriali. Dovremo avere più produttività, meno assenteismo senza intaccare i diritti fondamentali, e certezze sulla rappresentanza». Ovvero: «Se il 51% dei lavoratori di un’azienda firma un contratto, il resto si deve adeguare. Non può una minoranza alzarsi e pretendere di scioperare contro». È il principio - contestatissimo dalla Fiom - introdotto a Mirafiori.
Tracce di convinto sostegno a Marchionne si trovano nelle due relazioni d’apertura: «La sua sfida - dice Francesco Peghin, il presidente di Confindustria Padova uscente - ha riportato l’Italia alla realtà, ricordando a tutti che nel mondo globale, ci piaccia o no, si gioca secondo le regole globali». C’è delusione verso la politica: «In questa legislatura c’erano i presupposti per realizzare grandi riforme, per modernizzare il Paese. Qualcosa si è fatto, la tenuta dei conti, la riforma dell’Università, ma si è fatto certamente molto meno di quello che si sarebbe potuto e dovuto». E poi l’emozionato Massimo Pavin, successore di Peghin: «Marchionne ha posto al centro i temi della competitività e della produttività, ora è necessario costruire insieme un quadro di rapporti più moderno, relazioni industriali che possano unire due obiettivi essenziali. Più flessibilità per le imprese, per meglio utilizzare turni, orari e straordinari; più retribuzione detassata, più solide speranze di riassorbimento ai disoccupati delle aziende in crisi».
Se c’è poi un tema che unifica - e senza sfumature diverse - è quello delle tasse. Marcegaglia rimarca che il «federalismo è una nostra battaglia ma vogliamo che significhi minore spesa pubblica, fisco e burocrazia più leggeri. E non il contrario». E poi, la patrimoniale: «È inaccettabile. Prima di parlare di altre tasse in questo Paese è bene ragionare su dove tagliare la spesa pubblica. Ci sono ancora ampi spazi per farlo, senza però arrivare ai tagli lineari. Noi - annuncia - faremo entro un mese una proposta di riforma fiscale. Vogliamo vedere delle azioni oggi e subito». Per avere meno fisco, bisogna ottenere meno deficit e più crescita. Corrado Passera, ad di Intesa, qualche idea ce l’ha: «Promuovere le opere che si ripagano con l’intervento dei privati; agire sul patrimonio pubblico perché qualcosa si può dismettere, e sull’evasione fiscale perché qualcosa si può recuperare, visto che vale 150 miliardi di euro». E poi, smetterla di pensare a un’Italia «che non esiste, cioé quella che viene fuori da una media tra chi sta ai vertici in Europa e chi sta agli ultimi». In platea sanno di stare tra i primi. E applaudono.
Claudio Trabona
01 febbraio 2011
http://corrieredelveneto.corriere.it/ve ... 9967.shtml