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Diritti umani, informazione e comunicazione

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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 10/06/2015, 13:23

Parità di genere, Parlamento Ue: "Riconoscere diritti famiglie gay"

Nel testo si legge che l'assemblea "prende atto dell'evolversi della definizione di famiglia". Inoltre raccomanda che le norme, anche in ambito lavorativo, "tengano conto di fenomeni come le famiglie monoparentali e l'omogenitorialità". Vendola: "Altro passo in avanti"

http://www.repubblica.it/esteri/2015/06 ... 116466956/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 18/06/2015, 11:32

La blogger arrestata in Israele "a casa entro poche ore". L'avvocato: da lei importanti denunce sui bambini prigionieri Samantha Comizzoli si trova in isolamento. Luca Bauccio: "Ma vuole che si parli dei 300 piccoli palestinesi"
di Antonella Loi


Samantha si trova detenuta da alcuni giorni nel carcere israeliano di Givon. Ancora poche ore e verrà espulsa con la forza, accompagnata all'aeroporto e costretta a lasciare i Territori palestinesi, nei quali, ormai da anni, vive da operatrice di una Ong e attivista dei diritti umani. Dalla Palestina, Samantha Comizzoli, attraverso i social network, un blog e alcuni docu-film, manda in Italia il reportage quotidiano del dramma palestinese. "E' importante che tutti sappiano cosa succede qui", ama ripetere. Persino subito dopo il suo arresto, avvenuto a Nablus nel corso di una manifestazione pro-Palestina, perché sprovvista del visto, la 45enne novarese ha scelto di non accettare l'espulsione e cominciare lo sciopero della fame per attirare l'attenzione sui 300 bambini palestinesi attualmente detenuti nelle carceri israeliane. "Piccoli trattati alla stregua di criminali di guerra - spiega Luca Bauccio, avvocato milanese che dall'Italia assiste Samantha - una situazione inaccettabile per qualunque Stato civile". Ma lo sciopero della fame è durato solo poche ore perché la donna, messa sotto pressione e in isolamento, ha interrotto la protesta. Bauccio parla per lei: "I bambini palestinesi vengono arrestati e sottratti alle famiglie, anche per anni, nell'età della crescita e con conseguenti traumi terribili", dice. "Se non ci fossero persone come Samantha noi sapremmo poco di queste situazioni scandalose". Eppure, puntuale anche in questo caso, sui social è partita la "tradizionale" campagna di "denigrazione" contro gli attivisti che, in zone di crisi, si spendono per chi soffre.
Lei assiste Samantha dall'Italia, come sta?
"Sta bene, ho parlato con lei in questi giorni e mi ha raccontato di una situazione dura ma compatibile con lo stato detentivo. Niente drammi. La seguo da qui per quello che si può, attraverso l'attività consolare o l'ambasciata. E siamo anche impegnati a evitare che si inscenino campagne mediatiche diffamatorie contro Samantha".Sui social - ma anche su qualche giornale - si è vista un po' della solita retorica contro i cooperanti rapiti o in difficoltà nei paesi dove vanno ad operare.
