da pierodm il 27/03/2009, 13:33
Caro Pino, sei giustamente saltato al secondo gradino del problema.
E' una questione antica, ma sempre attuale. Più che mai attuale: la cultura come sapere e la cultura come saper fare - tra parentesi, una dannazione per chi affronta la compilazione dei questionari europei dei quali si compone la progettistica soggetta a finanziamento del FSE, in materia di formazione professionale.
Un'alternativa che secondo me è impropria, in quanto la cultura è sapere, mentre il saper fare rientra nella sfera delle "competenze".
Nei secoli passati - fino a non troppi decenni fa, tempo dei nonni o poco più - esisteva una vastissima area di popolazione che "sapeva fare", forse meglio di ciascuno di noi oggi, ma era analfabeta e quasi totalmente ignorante su tutto ciò che non rientrva nella sfera dell'esperienza diretta e della propria specializzazione.
Sono state epoche nelle quali "saper fare" doveva significare saper fare davvero: il soldato se eri soldato, il contadino se eri contadino, il marinaio se eri marinaio, altrimenti kaputt, eri estromesso dalla comunità per manifesta inettitudine, o ci lasciavi la pelle direttamente e subito.
In fondo, era una situazione perfettamente funzionale al sistema economico, che implicava però una rigida gerarchia di classe e una limitatissima mobilità sociale.
Nella prima società industriale la condizione è cambiata, ma non di molto: per far funzionare il sistema bastava una classe borghese "colta" - cioè in grado di avere conoscenze ampie e flessibili, creativa e dirigenziale - mentre nel ventre profondo della "macchina" produttiva sussisteva il saper fare specialistico e manuale, o tutt'al più artigianale.
Con il mutare progressivo della società politica e dei sistemi produttivi è emersa una differente definizione dell'efficienza, e quindi della "cultura" necessaria ad un cittadino non più legato ad un "destino" specialistico e ad una condizione esclusivamente "funzionale".
Nella società moderna e complessa, in definitiva, c'è stata una sovrapposizione tra la cultura diciamo così "borghese" - nel senso che è stata prerogativa della classe dirigente borghese o aristocratica per lungo tempo - e quella del "saper fare" di tipo strumentale, o "di mestiere" - che aveva interessato anche le classi superiori, ma che era stata tipica di quelle inferiori, che ne erano caratterizzate in forma tassativa. Una sovrapposizione non semplice, e non facile, piena di contraddizioni e di equivoci, tanto quanto la democrazia stessa, che ha il problema di dilatare le prerogative e le aspettative un tempo limitate ad una classe ristretta all'intera popolazione nazionale.
Le implicazioni di questo percorso storico e dei suoi esiti attuali sono estremamente complesse e ricche di aspetti contrastanti, e non è certo il caso di affrontarle qui. Veniamo al caso che tu proponi.
Un ragazzo che lavora ad un call center non ha bisogno di avere una cultura che abbiamo definito "borghese": basta che sappia fare quello che viene richiesto ad un telefonista che ha un menu di risposte preconfezionato, e che sappia inserire i dati in un Pc tramite l'uso di software in genere "globalizzati".
Moltiplichiamo questo caso per milioni di casi assimilabili.
Il sistema che ne viene fuori ci riporta indietro alla società proto o pre industriale, ossia ad un sistema socio-economico e politico pre-democratico?