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A scuola di democrazia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: A scuola di democrazia

Messaggioda soniadf il 15/07/2010, 1:34

Mi ero ripromessa di rispondere alle obiezioni di Franz, ritornando sul concetto di democrazia economica, che è appunto un concetto, non il movimento del filosofo indiano, né un travestimento dell’egualitarismo sovietico, è solo un concetto come lo è la democrazia politica, un sistema istiuzionale che prevede al suo interno non solo la possibilità di votare i propri rappresentanti e il bilanciamento dei poteri, ma tante altre cose volte ad ottenere il massimo di giustizia, equità, libertà e sviluppo per i cittadini della polis, appunto. All’interno della democrazia politica, infatti sono previste garanzie per la privacy, per la sicurezza , per l’educazione e l’informazione e per il libero dispiegamento delle iniziative economiche, sociali e culturali, insomma, avete presente gli articoli della Costituzione?
Io contesto che la libertà economica consista solo nel consentire agli attori economici più forti di prevalere come farebbero in un mercato senza regole, perché è vero che anche la giungla ha un suo equilibrio, ma a nessuno di noi piacerebbe viverci.
Dovrei riprendere troppi argomenti, come i mutui subprime, che secondo Franz sono stati imposti dal governo americano, cosa di cui io non ho notizia. Non credo tra l’altro che anche i prestiti al consumo o le carte di credito concesse con lo stesso criterio, vale a dire a forte rischio di insolvenza, siano stati imposti dal governo americano. La verità è che il mercato americano del lavoro è costituito da una vasta platea di working poors e di lavoratori generalmente non tutelati, che bisognava comunque inserire nei circuiti del consumo, compensando il rischio con tassi molto più elevati. Una bomba ad orologeria su cui qualcuno ha pensato di scommettere, trovando il modo di utilizzare anche la debolezza economica di una parte della popolazione ( pare che il 25% dei mutui fosse subprime) per realizzare enormi profitti. Se questa non è giungla, ci somiglia.
Ho trovato molto interessanti i links che Franz ci suggerisce sempre così generosamente, specie quello che rimandava al giochetto di Tremonti, il quale ha cercato di sostenere che il PIL non è lo strumento più adatto per stabilire la salute di un’economia (soprattutto, perché da quando c’è lui il suddetto PIL è diminuito di più del 2%) e, come dice Tito Boeri, il reddito pro-capite, il pil diviso dalla popolazione residente in Italia, è addirittura diminuito di circa 1200 euro. In termini di potere d`acquisto, siamo scesi al di sotto della media dell`Unione Europea a 27, perdendo più di 10 punti percentuali rispetto agli altri. In effetti abbiamo fatto peggio di tutti sia nelle espansioni che nelle recessioni e, stando alle proiezioni del governo, il nostro pil dovrebbe anche nel 2010-11 crescere di un terzo in meno che in Francia e Germania.
Così Tremonti ha suggerito altri, più gratificanti indicatori come il numero delle automobili per abitante, il numero di cellulari, e altre amenità del genere.
Quando si parla di diseguaglianze si tende a fare lo stesso giochetto.
Franz dice: “La causa principale delle disparità è data dal rischio negli investimenti e nella vita quotidiana.”
Ma, viviamo sullo stesso pianeta?
Più sotto, sempre Franz, annuncia : “A questo problema la società ha da tempo trovato la soluzione: le assicurazioni.”
Sinceramente, su questo piano non ho più niente da dire. Salvo rammaricarmi che ai poveri sanculotti della Rivoluzione francese nessuno abbia mai parlato delle assicurazioni.

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 15/07/2010, 10:05

In effetti la faccenda delle assicurazioni mi era sfuggita. Per fortuna.
Diciamo che le assicurazioni, in buona sostanza, non sembrano essere la soluzione, ma piuttosto hanno tutta l'aria di far parte del problema.
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A scuola di economia?

Messaggioda franz il 15/07/2010, 12:03

soniadf ha scritto:Io contesto che la libertà economica consista solo nel consentire agli attori economici più forti di prevalere come farebbero in un mercato senza regole, perché è vero che anche la giungla ha un suo equilibrio, ma a nessuno di noi piacerebbe viverci.

E fai bene a contestare una simile visione, anche perché non corrisponde alla descrizione della libertà economica che fanno i liberali (alla cui corrente di pensiero dici di appartenere) ma piuttoso è la grossolana banalizzazione che viena fatta dagli avversari. I quali vuoi perché non capiscono una visione diversa dalla loro, vuoi perché è piu' semplice criticare e cercare una caricatura del liberalismo, riassumono le libertà economiche in modo stereotipato. Un po' come gli avversari di Darwin che contestano che l'uomo discenda dalle scimmie (mentre darwin ha scitto cose ben diverse).

Vero, dovremmo riprendere molti argomenti ma forse approfittiamo del titolo che parla di scuola e vediamo un po' la basi delle idee liberali, classiche e non, del funzionamento dell'economia e vediamo di liberarci di queste caricature che sono tipiche del bolscevimo che entrambi aborriamo.

