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Bene Veltroni: idee chiare per il PD

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Re: Bene Veltroni: idee chiare per il PD

Messaggioda matthelm il 26/01/2011, 14:49

Vedi, a volte insistere ne vale proprio la pena...Iafran, mondo di panna!
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Re: Bene Veltroni: idee chiare per il PD

Messaggioda matthelm il 26/01/2011, 14:54

N.B.: Iafran è esonerato dal leggere l'articolo.

Un altro Pd è possibile

Voglio innanzitutto ringraziare Pierluigi Bersani. La sua presenza al Lingotto non è stata una visita di cortesia. Al contrario. È stata la più autorevole smentita alle voci che appena una settimana fa nel Pd avevano descritto noi di Modem come quattro gatti privi di linea politica, invitandoci addirittura a stare alla larga da responsabilità di partito. L’assemblea del Lingotto è un bel regalo a tutto il Pd perché qui sta prendendo forma un “manifesto” per l’Italia dopo Berlusconi.
È ormai infatti evidente che nessun rilancio, nessuna riforma, nessuna fuoriuscita dalla crisi, nessuna riscossa morale sarà possibile senza lo shock positivo rappresentato dalla chiusura del ventennio berlusconiano. Voltare pagina, uscire dal berlusconismo: a questo obiettivo vanno finalizzate le nostre scelte tattiche, con flessibilità. E con un partito unito nella battaglia. Sapendo che l’Italia non può andare al voto a cuor leggero; ma che ancora meno può rassegnarsi alla leadership di Berlusconi. Senza voltare pagina anche le nostre parole diventano inservibili.
Come si fa a parlare di giovani e di merito con la guida del paese alle prese col bunga-bunga? Con che coraggio la classe politica può chiedere sacrifici? E come parlare di valori, di decoro, di famiglia? E che dire di sentimenti come il pudore e la vergogna? Abbiamo perfino rischiato di giocarci la possibilità di pronunciare liberamente la parola Italia. Visto che proprio di quel nome voleva appropriarsi Berlusconi con la sua ultima trovata pubblicitaria.
Sono passati oltre tre anni dal primo Lingotto, vero e proprio atto di nascita del Pd sul piano dell’identità politica. E in questo tempo molte cose sono cambiate. Ma non è cambiata la nostra ispirazione di fondo, racchiusa in quello slogan che ci sovrasta: «Fuori dal Novecento». Non si tratta di uno slogan fuori stagione, come qualcuno ha pensato, anche nel Pd, di fronte alla crisi più grave dell’era della globalizzazione esplosa nel 2008. Quella terribile crisi finanziaria e i diversi effetti perversi della globalizzazione non giustificano affatto l’abbandono di quel riformismo liberale che è stato l’anima e il linguaggio comune del Pd battezzato qui nel 2007. Anzi, lo rendono più urgente. Per questo non mi convince la deriva anti moderna di Bossi e Tremonti in versione no global.
E nemmeno mi convince l’idea, diffusa nel Pd, che la gravità della crisi rilanci l’attualità delle scelte fondamentali della socialdemocrazia del secolo scorso archiviando il riformismo liberale, in primis quello di Blair, quasi fosse un lusso buono per la belle époque degli anni Novanta.
Chi di fronte alla crisi invoca più intervento statale e più spesa pubblica, chi si affida al mero rilancio dei tradizionali meccanismi redistributivi non fa i conti con la realtà. Dimentica, per fare un solo esempio, che nell’Italia di oggi le maggiori difficoltà economiche spesso coincidono con la maggiore presenza dell’intervento pubblico. Guardate alla Calabria, forse la nostra regione con maggiori difficoltà, dove la spesa pubblica rappresenta l’80% del Pil.
L’approccio liberaldemocratico, liberal direbbe il senatore Hart, resta più che mai il fondamento di una visione che fa i conti con la realtà globale e il suo futuro. Dovremo convivere con una crescita lenta. Troppo lenta, ovviamente, nell’Italia quasi ferma e insostenibile di Berlusconi. Ma comunque in tutta Europa la crescita sarà più lenta che nel secolo scorso e più lenta rispetto ad altre aree del mondo. Questa crescita rallentata non significa di per sé declino. A una condizione, cambiare la situazione in profondità.
Nel mondo nuovo il Pd si è trovato troppo spesso dalla parte sbagliata. Ora deve cambiare campo di gioco. Deve abbandonare il campo della difesa dell’esistente che ci ha portato quasi sempre sulla difensiva, talvolta con qualche ragione – penso all’Università – e spesso a torto come nel caso della Fiat dove non abbiamo avuto il coraggio di difendere l’accordo siglato per Mirafiori. Un campo della conservazione che talvolta sembra perfino nutrire nel Pd una certa nostalgia per il sistema politico della Prima repubblica.
