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Il governo piace...

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Il governo piace...

Messaggioda pierodm il 19/09/2008, 9:22

Siamo arrivati finalmente ad un punto di accordo generale: che non siamo un paese "normale".
Naturalmente ci divideremo subito sulla natura e le ragioni di questa a-normalità, ma intanto abbiamo levato di mezzo un equivoco, sul quale si sono impiantate in questi dieci anni grandi volute di fumo "riformista".

Clamorosamente, siamo arrivati ad un mezzo accordo anche sul fatto che sia il buon cittadino che fa il buon governo: solo mezzo, perché c'è chi (come me) lo riconnette a radici storiche e sociologiche, cioè al "buon cittadino politico", e c'è invece chi mette l'accento sui comportamenti minuti e su una specie di "decoro personale".
Meglio mezzo, tuttavia, che niente, almeno per ricominciare a ragionare.

I furti.
La mia Rollei era un pezzo d'epoca, non facilmente ricomprabile.
Quell'Olimpus invece non mi aveva soddisfatto: l'avevo presa perchè mi sembrava simile alla mia vecchia Pentax, naufragata in mare, ma era meno funzionale. Dettagli.

Se, però, siamo d'accordo che - sommando il punto e mezzo di accordo - non siamo un popolo normale, le soluzioni vanno ad inferire su una qualche specie di "educazione" del popolo stesso: così sembrerebbe, almeno.
Quindi ha ragione la destra, che sull'immediato punta tutto sulla repressione e sul paternalismo "benpensante", per ciò che riguarda il decoro?
No, perché la non-normalità non ha generato soltanto un popolo strano, ma anche una tradizione e una cultura politica strane: quella cultura politica che dovrebbe "educare" il popolo, che nel momento repressivo o patrenalistico dimostra di essere non liberal-democratica, ma fascistoide e complessivamente troppo mediocre per aspirare ad educare chicchessia - a parte l'aggravante della strumentalizzazione dolosa a fini elettoralistici. Un classico circolo vizioso.

Io credo che se ne esce - con pazienza, fatica e molto studio - soltanto andando a incidere su qualcuno dei meccanismi che hanno determinato la situazione "culturale" della nazione: non risalendo alle radici remote di ordine storico, ché sarebbe impossibile, ovviamente, ma per esempio alla svolta che ha trasformato la vecchia società post-contadina in quella industriale e poi consumistica.
Una svolta che, a mio parere, si colloca negli anni '70, nei quali tutta intera la nostra società ha subito quello "sterminio culturale" e antropologico, ben individuato da Pasolini, nel quadro di una metamorfosi generale delle società occidentali preannunciata dalla sociologia dei decenni precedenti.
Anche allora, come oggi, l'equivoco fatale aveva le sue radici in una assai male intesa modernizzazione, subita passivamente e con fatue "fughe in avanti": colpevoli, la sinistra, il centro democristiano, i laici, con l'eccezione della destra, salvata dal fatto di essere per definizione ancorata al tradizionalismo, ossia dalla propria indifferenza al problema della modernità e della democratizzazione.

Una "soluzione", questa accennata, non solo assai complicata, ma per certi versi impossibile e improponibile, se si vuole intendere come una sorta di "ricostruzione" del "buon vecchio tempo che fu": tra l'altro si rischia di insabbiarsi nello stesso patetico revival alla Gelmini, fatto di grembiulini e, magari, dell'imposizione di una piuma sul cappellino della maestra.
Rivedere gli errori e gli orrori della didattica "democratica" significa ben altro che questo fagottello gelminiano di nostalgie.

