La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Mario Monti - Meno illusioni per dare speranza

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Mario Monti - Meno illusioni per dare speranza

Messaggioda ranvit il 03/01/2011, 9:47

http://www.corriere.it/editoriali/11_ge ... aabc.shtml



L’ESEMPIO DI GELMINI E MARCHIONNE
Meno illusioni per dare speranza
Esistono in Italia due illusionismi. Essi sono riconducibili, sia detto senza alcuna ironia, alla dottrina di Karl Marx e alla personalità di Silvio Berlusconi.

Marx ha alimentato a lungo un sogno sul futuro: la classe operaia un giorno avrebbe vinto il capitalismo e avrebbe governato come classe egemone in un sistema più equo. Fallito quel sogno, in quasi tutti i Paesi le rappresentanze della classe operaia e delle nuove fasce deboli hanno modificato le loro azioni e rivendicazioni, ispirandole all' esigenza di tutelare al meglio e pragmaticamente tali interessi nel contesto di economie di mercato che devono affermarsi nella competizione internazionale. Solo così possono creare lo spazio per dosi maggiori di socialità (adeguati servizi sociali, sistema fiscale redistributivo, ecc.) che, per essere effettivamente conquistate, richiederanno appunto quelle azioni e rivendicazioni.

In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell' opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività.

Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.

Ma in molti altri casi, basta pensare alle libere professioni, il potere delle corporazioni ha impedito che le riforme andassero in porto o addirittura venissero intraprese. E lì non si tratta di tenaci fiammelle rivendicative fuori tempo (ma che almeno vorrebbero tutelare fasce deboli della società), bensì di corposi interessi privilegiati che, pur di non lasciar toccare le loro rendite, manovrano un polo contro l'altro: veri beneficiari del bipolarismo italiano!

Se Marx ha alimentato un sogno sul futuro, del quale in Italia sopravvivono tracce significative, Berlusconi ha fatto di più. Egli è riuscito ad alimentare, in moltissimi italiani, un sogno sul presente, per il quale la verifica sulla realtà dovrebbe essere più facile. Molti credono che oggi, in Italia, ci sia davvero un pericolo comunista (non solo quell'eredità di cui si è detto sopra, che ostacola le riforme). Molti credono che i governi Berlusconi abbiano davvero portato una rivoluzione liberale (come avevo sperato anch'io, incoraggiandolo da queste colonne ad un «Liberismo disciplinato e rigoroso», 8 maggio 1994).

Soprattutto, di fronte al magnetismo comunicativo del premier, molti credono che l'Italia — oltre ad avere, anche per merito del governo, riportato indubbiamente meno danni di altri Paesi dalla crisi finanziaria — davvero non abbia gravi problemi strutturali irrisolti, anche per insufficienze di questo e dei precedenti governi.

Ma, come ha detto il presidente Napolitano, «non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo». L'illusionismo berlusconiano non fa sentire al Paese la necessità delle riforme, che comunque l'illusionismo marxiano e il cinismo delle corporazioni provvedono a rendere più difficili. Eppure, la riforma dell’università e la riforma della contrattazione indicano la strada, mostrano che è possibile percorrerla. Se si procederà così, le gravi tare dell'Italia elencate da Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 30 dicembre) potranno essere rimosse in cinque o dieci anni, senza cedere al «disperato qualunquismo».

Mario Monti
02 gennaio 2011
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
ranvit
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10669
Iscritto il: 23/05/2008, 15:46

Re: Mario Monti - Meno illusioni per dare speranza

Messaggioda flaviomob il 03/01/2011, 10:49

Furio Colombo, sul Fatto Quotidiano

Fiat, cattedrale senza Dio

Sergio Marchionne, lo sbrigativo Ad della Fiat, mette sul tavolo i pezzi del gioco. Uno è il lavoro, inteso come “posto di…” e “diritto al…”; uno è l’impresa, vista come serie di regole, nessuna delle quali può essere alterata, ritoccata o violata; uno è il sindacato, che deve essere grande e fedele, pronto a difendere – insieme – la necessità del lavoro e la volontà dell’impresa; infine il quarto pezzo: è l’investimento, una somma di danaro molto grande. Ma, in questo gioco, il quarto pezzo viene assegnato solo se i primi tre – come nel Lego di un bambino poco fantasioso – si sovrappongono in modo perfetto: sopra sta l’impresa, sotto sta il lavoro. In mezzo il sindacato, che mantiene l’ordine.