È il campo del cambiamento quello in cui oggi si svolge la vera partita per ridurre le differenze sociali e rendere possibile uno sviluppo nuovo e sostenibile. Cambiare campo: solo così possiamo rispondere alla più grave delle nostre mancanze, la credibilità di un’alternativa di governo. Cambiare campo con alcune scelte chiare.
In cima alle nostre priorità dobbiamo mettere green economy e digitale. Capisco che questo governo “televisivo” guardi con diffidenza al web e abbia più dimestichezza con Drive in che con Google. Il che fa dell’Italia l’unico grande paese privo di un’agenda digitale. Noi dobbiamo sapere che il digitale non è uno dei settori, ma una chiave dello sviluppo possibile. Come nel secolo scorso l’elettricità, cambia l’economia e la vita di tutti. E purtroppo l’Italia, ottava economia industriale è la ventesima economia digitale nel mondo: ecco un serio rischio di declino. Il digitale non è solo volano per l’economia, cambia l’informazione, la partecipazione politica. È motore di libertà. Per noi del Pd è una sfida cruciale, e non limitata alle infrastrutture.
Pensate alle migliaia di giovani della Rivoluzione dei gelsomini in Tunisia: certo non manifestavano per la banda larga; usavano la banda larga per chiedere libertà. Green economy e digitale non sono bandiere di lobby nuoviste e un po’ marginali. Sono le priorità dei paesi più avanzati. Sono la chiave di successo delle nuove forze progressiste europee. Sono larga parte della risposta a come sia possibile un nuovo sviluppo in condizioni di crescita quantitativa frenata. C’è bisogno infine di un cambio di campo anche sul tema dell’etica pubblica. Dove non sempre il Pd è riuscito a dare l’esempio. Se proprio si vuole usare la parola rottamazione, propongo di cominciare di qui, dal ricambio di quei nostri dirigenti e amministratori che si sottraggono al dovere di dare il buon esempio. Ma etica pubblica non è solo rifiuto della corruzione e rispetto del decoro dovuto alle istituzioni.
È anche lotta ai conflitti di interesse che caratterizzano la rinnovata ingerenza del potere politico e pubblico in economia. Sulla scia del conflitto di interessi televisivo, ormai degenerato nell’epoca di Minzolini e Signorini, si fa strada una nuova commistione tra potere e economia, penso alla proprietà dei giornali o alle banche a partire dal caso Unicredit. Di nuovo la bussola del riformismo liberale deve guidarci contro questo putinismo strisciante che, sulla scia dell’esempio berlusconiano, dilaga e minaccia il buon funzionamento della nostra democrazia. Certo, il manifesto dell’Italia dopo Berlusconi che lanciamo oggi avrebbe bisogno di qualcosa in più. Avrebbe bisogno di un grande Partito democratico. Non di un partito che cerca rifugio in presunte certezze del secolo scorso. Non di un Pd che ha paura delle primarie, quasi fossero un marchingegno organizzativo e non la nostra risposta, la risposta democratica e non populista, alla crisi dei partiti del secolo scorso.
Noi oggi, da questo luogo carico di simboli per la breve vita del nostro partito, rinnoviamo la scommessa sul Pd. Ma non c’è molto tempo. E non so se avremo molte altre occasioni. So che un altro Pd è possibile. E che proprio ora che si apre la sfida del dopo Berlusconi è doveroso rilanciare il grande sogno dei democratici italiani.
*dall’intervento di sabato al Lingotto
Paolo Gentiloni
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Re: Bene Veltroni: idee chiare per il PD

Messaggioda flaviomob il 26/01/2011, 22:59

e' ridicolo richiamarsi al valore della liberaldemocrazia come superamento delle ideologie del novecento: che cos'è stato l'occidente del dopoguerra se non la declinazione della liberaldemocrazia, condizione necessaria per innestare poi un sistema di welfare di stampo socialdemocratico? vogliamo tornare alle basi? e con quale credibilità da parte di chi, tesserato PCI da sempre (da due generazioni) prima si dichiara 'mai stato comunista', poi giura e spergiura di ritirarsi in Africa e nel frattempo partecipa, da sindaco, al sacco di Roma? Caltagirone rappresenta il superamento del secolo breve?


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