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Perché

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Perché

Messaggioda pierodm il 04/01/2011, 15:40

Mi auguro che Piero torni, dopo le feste (mi spiace doverlo aspettare) e ci spieghi meglio perché ha partecipato: la sua presenza è stata importante, e ci ha dato degli input per evolverci. Vorremmo essere una piazza aperta: mi spiace, quando non ci riusciamo - scrive Annarosa.

Corrispondere a questo augurio significa aprire un discorso che, al di là delle intenzioni, finirebbe subito e facilmente per essere egocentrico: inutilmente egocentrico, per di più, dato che le ragioni della mia presenza qui sono probabilmente le stesse che spingono tutti gli altri, o almeno la maggioranza degli altri iscritti. E tuttavia quello che dice Myos ha un senso.

Circoscriviamo l’argomento, e riscriviamo la domanda: perché sono insoddisfatto e spesso manifesto disagio, insofferenza? Si potrebbe dire, con una punta di polemica, “perché partecipi nonostante la tua insoddisfazione?”.
Per la parte diciamo così “pratica” e relazionale credo di essermi spiegato a sufficienza nel post, contemporaneo a questo, dedicato al tema specifico. Non è comunque, certamente, questa la causa più importante del disagio.
Contano assai di più i contenuti, dei quali parlo nell’altro post contestuale a questo, legato ai due articoli citati, l’uno tratto dall’Unità, l’altro da Farefuturo.
Rispondendo alla domanda “polemica” di qualche riga sopra, diciamo che si partecipa comunque alla vita, quella reale e materiale, nonostante l’insoddisfazione, e in molti casi il dramma e la tragedia: solo qualche volta si scappa, in genere si resiste e si cerca di cambiare le cose, o almeno di impedire che le cose avverse ci trasformino tanto da non riconoscerci più, o da schiacciarci.
Solo al luna park si va e si resta solo se le giostrine ci divertono e ci piacciono senza tanti problemi.

La mia insoddisfazione non data da oggi, e nemmeno da ieri, ma da prima ancora che si avverasse la cosiddetta “seconda repubblica”. Ne avvertivo i segni, li vedevo nella disgregazione di molte cose e nell’avvento di altre, che sarebbe lungo teorizzare e che, per questo, ho esemplificato e materializzato nel post di cui parlavo.

Nel corso degli anni, partecipando alla vecchia ML, ho a mano a mano dato conto di come queste mie sensazioni le vedessi confermate, e di come si evolvesse la mia insoddisfazione , la mia critica. Sul piano diciamo così “politicante” vedevo la mutazione non tanto nell’oggetto in sé della discussione, quanto nelle ragioni che erano portate a sostegno, nel modo di ragionare, negli argomenti: dal maggioritario al bipolarismo, dalla competition alle Cento Città, dall’Asinello alla “ricchezza delle diversità”, dal sostegno alle guerre del post 11 settembre al leaderismo, oltre alla dismissione suicida e spesso demenziale di valori e di eredità culturali, e al diluvio retorico di un rampante fanatismo “liberale” che riduceva ad uno straccio miserabile quello che rimaneva di una bandiera già duramente provata dalla strumentalizzazione berlusconiana.
Questa era la parte “politicante” della mia insoddisfazione, la meno importante, o almeno quella che è meno importante nell’economia complessiva del mio modo di pensare. Questo era, in altri termini, ciò che rifiutavo, nei modi e in buona parte dei contenuti, per ciò che attiene all’emergente, ossia a ciò che si propone come “esistente”.
Il mio disagio, però, era ed è in gran parte motivato da ciò che scompare, da ciò che viene distrutto, o meglio emarginato, disprezzato, abbandonato, dimenticato. Insomma, da ciò che non c’è. Da un’assenza, da un vuoto.
Ne parlo nel mio post, e credo che sia sufficiente ciò che dico in quella sede, salvo approfondire nel caso che ci si torni sopra.

Se il mio disagio è arrivato ad essere esplicito, e ad influenzare il mio “umore telematico”, ciò è riconducibile ad una causa che probabilmente fa parte del problema: la sordità, o più precisamente l’incapacità di raccogliere l’invito a discutere di questi argomenti, e di riconoscere il valore di quelle assenze di quel vuoto.
Sul piano materiale, mi ha deluso, mi ha creato disagio vedere che anche questo forum – come una grandissima parte delle varie sedi di “confronto democratico” sul web – è stato pensato e si è articolato su una visione conformistica e, per molti versi, “soffocante”, integralisticamente, dogmaticamente indirizzata non solo a classificare e indirizzare i pensieri secondo una griglia ben precisa, ma anche a delegittimare e scoraggiare qualunque atteggiamento alternativo.
Insomma, l’esatto contrario di ciò che ci si dovrebbe aspettare da una sede di discussione, di “sperimentazione” di pensieri e di idee, per di più non legata ad obblighi (veri o presunti) di “ragion di partito” o al fatto di essere la propaggine di un ramo della pubblica amministrazione.

Non ho sparato in aria con il revolver, non ho fatto fuoco e fiamme, non ho lanciato anatemi: ho espresso il mio disagio, motivandolo, per come lo sentivo.
La cosa che possiamo tranquillamente definire grottesca è che ci ritroviamo a vedere trattati da altri, ripresi da altri, temi e atteggiamenti che sarebbe assai più logico che fossero nostri - noi per ruolo e per natura più liberi, più “persone” e meno “organi politici”.
Noi, che ci ritroviamo spesso a discettare se un post deve andare sul binario dei “temi caldi nel mondo”, o in quello delle “radici del partito”, o se il senso di una frase sia da relegare nella casella della “moderazione” o lasciata libera di rimanere là dove era stata espressa: è “ordine” o è una specie di nevrosi, o un’intepretazione sbagliata di un’esigenza giusta ma non tale da essere l’obiettivo principale?
Non lo so, ma so che tutto ciò mi ricorda un mio amico, vecchio giornalista che nella sua vita professionale era stato quasi sempre un “direttore” di qualcosa. La sua idea era che in un giornale la “cultura” fosse le due colonne dedicate alle mostre di pittura o alle recensioni teatrali. Non il cinema- quello era “spettacoli” - o un articolo sullo sport, o sui graffiti metropolitani – questi erano “costume e società” - o sui battelli del Nilo – questi erano “viaggi e vacanze”.
Era un vecchio clericalone e fascistone, ma non un triste arnese in pantofole: era capace di inventarsi una trasmissione televisiva dedicata ai Pooh con tanto di ballerine, o di esercitarsi in antiche ubriacature a champagne come quando era inviato speciale in Argentina al tempo di Peron, ma la sua idea di giornale era comunque quella. Gli volevo bene, ma questo non c’entra: soprattutto non c’entra col fatto che progettare un giornale insieme con lui era disperante e divertente come impastare una fontana di farina riempita con dieci uova che scappano da tutte le parti.

Ad ogni modo, la finisco qui: stretta la foglia, larga la via …
pierodm
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