Nella visione di Marchionne, l’impresa è una cattedrale senza Dio. L’impresa non è più la creatura che non solo fa vivere gli operai, ma è viva (esiste, cambia, acquista un’immagine) perché ci sono gli operai a dare un senso al lavoro. L’impresa è una tastiera di uomini e cose altrettanto regolate, altrettanto ubbidienti. In questa visione, il sindacalista diventa un kapò, che fa la spola tra le regole imposte e quelle osservate, per accertare che le une siano identiche alle altre, e che ciò che è stato previsto coincida con ciò che viene vissuto. La mancanza di coincidenza equivale a disdetta.

Non è vero che questa visione della vita in fabbrica porta indietro. Molti di noi hanno detto “come ai tempi di Dickens”. Sbagliato. La fabbrica dei tempi di Dickens, il manchesterismo di cui tanto si è discusso a mano a mano che – nell’Ottocento e nel Novecento – il lavoro conquistava spazi di dignità e di libertà, corrispondeva a vita e valori del tempo. Era un tempo in cui non tutte le vite umane avevano lo stesso valore. Si viveva per censo. Le classi erano muraglie stabili. Di qua i bambini potevano morire di lavoro in filanda e in miniera, di là cavalcavano il primo pony e prendevano lezioni di disegno e di musica. Si andava in prigione per debiti e qualunque abuso su esseri umani più deboli si poteva sanare con una somma in danaro.

Non è giusto dire che “Marchionne è un fascista” (come ha detto impetuosamente Cremaschi della Fiom). Il fascismo aveva un suo modo di organizzare la realtà, raccogliendo parti sociali diverse in corporazioni diverse a seconda delle attività e degli interessi. Toccava allo Stato stabilire in che modo, in quale gerarchia e ordine mettere in contatto le corporazioni. Toccava al partito il compito preliminare di stabilire quale fosse al momento l’interesse dello Stato e, alla fine, di celebrare la vittoria, visto che non veniva cercata l’approvazione e consacrazione del mercato.

Dunque, la visione di Marchionne non è un ritorno al passato, perché il paesaggio di ogni fase dei tre secoli di avventura sociale del lavoro è finito per sempre. Ovvio che Marchionne vorrebbe circondare la sua fabbrica – che immagina servita da androidi obbedienti – con una realtà altrettanto ordinata e obbediente, sul tipo della Invenzione di Morel, l’isola immaginaria del romanzo di Adolfo Bioy Casares. Ma poiché non è possibile (Marchionne può molto, di qua e di là dall’Oceano, ma non tutto), ecco che vediamo il progetto dell’Ad Fiat per quello che è: del tutto scollegato dai fatti veri in cui tutto ciò sta avvenendo.

Pensate: non si potranno chiamare al referendum sulla firma del nuovo ferreo contratto di Pomigliano o di Mirafiori (“o firmate e poi votate sì”, è l’ingiunzione dei datori di lavoro “o non ci saranno investimenti”) perché fino al 15 gennaio gli operai sono tutti in cassa integrazione. La cassa integrazione è un colpo di testa dei ribelli della Fiom che stanno provocando ammonimenti, rimproveri, indignazione da tutta la destra e da metà della sinistra italiana? No, è lo stato dei fatti. La Fiat crolla nelle vendite (perde come tutti, nel mercato europeo, ma perde più di tutti) e in questo fatto tutto ciò che si sta accanitamente discutendo non c’entra e non ha alcun peso.

Ma intanto – avrete notato – si è affacciata una parola che è rimasta, finora, del tutto estranea alla grandiosa messinscena sul ritorno macho e decisionista dell’impresa dura e pura: il mercato. Liberisti e vendicatori della libertà di impresa vogliono farci credere che il destino di un’azienda si decide dove i tre di Pomigliano – Ragozzino, Pignatelli, Lamorte – hanno fatto per poche ore un inizio di sciopero non preannunciato, definito subito “sabotaggio”. Eppure, in quel gesto ormai dimenticato (salvo che dai tre operai mai reintegrati nel loro posto di lavoro, nonostante l’ordine del giudice) non c’è traccia delle disavventure commerciali della Fiat. Mai abbiamo sentito parlare di auto imperfette, difettose, pericolose o ritirate per possibili problemi di vendita sul mercato.

