Siamo arrivati finalmente ad un punto di accordo generale: che non siamo un paese "normale".
Naturalmente ci divideremo subito sulla natura e le ragioni di questa a-normalità, ma intanto abbiamo levato di mezzo un equivoco, sul quale si sono impiantate in questi dieci anni grandi volute di fumo "riformista".
Clamorosamente, siamo arrivati ad un mezzo accordo anche sul fatto che sia il buon cittadino che fa il buon governo: solo mezzo, perché c'è chi (come me) lo riconnette a radici storiche e sociologiche, cioè al "buon cittadino politico", e c'è invece chi mette l'accento sui comportamenti minuti e su una specie di "decoro personale".
Meglio mezzo, tuttavia, che niente, almeno per ricominciare a ragionare.
I furti.
La mia Rollei era un pezzo d'epoca, non facilmente ricomprabile.
Quell'Olimpus invece non mi aveva soddisfatto: l'avevo presa perchè mi sembrava simile alla mia vecchia Pentax, naufragata in mare, ma era meno funzionale. Dettagli.
Se, però, siamo d'accordo che - sommando il punto e mezzo di accordo - non siamo un popolo normale, le soluzioni vanno ad inferire su una qualche specie di "educazione" del popolo stesso: così sembrerebbe, almeno.
Quindi ha ragione la destra, che sull'immediato punta tutto sulla repressione e sul paternalismo "benpensante", per ciò che riguarda il decoro?
No, perché la non-normalità non ha generato soltanto un popolo strano, ma anche una tradizione e una cultura politica strane: quella cultura politica che dovrebbe "educare" il popolo, che nel momento repressivo o patrenalistico dimostra di essere non liberal-democratica, ma fascistoide e complessivamente troppo mediocre per aspirare ad educare chicchessia - a parte l'aggravante della strumentalizzazione dolosa a fini elettoralistici. Un classico circolo vizioso.
Io credo che se ne esce - con pazienza, fatica e molto studio - soltanto andando a incidere su qualcuno dei meccanismi che hanno determinato la situazione "culturale" della nazione: non risalendo alle radici remote di ordine storico, ché sarebbe impossibile, ovviamente, ma per esempio alla svolta che ha trasformato la vecchia società post-contadina in quella industriale e poi consumistica.
Una svolta che, a mio parere, si colloca negli anni '70, nei quali tutta intera la nostra società ha subito quello "sterminio culturale" e antropologico, ben individuato da Pasolini, nel quadro di una metamorfosi generale delle società occidentali preannunciata dalla sociologia dei decenni precedenti.
Anche allora, come oggi, l'equivoco fatale aveva le sue radici in una assai male intesa modernizzazione, subita passivamente e con fatue "fughe in avanti": colpevoli, la sinistra, il centro democristiano, i laici, con l'eccezione della destra, salvata dal fatto di essere per definizione ancorata al tradizionalismo, ossia dalla propria indifferenza al problema della modernità e della democratizzazione.
Una "soluzione", questa accennata, non solo assai complicata, ma per certi versi impossibile e improponibile, se si vuole intendere come una sorta di "ricostruzione" del "buon vecchio tempo che fu": tra l'altro si rischia di insabbiarsi nello stesso patetico revival alla Gelmini, fatto di grembiulini e, magari, dell'imposizione di una piuma sul cappellino della maestra.
Rivedere gli errori e gli orrori della didattica "democratica" significa ben altro che questo fagottello gelminiano di nostalgie.
Ma, oltre a queste soluzioni mirate sul problema specifico, è necessario mettere mano a profonde riforme della macchina statale e amministrativa, come dicevo in uno dei miei post precedenti: solo così si possono attuare quelle politiche d'intervento pratico che realmente incidano sui fenomeni.
Per esempio, l'intervento ragionevolmente "repressivo" - imprescindibie nell'immediato - implica una polizia realmente preparata e depurata dalle ideologie violente e post-fasciste che ancora la abitano, e un atteggiamento complessivo delle istituzioni che non veda il cittadino come una controparte o perfino come un potenziale malfattore.
Gran parte delle situazioni in paesi stranieri, che sono state portate a paragone, sono dovute ad una migliore amministrazione e organizzazione, che non s'improvvisano ma derivano da una lenta e antica "maturità" delle stesse istituzioni.
Fino a questo momento non ho visto nella coalizione di centro-sinistra una coscienza politica chiara in questo senso, se non in vaghi accenni all'interno di documenti programmatici condizionati da mille equilibrismi e dalla volontà principale di prendere le distanze da fantomatici "estremismi".
Fino a quando si pensa che la virtù politica consiste nell'accalappiare i voti dei "moderati", non cambierà mai niente, in questo nostro paese così poco "normale".