Ma, oltre a queste soluzioni mirate sul problema specifico, è necessario mettere mano a profonde riforme della macchina statale e amministrativa, come dicevo in uno dei miei post precedenti: solo così si possono attuare quelle politiche d'intervento pratico che realmente incidano sui fenomeni.
Per esempio, l'intervento ragionevolmente "repressivo" - imprescindibie nell'immediato - implica una polizia realmente preparata e depurata dalle ideologie violente e post-fasciste che ancora la abitano, e un atteggiamento complessivo delle istituzioni che non veda il cittadino come una controparte o perfino come un potenziale malfattore.
Gran parte delle situazioni in paesi stranieri, che sono state portate a paragone, sono dovute ad una migliore amministrazione e organizzazione, che non s'improvvisano ma derivano da una lenta e antica "maturità" delle stesse istituzioni.

Fino a questo momento non ho visto nella coalizione di centro-sinistra una coscienza politica chiara in questo senso, se non in vaghi accenni all'interno di documenti programmatici condizionati da mille equilibrismi e dalla volontà principale di prendere le distanze da fantomatici "estremismi".
Fino a quando si pensa che la virtù politica consiste nell'accalappiare i voti dei "moderati", non cambierà mai niente, in questo nostro paese così poco "normale".
pierodm
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arretrato, non a-normale

Messaggioda pagheca il 19/09/2008, 11:23

Caro Piero,

e' noto che e' un vizio della sinistra quello di fare sempre mille distinguo, per cui non ti stupirai se ti dico che, nonostante la tua analisi sia interessante, non sono del tutto d'accordo su una cosa: che siamo un paese anormale.

Quando ho cominciato a spostarmi per lavoro da un posto all'altro la mia prima impressione e' stata la stessa: buffo, proprio strana la situazione politica italiana. Ma a un certo punto, dopo tanti anni di giri, mi sono reso conto che il mio punto di vista era biased, che come molti sapranno si puo' tradurre un po' con "soffriva di un istintivo pregiudizio che si traduceva in un errore sistematico". Il fatto e' che noi italiani viviamo ai margini dell'Europa Centrale, a diretto contatto o quasi con paesi quali l'Austria, la Svizzera, la Germania (non cito la Francia perche' a mio parere soffre di talmente tanti difetti simili ai nostri da essere un caso a parte). Allora, anche a causa del fatto che la nostra infrastruttura industriale e' paragonabile alla loro, riteniamo che la "normalita'" sia quella. Infine, una certa fierezza rispetto al nostro passato e al nostro capitale artistico chiude il cerchio e ci convince che se non siamo come loro, e' perche' siamo "strani".

Purtroppo secondo me non e' cosi'. Primo la struttura industriale non significa tutto, per cui il confronto con le grandi democrazie europee non e' scontato. Inoltre - ed e' questo il punto principale - non esiste una vera normalita' al mondo. Esistono come dicevo in un precedente intervento Paesi al top dal punto di vista economico, Paesi emergenti, Paesi arretrati, paesi "mezz'emmezzo" e paesi disastrati, in una serie piuttosto continua. Non c'e' un solo parametro di giudizio che non sia perfettamente continuo se vai a vedere. Quello che e' successo e' che il rinnovamento industriale non ha corrisposto ad un rinnovamento istituzionale e infrastrutturale, forse anche a causa della nostra eredita' storica e burocratica molto pesante che ci ha bloccato. Questo ha causato una forte schizofrenia, come succede quando si formano delle aspettative che non sono corrisposte dai fatti.

Non e' solo un problema di hardware, di strade, treni, o di software (sistema legislativo, costituzionale etc.) ma anche e soprattutto di metodo di approccio ai problemi. Paesi come UK (ma penso anche alla Germania, sebbene la conosca poco) stanno attuando sempre di piu' un approccio scientifico e razionale ai problemi. Questo e' un aspetto che sfugge a molti, ma non a chi ci vive da anni e che ha la fortuna di poter confrontare questa realta' con tante altre vissute personalmente.