Per prima cosa sfatiamo questa balla del mercato senza regole (jungla). Senza regole non c'è mercato, perché senza regole (di proprietà) non ho bisogno di mercanteggiare. Vendo a casa tua e ti prendo (rubo) quello di cui ho bisogno. Qui si' che si parla del piu' forte (prepotente). Il mercato ha quindi bisogno di regole sia per stabilire i diritti di proprietà sia per normare i contratti che servono per trasferire i diritti di proprietà. Quindi codice civile e penale, polizia, prigioni.
E qui non è "il piu' forte" a prevalere ma il migliore. Colui che offre il prodotto migliore al prezzo migliore, il miglior rapporto qualità prezzo. Sfatiamo quindi il mito grossolano che il liberismo proponga come base delle libertà economiche un contesto in cui l'attore economico piu' forte agisce in un mercato senza regole. Nemmeno i liberisti piu' spinti (anarcoliberisti) propongono questo scenario ... eventualmente sono i bolscevichi a dipingere cosi' il liberismo.

Per me è chiaro che se non ci intendiamo su questo, è inutile poi discutere di come la Polis dovrebbe intervenire sulla realtà sociale che non piace. Con "intenderci" non dico che dovremmo tutti essere d'accordo ma almeno avere basi comuni su cosa propone una teoria e su come si legge la realtà.

Quindi invece di discutere di Darwin partendo dalle mistificazioni che i creazionisti usano per descrivere la sua opera, si legge Darwin. Lettura tra l'altro alquanto piacevole. Invece di discutere di liberalismo e liberismo partendo dalle critiche dei suoi oppositori, meglio dare un'occhiata, anche riassuntiva, all'opera di Adam Smith http://it.wikipedia.org/wiki/Adam_Smith il quale non ha scritto solo la ricchezza delle nazioni http://it.wikipedia.org/wiki/La_ricchez ... Adam_Smith) ma anche affrontato la teoria dei sentimenti morali per vedere come gli individui collaborano nella società (un aspetto esattamente opposto alla teoria del dell'egoismo, anche qui grottesca banalizzazione del pensiero lberale calsssico). Cerchiamo di capire l'economia, perché non c'è nulla di peggio di uno che non capisce nulla di motori e che cerca di aggiustarlo, convinto di poterlo far funzionare meglio.

Mi fermo qui e non potro' piu' proseguire, fino ad agosto, salvo forse in serata e domani per pochi minuti.

Ciao,
Franz
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 15/07/2010, 16:27

Non so in quale teorema sta nascosto il concetto, ma la "legge del piu forte" non è quella che fa vendere la casa degli altri: questa, piu che un'estremizzazione simile a quelle bolsceviche, somiglia a una balla.
Perfino nei film western degli anni'50 si era fatto un passo avanti: i prepotenti costringevano i poveracci a vendere le proprie case, non si apprpriavano di quei quattro soldi, anzi glieli davano loro stessi, ma speculavano su affari ben piu consistenti connessi alla disponibilità dei terrreni (petrolio, ferrovie, etc).
Comunque, tu continui a difendere il liberalismo da non capisco quale inimico, quando il problema - ormai dovrebbe essere chiaro - è ben diversamente proponibile: i nemici del liberalismo stanno dentro, non fuori, fanno parte dei suoi stessi meccanismi. Se uno li vuole vedere.
Certo, se rimaniamo ad Adam Smith, come se un paio di secoli non fossero passati, allora lascaimo perdere.
Se qualunque critica, qualunque paura, qualunque degenerazione venga additata o è una fantasia di Baffone, o delle scimmie che discendono dall'uomo, o una stravaganza lessicale.
Se la cura delle ( inevitabili, veniali) imperfeezioni della democrazia - "nulla è perfetto", si sa - sono le assicurazioni e magari l'otto per mille alla Chiesa che fa la carità, allora bisognerebbe aprire un'ulteriore sezione del forum per ricominciare da zero.
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Le Favole (vere) di Fontamara

Messaggioda franz il 15/07/2010, 20:52

posto che come dicevo prima sono in partenza per le ferie ed ho esaurito il tempo per scrivere interventi sugosi (servono ore, almeno a me, con le mile limitazioni mentali) mi sono tuttavia imbattuto in un intervento fresco fresco su NfA che sembra quasi scritto apposta per essere utile in questa discussione.
Ecco intervento e dibattito: http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/1924
Su NfA c'è un dibattito tra i redattori e i firmatari della "lettera degli economisti" e la storiella (che poi è vera) parla proprio di disuguaglianze e crisi.
Buona Lettura!
Franz


La coraggiosa tenzone dei nostri 2 contro i 100 (ora 200+) ha attirato l'attenzione sul fatto quotidiano nientemeno che del filosofo Gianni Vattimo. Il mostro sacro tra le altre cose scrive:

Se il liberismo – colpevole o meno che sia dell’attuale crisi – conduce diritto verso una sempre più insostenibile disuguaglianza di reddito, non sarebbe il caso di approfittare della crisi, se possibile, per invertire la rotta e ridiscutere i principi che hanno ispirato le politiche europee degli ultimi anni?