"C'è sempre qualcuno che deve lucrare, montando scandali. Per esempio hanno fatto circolare una fotografia di Samantha davanti a un forno di un panettiere, dove sorridente indicava il numero 3, riferendosi evidentemente alla 3^ intifada. Ma siccome coincideva con il periodo in cui erano stati rapiti tre giovani israeliani, si è cercato di dire che lei stesse esultando per il sequestro dei tre giovani. Chiara la volontà di insultare e diffamare: Samantha è tutto tranne un'antisemita".Ci spieghi chi è Samantha.
"E' un'attivista, è una persona generosa, sognatrice che ha a cuore la questione dei palestinesi. Lei ha deciso di battersi per loro dalle pagine di Facebook, come tutti noi, ma ha deciso di farlo proprio da lì, personalmente, rischiando la pelle, vivendo tra i palestinesi, capendo fino in fondo il loro dramma e quindi facendosi anche testimone oculare di cio che accade. Poi ognuno ha le sue opinioni, il proprio credo, le proprie passioni e ideali, ma quello che ha fatto Samantha è prezioso per la causa palestinese e la libertà e l'indipendenza della Palestina".La novarese non è l'unica attivista in Palestina. Come sono visti dagli israeliani?
"Vengono visti come dei testimoni di una situazione umanamente insostenibile e storicamente delittuosa. Gli insediamenti illegali avanzano, la gente viene cacciata dalle terre e le risoluzioni Onu continuamente violate. Ho visto le immagini che questa settimana Samantha ha caricato. Samantha è sempre lì pronta a documentare, protestare aiutare.Testimoni scomodi.
"Stiamo parlando di un luogo dove i bambini che tirano le pietre vengono arrestati. Samantha ha raccontato tutto questo. Ma non sono i soliti antisemiti a denunciare questo, c'è anche dall'opposizione israeliana che viene tacitata e tenuta sotto pressione, umiliata. Ci sono anche tanti ebrei nel mondo che non condividono questa situazione di apartheid. Samantha non ha raccontato niente di nuovo, ma è necessario perché la moltitudine è distratta da altro".Samantha era sprovvista del visto.
"Senza vittimizzarsi, lei ha commesso la violazione. E' chiaro che per Samantha la violazione più grande l'ha commessa Israele che occupa la Palestina senza visti e senza autorizzazioni. Cioè in violazione delle risoluzioni Onu: il primo da espellere sarebbe Israele. Per questo ha rifiutato l'avvocato d'ufficio: non riconosce la giurisdizione di Israele. La sua posizione è coerente, ostinata, cocciuta. Samantha verrà espulsa, ma ha una sua forza morale e politica netta". Israele va alla guerra contro lo sciopero della fame, unica arma degli oppositori incarcerati, con un disegno di legge nato per contrastare quella che viene definita una "minaccia per il Paese". Che significa?
"Abbiamo l'ennesima conferma che le armi gandhiane della non violenza sono poi quelle più forti perché tolgono l'alibi della legittima difesa e della reazione violenta. Non ci si può difendere da uno che fa lo sciopero della fame ammazzandolo. Quell'uomo nel mettere in discussione la propria vita la eleva al bene più prezioso che ci sia. Il metodo non violento è quello capace di mettere in ginocchio anche le più feroci dittature o, nel caso di Israele, quei sistemi che compiono degli abusi, che violano le risoluzioni Onu, che costringono un popolo a vivere senza uno Stato, senza un territorio, senza libertà di movimento, di commercio, di decidere del proprio destino. Quindi questa decisione non mi stupisce. La minaccia più grave non sono di certo i missili di Hamas, ma un milione di persone che decidono di non mangiare per far conoscere al mondo il proprio dramma".