Se c'e' un problema qui la prima cosa che si fa e' un assessment della situazione. Successivamente le parti in causa si fanno avanti e discutono la cosa in maniera molto pragmatica, punto per punto, quasi senza cedimenti ideologici. Alla fine il Governo detta degli obiettivi e gli operatori creano una policy che dice come operare in maniera molto pratica: quanti minuti devono passare prima che un'ambulanza raggiunga il malato (8, se siete curiosi). In Italia il processo e' diverso. Pensa al caso delle riforme della scuola attuate finora. La strategia e' lo spoiling system delle cose fatte: in genere l'ultimo arrivato azzera le riforme precedenti e propone degli elementi di novita' (le 3 I, o il grembiule, o il maestro unico, o una qualche riforma dell'esame di maturita') senza una visione unitaria del sistema, senza nemmeno porsi il problema di quali obiettivi raggiungere e di come quantificare la realta' dei problemi. Per un po' si discutera' (senza costrutto) dell'ignoranza dei professori meridionali. Allora ci sara' chi li difende e chi li accusa. La divisione sara' ideologica e priva di senso da ambo le parti, perche' se non si ha una statistica indipendente (non di quelle alla Porta a Porta) che dice se c'e' una correlazione tra risultati scolastici e origine del docente, e' privo di senso prenderne parte. Ma la gente da noi, (ma anche in Grecia o in Romania, per fare un esempio) non sa nemmeno che il resto d'Europa ormai ha abbandonato il vecchio sistema di discutere delle cose senza prima sapere di cosa si sta parlando. Puo' non funzionare sempre, ma la direzione e' quella per tutti.

Cosi' come in questo caso, piu' o meno in tutto l'Italia e' arretrata. Ma non e' un problema reale di anormalita'. O meglio, culturalmente parlando ogni Paese e' anormale. Il Cile, che conosco bene andandoci spesso per lavoro, e' totalmente anomalo rispetto al resto del sudamerica, essendo caratterizzato da un'estrema affidabilita', da ridotta evasione fiscale, da fiducia nelle istituzioni. Il Regno Unito, con la sua divisione in classi, il suo forte carisma, la divisione in 3 stati assai diversi tra loro, etc. etc. e' molto diverso dal resto d'europa. Non mi stupirei se scoprissi che il Senegal o l'Etiopia sono "anomali" sia come istituzioni che culturalmente rispetto a chi li circonda, nella stessa misura in cui l'Italia lo e' rispetto all'europa centrale.

L'idea puo' essere anche che l'Italia e' anomala perche' c'e' uno straricco magnate al comando. Ma ogni sistema ha le sue di anomalie. In Austria un partito politico filonazista e' andato al potere anni fa. Negli USA chi non ha un forte potere economico e' tagliato fuori dalle competizioni elettorali, etc.

A questo punto secondo me dovremmo rinunciare a questa idea dell'anormalita' italiana, anche dal punto di vista politico, perche' alla fine diventa un po' una scusa. Mi ricorda quando l'insegnante dice dell'allievo distratto e nullafacente che e' un tipo molto sveglio ma "particolare". Se questo lo verra' a sapere, si convincera' ancora di piu' che la sua unicita' e' un valore e va conservata.

Convinciamocene: siamo un paese come gli altri. Fortunato rispetto alla media per la felice collocazione geografica e per il patrimonio storico e naturalistico (di cui non ci possiamo vantare, in quanto abbiamo fatto il possibile per massacrarlo e circondarlo di brutture - guarda le periferie delle nostre grandi citta' e lo stato di gran parte delle nostre coste). Sfortunato perche' abbiamo una brutta eredita' campanilista con cui convivere, per esempio.

Se Berlusconi e' anomalo essendo l'unico cittadino piu' ricco al potere al mondo, pluricondannato, possiamo dire che invece il Regno Unito ha una regina e un sistema chiuso di caste unico al mondo.

Il punto e' che, ti assicuro, della nostra anormalita' non gliene frega piu' niente a nessuno. Ha stufato come il papa' del film "The Greek Wedding" che sostiene che la Grecia e' al centro di tutto perche' ogni parola al mondo deriva dal greco. Si, vabbe', pero' chi lo dice che sia questo l'aspetto cruciale?

