da : http://www.libreidee.org/2010/01/i-conf ... -italiani/
Ci siamo inventati la Resistenza come un momento di autopurificazione collettiva e la rivoluzione di Mani Pulite affidando ai giudici il compito degli arcangeli del bene che avrebbero sradicato il male. Intanto siamo un popolo pronto a osannare il dittatore e poi a fare scempio del suo cadavere a piazzale Loreto». I conformisti, ovvero: l’estinzione degli intellettuali. «Ci illudiamo perennemente che qualcun altro faccia il lavoro di purificazione per noi. È andata così con il fascismo, così con la prima Repubblica». Pierluigi Battista sintetizza lo spirito del suo ultimo lavoro editoriale, sul rapporto degli intellettuali del ‘900 con il potere: allineamento conformista, contro l’eterodossia coraggiosa di pochi.
Nel secolo scorso è stato tragico il rapporto degli intellettuali con la politica, confida il notista del “Corriere della Sera” a Cecilia Moretti sul webmagazine della fondazione “Farefuturo”. «E’ stata fortissima la seduzione totalitaria e l’appartenenza a movimenti che facevano della guerra il loro fondamento. E malgrado il crollo del muro di Berlino, la fine di quella storia persiste nella mentalità e nel modo di essere degli intellettuali, che mantengono un modo di ragionare tipico di quell’epoca: l’ossessione del tradimento, la fedeltà a un’appartenenza prima ancora che un esame critico delle cose».
Secondo Battista, Simone Weil e Georges Bernanos furono due eccezioni: «Anziché accecarsi volontariamente perché la propria scelta ideologica ne uscisse incontaminata, scelsero di raccontare la verità. Erano intellettuali che pensavano che il racconto sincero delle cose, e non la loro deformazione ideologica, fosse il loro compito e la loro missione. E quindi, per non tradire se stessi, non esitarono a pagare il prezzo del tradimento della loro appartenenza».
Bernanos, vicino a Francisco Franco, di fronte ai massacri che insanguinarono la Spagna «non tentennò e scrisse il meraviglioso libro “I grandi cimiteri sotto la luna”». La Weil, una repubblicana anarchica, «non chiuse gli occhi di fronte agli eccidi degli anarchici. Esattamente come Orwell, con il suo “Omaggio alla Catalogna”», mentre la stragrande maggioranza degli intellettuali era convinta che occorresse prima di tutto prendere partito».
Se è Platone il primo a “fabbricare” il mondo delle idee, la figura dell’intellettuale moderno nasce nel ‘700 con l’Illuminismo, «con l’idea che le idee nutrissero la rivoluzione». Secondo Battista, «nel giacobinismo avvenne esattamente questo: gli intellettuali, pur vedendo che la rivoluzione si trasformava in terrore, si schierano tutti dalla sua parte, cercando di darne una giustificazione ideologica». L’esplosione, poi, è nel Novecento, l’epoca dei totalitarismi, «in cui troneggia l’idea che l’intellettuale debba intervenire in modo militante, sacrificando la propria libertà a un grande ideale o a qualcosa di ritenuto tale. Smentendo la realtà e la storia, anche».
Se Rousseau dà la colpa di tutto alla società, un autorevole “ex” è Agostino, che «“tradisce” il prima, dando una lettura spietata di ciò che è stato». L’ex, naturalmente, «è una figura molto odiata, screditata, considerata traditrice perché ha strappato con la sua storia, facendone i conti. I “post” invece giustappongono tanti blocchi della loro vita, senza però risolvere il suo rapporto con il passato. Mi piace pensare il “post” come una figura della commedia esistenziale, l’ex della tragedia».
E noi italiani – si interroga Cecilia Moretti – siamo più ex o più post? «Decisamente più post», nell’illusione che altri facciano al nostro posto il duro lavoro di “purificazione”. E’ così che gli intellettuali nostrani scivolano verso l’estinzione. «Sono 15 anni che la cultura politica non produce più nulla, abbacinata dal mito di Berlusconi, chi per odiarlo chi per venerarlo», accusa il giornalista-scrittore. «Basta vedere gli scaffali delle librerie: tutti libri su di lui, la sua testa, la sua gamba, il suo piede. Quanto è orrendo Berlusconi, meno male che Silvio c’è».
Per Battista, siamo di fronte a una auto-estinzione dell’intellettuale: «Nessuno l’ha costretto ad accecarsi, ma ci si è come imposta questa ossessione del bipolarismo culturale, o addirittura antropologico. Si vive nell’ossessione della guerra civile tra due Italie, che si guardano in cagnesco e non possono comunicare. E qualunque tentativo di superare questo schema viene liquidato brutalmente come terzismo, cerchiobottismo, circostanza. Ma il punto non è quello, è l’idea che un’appartenenza non valga una volta per tutte».
Ma chi sono i conformisti? «Tutti quelli che decidono che è prioritario il principio dell’appartenenza a quello della libera e solitaria ricerca, per dirlo con una formula semplificata. La conformità è il modello opposto all’eterodossia irregolare. Quella, cioè, degli eroi dell’irregolarità culturale, non necessariamente eretici, ma semplicemente che non stanno negli schemi regolari con cui di solito si fanno le partizioni del mondo». Qualche nome? Camus, Orwell, Simone Weil, Hannah Arendt. E in Italia Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Dino Buzzati, Federico Fellini, Eugenio Montale. «Di viventi, ho indicato Alberto Arbasino».