http://notizie.tiscali.it/articoli/inte ... interviste


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 23/06/2015, 9:25

Commissione Onu: crimini di guerra a Gaza, intervenga Corte penale internazionale

Margine Protettivo. Reso pubblico ieri il rapporto della Commissione incaricata dal Consiglio dell'Onu per i Diritti Umani di indagare sui 51 giorni di conflitto tra Israele e Hamas nel 2014. La giudice Mary McGowan Davis ha riferito delle responsabilità di Israele ma ha messo sotto accusa anche il movimento islamico. Intanto suscita sdegno nella Striscia la fuga di Mahmoud Salfiti, uno degli assassini di Vittorio Arrigoni


Michele Giorgio
GERUSALEMME

EDIZIONE DEL
23.06.2015


È un’inchiesta di ecce­zio­nale impor­tanza quella pub­bli­cata ieri dalla Com­mis­sione nomi­nata dal Con­si­glio dell’Onu per i Diritti Umani per inda­gare sull’offensiva israe­liana “Mar­gine Pro­tet­tivo” e il con­flitto a Gaza della scorsa estate. Un’inchiesta che sarà la base di pos­si­bili ini­zia­tive della Corte penale inter­na­zio­nale. Tut­ta­via in essa si scor­gono i riflessi delle pres­sioni diplo­ma­ti­che eser­ci­tate dallo Stato di Israele che, peral­tro, una decina di giorni fa si è autoas­solto con un rap­porto sulla guerra di Gaza in cui addos­sava ogni respon­sa­bi­lità ad Hamas. Rap­porto pre­ce­duto da una dichia­ra­zione di “non col­pe­vo­lezza” di Israele fir­mata da ex capi di governo, mini­stri e coman­danti mili­tari occi­den­tali, tra i quali due ita­liani, l’ex capo di stato mag­giore Cam­po­rini e l’ex respon­sa­bile degli esteri Giu­lio Terzi. Se da un lato il team gui­dato dalla giu­dice ame­ri­cana Mary McGo­wan Davis non manca di rife­rire le con­se­guenze delle ampie ope­ra­zioni mili­tari israe­liane, dall’altro di fatto mette sullo stesso piano gli attac­chi con­tro Israele lan­ciati dal movi­mento isla­mico Hamas e da altre fazioni pale­sti­nesi. «Sono cre­di­bili le accuse di cri­mini di guerra com­messi sia da Israele che dai gruppi armati pale­sti­nesi» è scritto nel rap­porto, in cui «si invita la comu­nità inter­na­zio­nale a soste­nere il lavoro della Corte penale inter­na­zio­nale sui Ter­ri­tori occupati».

McGo­wan Davis ha sot­to­li­neato che la sof­fe­renza umana a Gaza è stata senza pre­ce­denti e «avrà un impatto sulle gene­ra­zioni future». Ha quindi par­lato di un uso spro­por­zio­nato della forza da parte di Israele e rife­rito che l’inchiesta ha accer­tato che in 51 giorni di ope­ra­zioni mili­tari «sono stati uccisi 1462 civili pale­sti­nesi, un terzo dei quali erano bam­bini». «Il con­flitto – ha affer­mato — ha visto un enorme aumento del fuoco usato a Gaza, con oltre 6000 raid aerei e circa 50 mila colpi da terra…Il fatto che Israele non rivide la pra­tica dei raid aerei, nean­che dopo che i loro effetti sui civili diven­nero evi­denti, sol­leva la que­stione se que­sta fosse parte di una poli­tica più ampia appro­vata, almeno taci­ta­mente, dai più alti livelli del governo israe­liano”. Il rap­porto però non avva­lora in modo espli­cito la denun­cia pale­sti­nese sul fuoco indi­scri­mi­nato fatto dalle forze armate israe­liane sui cen­tri abi­tati. Al con­tra­rio la Com­mis­sione sem­bra addos­sare l’accusa di inten­zio­na­lità soprat­tutto ai gruppi armati pale­sti­nesi. Que­sti ultimi, ha spie­gato McGo­wan Davis, hanno lan­ciato 4881 razzi e 1753 colpi di mor­taio su Israele, ucci­dendo 6 civili e feren­done 1600. Il «lan­cio indi­scri­mi­nato» di migliaia di razzi e colpi di mor­taio, secondo la Com­mis­sione, aveva «l’obiettivo di dif­fon­dere il ter­rore tra i civili israe­liani». I resi­denti vicino alla Stri­scia, pro­se­gue il rap­porto, «sono stati trau­ma­tiz­zati» dalla sco­perta di 14 tun­nel da Gaza per Israele e «dal timore di poter essere attac­cati in qual­siasi momento da uomini armati che sbu­ca­vano dal terreno».