Questo punto, il fatto che noi riteniamo fondamentali gli aspetti che sono al centro del NOSTRO modo di pensare, tende a renderci pigri, a darci una scusa per credere di poter continuare a guardare gli altri dall'alto in basso nonostante i magri risultati. E' una discussione che ho fatto un'infinita' di volte, anche con mia moglie che mi dice sempre "si pero' in Italia a volte si incontrano delle persone straordinarie". E chi ti dice che non succeda la stessa cosa in Senegal o in Thailandia? Il fatto che non ci sei mai stato?

Noi non siamo anomali, siamo quello che siamo, e al resto del mondo frega sempre di meno di stare a perdere tempo con quello che facciamo del nostro patrimonio o con le nostre presunte stranezze, perche' ha altro di meglio cui pensare.

saluti
pagheca
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Re: arretrato, non a-normale

Messaggioda franz il 19/09/2008, 14:03

pagheca ha scritto:Caro Piero,

e' noto che e' un vizio della sinistra quello di fare sempre mille distinguo, per cui non ti stupirai se ti dico che, nonostante la tua analisi sia interessante, non sono del tutto d'accordo su una cosa: che siamo un paese anormale.

Considerato che non so se esiste veramente un criterio oggettivo (lo dubito) per definire "normalità" (e quindi anormalità) io considero determinante la percezione soggettiva del fenomeno.
Come ci consideriamo noi? Normali o anormali? Non esiste parere univoco. Puo' darsi che per un x% prevalga la normalità e per un y% (100-x) prevalga la tesi opposta. Probabile che su temi diversi ci siano senzazioni diverse sulla percezione di normalità.
Sono convinto che in politica la realtà sia relativamente importante e che sia piu' determinante l'opinione che noi abbiamo dei fatti. Lo diceva anche Epitteto, secoli fa: Non solo le cose che ci preoccupano ma le opinioni che abbiamo su di esse.

Io ho come l'impressione che i cittadini europei si considerino a posto (quindi normali in un paese normale) mentre per noi le cose sono un po' diverse. Il nostro (comprensibile) disagio per la nostra realtà si manifesta in due modi (puoi capire meglio se maneggi i principi base della psicologia dell'Analisi Transazionale):
a) io sono a posto (OK) e cio' che circonda non va bene (non è OK, non è normale)
b) Io forse sono l'elemento fuori linea e cio' che mi circonda è a posto. Sono io che devo adeguarmi se gli altri rubano o fanno i furbi.

Ciao,
Franz
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Re: Il governo piace...

Messaggioda pierodm il 19/09/2008, 18:03

Sono d’accordo con la panoramica di Pagheca e con la precisazione di Franz: guarda caso, nel mio post intendevo iniziare con una discussione del concetto di “normalità”.
Ma la mia lunga militanza nella politica on-line è segnata da una quantità industriale di Kb spesi in distinzioni sottili, che mal si conciliano con la rudezza della situazione che a mano a mano si è creata. E poi possiamo dare per acquisito che la normalità è una convenzione, oltre tutto molto relativa in se stessa, poco più di un'ipotesi di lavoro usa-e-getta.

Per portare avanti il discorso sul grado di “normalità” italiana mi viene la tentazione di fare riferimento alle differenze genetiche tra uomini e alcune specie di scimmie, che risultano assai ridotte, essendo il loro rispettivo patrimonio uguale al novantanove virgola x per cento.
E pure basta questo zero virgola per fare una differenza apprezzabile: dipende da che cosa si cerca.

