da pierodm il 09/06/2009, 23:41
Nel mio comune di residenza aveva governato per decenni la sinistra - leggasi PCI - e ancora adesso la maggioranza degli elettori è di sinistra: ma la divisione in tre liste diverse ha fatto sì che abbia vinto una lista civica del PdL.
Al di là di tutti i nostri discorsi - giustissimi - sull'identità e sui contenuti, dobbiamo dire che il problema della divisione si è dimostrato fondamentale, numeri alla mano.
Se andiamo a guardare i dati elettorali a partire dal dopoguerra, vediamo che l'elettorato di sinistra è rimasto sempre attestato intorno al 35% - sommando il PCI, il PSI, altre formazioni social-comuniste minori che si sono succedute nel tempo, frange cattoliche e radicali e "laiche", togliendo via da ciscuno di quesyi partiti e movimenti quelle componenti che non è opportuno mettere nel conto del "progressismo", per esempio i settori stalinisti del PCI, i repubblicani più filo-capitalisti e la parte consimile dei radicali.
Perfino adesso, in questa catastrofe, il dato puramente numerico ci riporta ai livelli di sempre: il 26, più il 6 abbondante delle due liste comuniste, più gli elettori di sinistra dell'IDV e gli omologhi radicali, laddove nel PD dobbiamo togliere una parte della componente ex-margherita: siamo approssimativamente intorno al 35%.
Si tratta, quindi, di un dato per così dire storico.
Solo che nella prima repubblica, proporzionale, le divisioni - comunque dannose - non erano fatali, mentre adesso, nel sistema maggioritario e bipolare, sono catastrofiche.
Le divisioni, tuttavia, non sono opera del demonio e non sempre sono cervellotiche o velleitarie - anzi, spesso hanno una base di ragionevolezza, in termini di contenuti politici. In un certo senso hanno rappresnetato, e rappresnetano, la testimonianza di una concezione culturalmente apprezzabile della politica, quando sono il frutto di coerenza ideale e di una chiarezza di posizioni in merito ai grandi temi della società.
E però, specialmente in questo sistema, sono catastrofiche sul piano pratico ed elettorale.
La responsabilità delle divisioni più recenti sono da distribuire equamente fra tutti: il PD, le diverse sigle comuniste, i radicali, l'IDV.
Per gli altri le ragioni sono evidenti, per il PD forse vale la pena ricordare la scelta dichiarata della "vocazione maggioritaria", che è la dizione in bella copia di una volontà di sterminio a sinistra che ha portato solo ad una serie di disfatte.
Tornando all'argomento di prima, il dato del 35%, che abbiamo definito "storico", non ha un significato solo negativo in senso perennemente minoritario.
Visto infatti che permane nonostante tutto - sparpagliato qua e là, anche sotto sigle stravaganti come l'IDV - significa che quella dev'essere la base tanto affannosamente cercata per un eventuale allargamento del consenso.
E' utile ricordare, tra l'altro, che il PCI da solo ad un certo punto raccolse una percentuale assai vicina a questo dato, ed era un PCI che alla metà degli anni '70 aveva appena iniziato lo smarcamento definitivo dal sovietismo di una parte dei suoi vertici dirigenziali.
Ricordo bene che, al tempo, facevo lunghe discussioni in merito al "compromesso storico", che secondo me avrebbe fatto perdere al partito una parte consistente di questa forza elettorale, stretto nell'abbraccio fatale della DC morotea: cosa che si verificò poi puntualemnte, sia pure in concomitanza con una serie di avvenimenti drammatici.
Certamente, proprio in quegli anni si consolidarono molti cambiamenti nel tessuto sociale, ma fatto è che con le elezioni degli ultimi anni '70 cominciò anche il declino della forza della sinistra, nel quale bisogna ricomprendere anche la mutazione del PSI craxiano che pure aveva avvertito il problema, dando però risposte che non si dimostrarono adeguate.
Questo declino, d'altra parte, si caratterizza con la fase detta "consociativa", in cui cioè la sinistra cercò di trovare punti politico-programmatici e gestionali d'incontro con la DC e il pentapartito.
Dopo lo scioglimento del PCI, con tutte le vicissitudini seguenti che sappiamo, si è in pratica voluto "istituzionalizzare" il consociativismo: i risultati sono analoghi a quelli di allora, ossia il declino, e lo stallo, la cristallizzazione di una quota elettorale rimasta a fatica ai livelli di sempre. Cosa ben lontana da quell'allargamento, da quella "conquista del centro" che ne costituiva l'obiettivo.
Anzi, diciamo pure che questa persistenza della "quota 35" è ormai dovuta più che altro a Berlusconi, dato che si tratta di un forte catalizzatore per la sua figura impresentabile in grado di spostare verso "sinistra" una certa quantità di elettori, a prescindere dall'offerta politica che il PD è capace di mettere in campo.
Quindi: la sinistra DEVE tornare ad essere unita, e su questa unità "omogenea" (possibilmente senza virgolette) fondare la propria strategia di avanzamento verso quote più alte di elettorato.