Pur essendo poco cre­di­bile la spie­ga­zione data dai diri­genti di Hamas, che hanno par­lato di razzi e colpi di mor­taio indi­riz­zati sem­pre verso posta­zioni e basi mili­tari israe­liane ma caduti ovun­que per­chè le armi pale­sti­nesi non sono sofi­sti­cate, allo stesso modo il rap­porto soprav­va­luta l’intenzionalità pale­sti­nese e ridi­men­siona quella israe­liana. Eppure molte decine di testi­mo­nianze rac­colte dall’Ong israe­liana “Brea­king the Silence” tra uffi­ciali e sol­dati che hanno par­te­ci­pato a “Mar­gine Pro­tet­tivo” dicono pro­prio il con­tra­rio. La Com­mis­sione d’inchiesta non sem­bra aver dato il giu­sto peso all’immensa dif­fe­renza di potenza di fuoco tra le due parti, che pure è con­fer­mata dalle distru­zioni e dal numero delle vit­time civili: 1462 pale­sti­nesi e sei israe­liane (oltre a un lavo­ra­tore asia­tico, gli altri 66 morti israe­liani sono sol­dati caduti in com­bat­ti­mento). Per Israele in ogni caso il rap­porto è total­mente sbi­lan­ciato. Il Con­si­glio dei diritti dell’uomo di Gine­vra, si afferma in un comu­ni­cato, sof­fre «di una sin­go­lare osses­sione per Israele». Benya­min Neta­nyahu ha negato che il suo Paese abbia com­messo cri­mini di guerra a Gaza per­chè, ha detto il pre­mier, «Israele si difende dal ter­ro­ri­smo». L’Anp di Abu Mazen, da parte sua, sostiene che il rap­porto dell’Onu debba essere sot­to­po­sto alla Corte penale inter­na­zio­nale. Anche Hamas nega di aver com­messo cri­mini di guerra ma un suo por­ta­voce, Sami Abu Zuhri, assi­cura che esperti del movi­mento isla­mico si riser­vano di valu­tare in det­ta­glio i risul­tati dell’inchiesta.

Il rap­porto della Com­mis­sione dell’Onu è stato pub­bli­cato men­tre a Gaza si dif­fon­deva un’altra noti­zia, molto inquie­tante. Uno degli assas­sini dell’attivista e repor­ter Vit­to­rio Arri­goni sarebbe scap­pato per rifu­giarsi in Siria, o in Libia secondo un’altra ver­sione, e per com­bat­tere assieme allo Stato isla­mico. Mah­moud Sal­fiti, mem­bro di una cel­lula del gruppo sala­fita Tawhid wal Jihad — con­dan­nato all’ergastolo e poi in appello a 15 anni di reclu­sione – aveva otte­nuto un per­messo per lasciare il car­cere durante il mese di Rama­dan. Sarebbe scom­parso qual­che ora dopo il suo rila­scio e avrebbe lasciato la Stri­scia attra­verso un tun­nel o addi­rit­tura per il valico di Rafah con l’Egitto gra­zie a un pas­sa­porto falso. Non è però escluso che Sal­fiti sia ancora a Gaza e che i suoi com­plici abbiamo rife­rito della sua fuga dalla Stri­scia per depi­stare la poli­zia. Le auto­rità di Hamas ieri sera non ave­vano ancora com­men­tato o con­fer­mato la notizia.

http://ilmanifesto.info/commissione-onu ... nazionale/

Qui il comunicato di Amnesty:

http://www.amnesty.it/Rapporto-Onu-sul- ... e-le-parti


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 26/06/2015, 11:20

US Congress members demand end to Israel’s “cruel” abuses of Palestinian children

Ali Abunimah Rights and Accountability 24 June 2015


An Israeli soldier arrests a Palestinian child during a protest against the Israeli occupation and settlements in the West Bank village of Beit Ummar, 20 November 2012. Anne Paq ActiveStills
In rare defiance of the stifling pro-Israel consensus in the US capital, members of Congress are calling on the Obama administration to push Israel to end its systematic abuses of Palestinian children.

Congresswoman Betty McCollum released a letter on Tuesday co-signed by 18 other members of the House of Representatives urging Secretary of State John Kerry to “prioritize the human rights of Palestinian children living in the Occupied West Bank in the bilateral relationship with the Government of Israel.”

“Indefensible”
A press release from the Minnesota Democrat’s office says the letter “specifically addresses Israel’s ongoing military detention of Palestinian children in which they are arrested, interrogated, held incommunicado, and frequently physically abused.”

“Israel’s military detention of Palestinian children is an indefensible abuse of human rights. I hope this letter results in State Department pressure on the Government of Israel to end this systemic abuse immediately,” McCollum states.

“Palestinian children should be treated exactly the same as Israeli or American children, without the fear that one day soldiers will arrest them, beat them, and lock them away in prison,” the lawmaker adds.