La democrazia è un sistema indeterminato e in perenne evoluzione, che funziona o non funziona in base a differenze molto lievi, sia nelle istituzioni, sia nella società.
Soprattutto, nelle democrazie assumono un peso determinante sia la storia politica, sia la coscienza e la cultura dei cittadini, non solo in quanto questi ultimi sono “elettori”, ma anche in quanto esiste un’osmosi tra la cosiddetta società civile e le classi dirigenti che vanno al governo.
Le valutazioni su tutti questi fattori non possono essere fatte in assoluto, considerando per esempio l’ignoranza media della popolazione, o la corruzione dei pubblici amministratori, o i retaggi autoritari della storia di una o dell’altra nazione.
Esaminato in questo modo frammentato, ogni fenomeno finisce fatalmente riportato a quella “condizione umana” di cui abbiamo tante volte discusso, e che rende uguali tutte le storie, tutte le esperienze.
Bisogna invece mettere in relazione tra loro i diversi valori esaminati, e metterli in relazione con la collocazione storica e politica, e con le aspettative, le prospettive, le possibilità di sviluppo e i “punti di non ritorno”, vale a dire con le svolte storiche che hanno determinato un’occasione persa o un precedente che pesa nella coscienza e nella cultura diffusa della nazione.

Il nostro paese, innanzi tutto, appartiene alla storia europea e occidentale, e su questa dev’essere misurato.
Dentro questo quadro, la sua collocazione è del tutto particolare, essendo non solo un paese cattolico, ma la sede del potere ecclesiastico, che ha avuto un peso ideale e pratico assolutamente unico rispetto a qualunque altro paese.
Essere un paese con questa caratteristica significa avere un secolare vincolo anti-liberale e anti-illuministico.
Faccio grazia di altre specificità, dato che sono di consolidata conoscenza comune, a cominciare naturalmente dal fascismo, che ha condensato in sé una serie di vocazioni secolari, dando loro una figura politica e inserendole nel processo di modernizzazione: l’Italia è passata da uno status di società contadina e monarchica alla repubblica del boom economico attraverso il fascismo, ossia – tra l’altro – con l’idea che la modernità può convivere e la società funzionare anche con una cultura mediocre e paternalistica, e che la democrazia consiste in un plebiscito popolare al potere di turno.

Ce n’è abbastanza per creare un gap estremamente ampio con quelle democrazie – con quelle società – nelle quali la democrazia liberale è stata “inventata”.
Questo significa che la a-normalità italiana apparirebbe certamente meno evidente se guardata in un ambito diverso da quello delle democrazie occidentali, o forse sarebbe inavvertibile, o più probabilmente sarebbe vista con connotazioni diverse da quelle di cui parliamo.

Il discorso sulla normalità, insomma, viene fuori nel momento in cui si pone il problema di assimilarci ad altre democrazie, assumendone alcune forme istituzionali, specialmente se si tratta di paesi anglosassoni.
O nel momento in cui si misurano gli effetti di fenomeni che nel mondo occidentale hanno creato problemi anche gravi, che però hanno trovato una qualche soluzione, mentre in Italia sembrano essere devastanti e irrisolvibili, o sembrano scuotere sistematicamente le istituzioni e la stessa sostanza democratica dello stato.
La "normalità" in definitiva dev'essere giudicata non come attributo virtuoso in senso assoluto, ma come valore relativo ad un modello, per quanto sia modello "aperto", qual'è la democrazia politica: certe istituzioni tanto più funzionano, quanto più poggiano su una cultura, su una società e un equilibrio di fattori simile a quello che le ha concepite e create.
Là dove le istituzioni e il sistema democratici sono stati recepiti con una forte discontinuità storica e culturale, la democrazia ha messo in luce quegli aspetti che possiamo sintetizzare come "a-normalità" di un paese, proprio perché ha lasciato che questi aspetti fossero liberi di manifestarsi.
Forse tutto sarebbe più chiaro e la discussione più semplice se parlassimo di "specificità", invece che di "normalità".
Una specificità che, nel nostro caso, rende difficile analizzare e cercare soluzioni politiche a quegli stessi problemi che in altri paesi sono affrontati con efficacia sicuramente maggiore, poiché ai temi istituzionali s'intrecciano quelli culturali e ai valori astratti del "modello" s'intrecciano valori assolutamente estranei, storicamente alieni al modello stesso e alla sua genesi.

Detto tutto questo, personalmente non tengo in modo particolare a questa attribuzione di a-normalità: alla fine i nodi di fondo vengono fuori a prescindere dalle definizioni.
pierodm
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Re: Il governo piace...