Posto che non ho competenze sufficienti per dare manforte ai nostri prof (che di aiuto non hanno bisogno), né autorità bastevole per rimbeccare un mostro sacro, mi limito a fare quello che ogni tanto mi riesce dignitosamente, ossia inventare storie di fantasia dal tono vagamente ironico.

La favola
C’era una volta nel rigoglioso e decadente regno di Terronia, un paesotto senza infamia e senza lode di nome Fontamara. Era uno di quei comuni che, se non fosse per la benevolenza di Mamma Roma, sarebbe scivolato nella miseria più nera. La sacrosanta guida paternalistica del governo dispensava posti pubblici e pensioni d’invalidità e i fontamaresi davano per scontato che la crescita dell’economia dipendesse unicamente da quanto il governo aveva da spendere, così come credevano che l’alternarsi di espansioni e recessioni non fosse altro che il riflesso di quanto Pantalone aveva in tasca nel momento. Appagati da questo stato di cose, che li metteva al riparo da qualsiasi necessità d’iniziativa individuale o possibilità di competizione, i cittadini avevano un unico cruccio: la pulizia delle automobili nel fine settimana. Esistevano infatti due soli autolavaggi a mano, che erano immancabilmente affollati al sabato, al punto che a chi arrivava intorno all’ora di pranzo veniva rifiutato il servizio e doveva restare con l’auto sporca nel weekend.

Un giorno però, un certo Prometeo, nato a Fontamara, ma dalla mentalità un po’ diversa dai suoi compaesani per via di un certo blog che frequentava, decise di aprire un autolavaggio automatico, di quelli con le spazzolone rotanti. Quell’iniziativa non poteva sfuggire all’occhio vigile di Garantua Lillipuziani, direttore del periodico locale “Il corriere superfisso” (e anche professore di lettere al locale liceo, autore di libri auto pubblicati, assessore comunale alle varie ed eventuali, cultore della materia all’università di San Prepuzio e altre 22 cose indicate sulla sua pagina web). Lo speciale domenicale del giornale, parlava dei sussidi che si sarebbero resi necessari per i dipendenti degli autolavaggi a mano destinati al fallimento, dei danni arrecati alla collettività dal liberismo selvaggio che non regolamentava l’apertura dei nuovi esercizi commerciali e concludeva invocando un più incisivo intervento della politica per rendere la società più giusta.

Anche se poco ortodossa, questa non sarebbe una favola se non ci fosse un pizzico di magia. Gli autolavaggi a mano non fallirono per niente, l’unica cosa che sparì furono le auto sporche nel weekend che non avevano trovato posto nei lavaggi a mano. L’aspetto tuttavia più sorprendente fu che, alla faccia di quello che Lillipuziani insegnava nei suoi seminari di teoria neoluddista, l’innovazione nel lavaggio portò a un aumento dell’occupazione. Il nuovo autolavaggio, infatti, era automatico solo per l’esterno, perché la pulizia interna dei veicoli veniva effettuata da squadra di 8 persone, tipo pit stop di formula uno. Insomma la nuova impresa non solo soddisfava i clienti e non metteva fuori mercato i concorrenti, ma addirittura impiegava più personale delle altre.

La Morale della favola
La storia del nuovo autolavaggio, che per inciso è assolutamente vera, sembrerà banale a chi conosce un poco di economia. Mi è tuttavia sembrato opportuno riportarla perché è avvenuta nello stesso comune dove io ho contato l’apertura e successiva chiusura di almeno 22 negozi di abbigliamento a opera di giovani “imprenditori” che beneficiavano di finanziamenti a fondo perduto, prestiti d’onore e roba simile. Che dire? Forse certi teorici dell’intervento e policy makers dovrebbero farsi lavare l’auto di tanto in tanto (o più semplicemente guardarsi attorno).

Premesso doverosamente che non sono un vorace imprenditore che vuole arricchirsi alle spalle dei lavoratori, ma un dipendente (privato) tartassato che è un po’ stanco di devolvere la metà di quanto guadagna all’attività di autoconservazione di una certa casta politica (inclusi taluni che teorizzano l’uguaglianza, ma nella pratica sono più uguali degli altri) concluderei con qualche domanda alla quale Bob Dylan ha risposto parecchio tempo fa:

Per quanto ancora dovranno parlarci della disuguaglianza, prima di capire che non è quello il vero problema?
Quante porcate dovranno fare i politici, prima che sia chiaro che chi fa le parti, si sceglie sempre la parte migliore?
Quanta teoria economica è necessaria per capire che non si può migliorare la condizione di chi sta peggio senza far crescere l'intera torta?
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