The letter calls these abuses “cruel, inhuman and degrading.” It states that Israel’s military detention system targeting children is an “anomaly in the world,” noting that no other country systematically subjects children to trials by military tribunals.

The letter cites the 2013 report by UN children’s rights agency UNICEF, titled “Children in Israeli Military Detention,” which highlights that “more than 7,000 Palestinian children ages 12 to 17 have been subject to military detention and abuse that violates international human rights standards.”

Underlining that the US gives Israel more than $3 billion annually, the lawmakers’ letter asserts that “respecting and defending the human rights of children, regardless of their ethnicity, race, religion or nationality, is a fundamental American value.”

A copy of the letter is below.

Advocacy works
The courageous – given the intensely anti-Palestinian climate in Washington – initiative came about in part as a result of advocacy on Capitol Hill by children’s rights defenders.

Earlier this month, Jennifer Bing of the American Friends Service Committee and Brad Parker, an attorney with Defense for Children International–Palestine, spoke to The Electronic Intifada Podcast about the No Way to Treat A Child Campaign.

The campaign culminated in a three-day series of advocacy events at the US Capitol earlier this month to raise awareness of Israel’s mistreatment of Palestinian children in military detention.

More than 100 people, including staff from 36 congressional offices, attended the briefing.

The events featured testimony by Tariq Abukhdeir, the Palestinian American teenager beaten unconscious and then jailed by Israeli occupation forces during a family visit to Jerusalem last summer.

The US Campaign to End the Israeli Occupation, which also participated in organizing the briefings, had urged supporters to ask their elected representatives to sign on to McCollum’s letter.

The letter is a positive sign that advocacy – even in a Congress so dominated by Israel lobby groups such as AIPAC – can produce positive results.

Obstruction of justice
But the letter is not likely to be welcomed either at the White House or the State Department.

Both President Barack Obama and Secretary of State Kerry have exerted immense efforts throughout their terms to obstruct any form of accountability for Israeli human rights violations.

The letter was released just a day after the UN Human Rights Council issued its independent report into Israel’s attack on Gaza and its violent crackdown in the West Bank last summer, finding evidence of numerous war crimes during the assault that devastated Gaza and killed more than 2,200 Palestinians.

The Obama administration had implacably opposed the investigation from the start and has vowed to prevent any action based on the report’s findings by the UN Security Council.

The letter also comes just two weeks after UN Secretary General Ban Ki-moon caved in to Israeli and Obama administration pressure and removed the Israeli army from a UN list of serious abusers of children.

Ten of the 18 signatories are members of the Congressional Black Caucus.

The 18 members co-signing the McCollum letter – all Democrats – are: Danny Davis (Illinois), Andre Carson (Indiana), Chellie Pingree (Maine), Peter DeFazio (Oregon), John Conyers (Michigan), Eleanor Holmes Norton (District of Columbia), Barbara Lee (California), Raul Grijalva (Arizona), Anna Eshoo (California), Earl Blumenauer (Oregon), Jim McDermott (Washington), Keith Ellison (Minnesota), Bobby Rush (Illinois), Maxine Waters (California), Don Beyer (Virginia), Eddie Bernice Johnson (Texas), Jim McGovern (Massachusetts) and Hank Johnson (Georgia).

https://electronicintifada.net/blogs/al ... n-children


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 28/06/2015, 11:07

"Un bambino ha diritto ad un papà e una mamma!" Beh, dai, è vero...
Giovedì 25 Giugno 2015
di Carlo Giuseppe Gabardini

E le ragazze madri? Le ammazziamo prima o dopo il parto? Dal libro di Carlo Gabardini
Su gentile concessione dell'autore e dell'editore, pubblichiamo uno stralcio dell'ultimo libro di Carlo Gabardini "Fossi in te io insisterei". Ve ne consigliamo la lettura.