Messaggioda franz il 20/09/2008, 9:23

pierodm ha scritto:Il nostro paese, innanzi tutto, appartiene alla storia europea e occidentale, e su questa dev’essere misurato.
Dentro questo quadro, la sua collocazione è del tutto particolare, essendo non solo un paese cattolico, ma la sede del potere ecclesiastico, che ha avuto un peso ideale e pratico assolutamente unico rispetto a qualunque altro paese.
Essere un paese con questa caratteristica significa avere un secolare vincolo anti-liberale e anti-illuministico.

Sono sostanzialmente d'accordo ma vorrei far notare che queste caratteristiche non solo influenzano cio' che siamo ma anche i tentativi di uscirne. Vincoli fortemente anti-liberali ed anti-illuministici trovano una reazione uguale e contraria che potrebbe essere nello stesso quadro "anti". Si oscilla quindi da un estremo all'altro, rimanendo nel campo dell'anormalità. Se la normalità è rappresentabile come la parte centrale di una curva (campana) di gauss (scusate l'esempio matematico me non me ne viene uno migliore) passare da un estremo all'altro della campana non ci porta verso la normalità.

pierodm ha scritto:La "normalità" in definitiva dev'essere giudicata non come attributo virtuoso in senso assoluto, ma come valore relativo ad un modello, per quanto sia modello "aperto", qual'è la democrazia politica: certe istituzioni tanto più funzionano, quanto più poggiano su una cultura, su una società e un equilibrio di fattori simile a quello che le ha concepite e create.
Là dove le istituzioni e il sistema democratici sono stati recepiti con una forte discontinuità storica e culturale, la democrazia ha messo in luce quegli aspetti che possiamo sintetizzare come "a-normalità" di un paese, proprio perché ha lasciato che questi aspetti fossero liberi di manifestarsi.
Forse tutto sarebbe più chiaro e la discussione più semplice se parlassimo di "specificità", invece che di "normalità".
Una specificità che, nel nostro caso, rende difficile analizzare e cercare soluzioni politiche a quegli stessi problemi che in altri paesi sono affrontati con efficacia sicuramente maggiore, poiché ai temi istituzionali s'intrecciano quelli culturali e ai valori astratti del "modello" s'intrecciano valori assolutamente estranei, storicamente alieni al modello stesso e alla sua genesi.

E' difficile vedersi normali o anormali ma è piu' facile vedere gli altri, apprezzare o meno il loro stato, vedere la differenza tra la propria realtà e quella altrui, considerare se la propria realtà è accettabile ed in caso negativo tendere a modificare la propria verso quella altrui. La normalità è quindi un obiettivo di chiunque consideri insoddisfacente il proprio stato di fatto. In Italia i tentativi di avvicinarsi a questa normalità mi sembrano sostanzialmente tutti falliti tanto che la soluzione pratica adottata da milioni di italiani è stata quella classica: l'emigrazione. Nella impossibilità di rendere "normale" l'Italia, moltissimi italiani si sono trasferiti all'estero, trovando là cio' che non trovavano a casa. Un po' come la storia di maometto e la montagna. Credo che anche questo faccia parte della nostra "specificità", visto che si parla di circa 60 milioni di persone di lingua e cultura italiana che vivono fuori d'Italia (ben oltre quindi quei pochi milioni iscritti all'AIRE).
Sono quelli che volevano cambiare e che nel giro di un secolo e piu' hanno creato tante ondate migratorie.
Forse anche per questo la voglia di cambiare è cosi' latente da noi?

Non vorrei pero' che il discorso, corretto, sulla specificità diventasse (come a volte è successo) un alibi per dichiarare che in fondo se siamo cosi' un motivo c'è e che si tratta di andare avanti cosi'. Diventerebbe una implicita accettazione supina della nostra condizione e quindi una forma di resistenza al cambiamento.

Ciao
Franz
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