A quanto pare, quei perdigiorno degli operai Fiat che – quando non sono in cassa integrazione – producono in modo antico, mandano sul mercato prodotti perfetti. Le due parti di questa frase non stanno insieme. Ma su questa frase si fonda la rivoluzione di Marchionne. A meno che voglia dirci che le sue auto costano troppo perché gravate dai raffreddori e dall’assenteismo degli operai del Gruppo. Ma non risulta agli esperti, agli analisti. Prezzo e volume di vendita, vi direbbe qualunque tecnico di impresa, sono due fattori che dipendono dalla fabbrica solo in caso di guerra (costo delle materie prime) o di rivoluzione (scioperi a oltranza). Ma qui siamo in cassa integrazione. Come può esserci, tutto insieme, cassa integrazione e problemi di relazioni industriali così gravi da far saltare in aria tutto, compresi i diritti civili di chi lavora?

Adesso ci dicono (Tito Boeri, “La Repubblica”, 29 dicembre) che c’è un grande malinteso. La questione non è come si lavora. La questione è come definire giuridicamente la rappresentanza sindacale (chi ha diritto a dire che cosa per chi). Sarà, ma la storia di Boeri non corrisponde alla storia di Marchionne, che non corrisponde al crollo delle vendite e al ricorso massiccio alla cassa integrazione, lunghe stagioni in cui i contribuenti partecipano al sostegno degli operai, ma non hanno diritto di difenderli. E gli imprenditori contano di uscire dal lungo aiuto di Stato con un abbassamento drastico della condizione degli operai (tempi e paghe e minima qualità della vita e giorni di malattie non pagate) e la minaccia appare così grave e pericolosa (niente investimenti, se non vai in fabbrica anche con la febbre) che ti ammoniscono di votare “sì” quando – finita la cassa integrazione – gli operai saranno di nuovo in fabbrica e dovranno decidere – come si dice – del loro destino.

Resta una domanda: non c’è per caso qualcuno che deve rispondere del buco delle vendite, invece che passare il tempo a cercare di rendere peggiore la vita alla catena di montaggio? “Dopo tutto” come diceva Willy Loman in Morte di un commesso viaggiatore “è dalle vendite che si vede il vero manager”. E qui sono le vendite che vanno male, non la fabbrica. Tant’è vero che bisogna fermare la fabbrica con l’espediente della cassa integrazione, per fare in modo che non si riempiano i piazzali di prodotti ben fatti e invenduti. Perché allora punire gli operai, a meno che l’intento sia esclusivamente politico?

Il Fatto Quotidiano, 2 gennaio 2011


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Mario Monti - Meno illusioni per dare speranza

Messaggioda pianogrande il 03/01/2011, 13:49

Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.

Arcaico è difendere il proprio benessere.
Mentre i determinati (i coraggiosi, i moderni, per facilissima estensione) sono quelli che a questo benessere danno sonore legnate.
Messaggi troppo di parte per essere presi sul serio.
Come mettere d'accordo le due cose (competitività e benessere) sarebbe davvero, un messaggio moderno.
Se dobbiamo tornare ai rematori guidati da frusta e tamburo, come si può avere la faccia di bronzo di spacciarlo per modernità, per coraggio delle riforme?

La verità è che competitività e benessere possono andare d'accordo solo per paesi tecnologicamente avanzati (che hanno speso impegno e soldi per la ricerca e sviluppo).
L'Italia in generale e Marchionne in particolare (la Gelmini e la scuola/l'Università meglio non nominarle nemmeno) non fanno e non hanno intenzione di fare ricerca e sviluppo che permetterebbero di restare sul mercato conservando un certo livello di benessere per tutti.
Il resto sono solo chiacchiere per chi ha voglia (o interesse) di crederci.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10611
Iscritto il: 23/05/2008, 23:52

Re: Mario Monti - Meno illusioni per dare speranza

Messaggioda flaviomob il 03/01/2011, 19:21

Bravo Monti! Già si intravedono lunghe code di ricercatori alle (ex) frontiere per entrare (o rientrare) nel Bel Paese: sicuramente ci saranno congestioni del traffico e serpentoni di automobili. Tutte Fiat, naturalmente, dato che ora in Italia e all'estero si farà a pugni per accaparrarsi gli splendidi modelli della casa torinese (?). Sempre che il referendum vada in un certo modo, è ovvio... La Cina sta arrivando...


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51


Torna a Che fare? Discussioni di oggi per le prospettive di domani

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 29 ospiti

cron