"Voglio fare un altro coming-out, nella speranza di «incastrarmi»: io voglio avere un figlio. Ma ho paura. Però io ho paura di tutto, quindi ormai ho deciso che la paura non è un motivo sufficiente per non insistere. La paura va ammessa e compresa, nel senso di presa «con», presa assieme al resto; negarla non serve a niente, negarla la ingigantisce.
Il primo passo verso la paternità è scriverti questa lettera: devo risolvere la questione con mio padre per poter essere padre a mia volta. Il secondo è che devo riuscire a far approvare una legge che mi permetta di avere un figlio in questo Paese e di crescerlo con la persona che amo, anzi, che spero di incontrare e amare. Ma non sono questi due passi a spaventarmi, la paura è semplicemente il terrore di non essere all'altezza, di non saper fare il padre, di risultare un genitore nettamente meno capace di te.
Nell'attesa di averla vinta sulla mia paura, mentre mi porto avanti sul primo punto scrivendoti queste parole, mi occupo del secondo interrogandomi se sia giusto che io abbia un figlio oppure no.
«Un bambino ha diritto ad avere un papà e una mamma!»

La prima volta che ho sentito questa obiezione, ma anche la seconda, la terza, la quarta e la quinta, ho pensato: «Be’, dai, hanno ragione. È vero: un bambino ne ha il diritto». Ma proprio a me venite a parlare del diritto di avere una mamma? A me che per mia madre ho un’evidente venerazione.
Poi ho pensato: interessante questo fatto di spostare la questione sul diritto dei bambini. Curioso. Più efficace che giusto, però ci sta. Perché i bambini avrebbero diritto di vivere in un mondo ben diverso dall'attuale eppure non mi pare che leggi e azioni vadano in questa direzione. Comunque accolgo il ragionamento. Poi ho pensato: be’, visto che un bambino ha il diritto di avere sia una mamma sia un papà, se per disgrazia un genitore dovesse morire, i suoi figli devono essere istantaneamente portati via al genitore rimasto in vita, altrimenti si va a ledere questo diritto del minore. Poi ho pensato: un bimbo ha diritto ad avere una mamma e un papà, e fra l’altro, volenti o nolenti, ce li avrà per forza per una questione di natura; quello di cui stiamo parlando è in realtà il diritto ad avere due genitori vivi e presenti: quindi, se non potete produrre prove inconfutabili del fatto che entrambi intendete non morire – nemmeno per cause naturali – per almeno i primi diciotto anni dal concepimento, lo Stato deve negarvi il diritto di procreare.
Poi ho pensato: un bambino ha diritto anche ad avere da mangiare, un minimo, e da vestirsi e un tetto sopra la testa, e allora che facciamo: vietiamo ai poveri di avere figli? Creiamo una legge per cui sotto un reddito minimo non si ha il diritto di figliare? E con gli homeless come facciamo? Un nodo al pisello? Altrimenti è ovvio che uno nasce senza alcuna possibilità, e questo non va bene, è contro i suoi diritti. Chi è che è a favore del fatto che i bimbi muoiano di fame?

Poi ho pensato: un bimbo, più che di una qualsiasi figura femminile al suo fianco, ha diritto ad avere una mamma amorevole, giusta, severa ma affettuosa, no? Qualcuno vuole sostenere il contrario? Be’, allora è deciso: dobbiamo sterilizzare le stronze, tutte, non ce ne può scappare nemmeno una. Poi ho pensato: e con le ragazze madri come facciamo? Poverine, stanno mettendo al mondo un bimbo che non avrà un padre. Le ammazziamo prima o dopo che abbiano partorito? Sempre per difendere i bimbi, eh! Poi ho pensato: un bambino ha diritto a studiare e a essere una brava persona. E allora come la mettiamo con quelli che gli insegnerebbero delle cose terribili, lo indurrebbero a compiere azioni orrende, sarebbero dei pessimi genitori? Vogliamo sterilizzare anche loro? E come si fa a decidere? Facciamo un test? Nel momento in cui due stanno copulando, entra un messo comunale vestito a modo che urla: «Permesso, sono il messo!». (Oppure completamente nudo, vista la situazione in cui si deve intrufolare, ma questo lo si può decidere in seguito.) Arriva il messo del comune – ovviamente solo se si tratta di una coppia eterosessuale, perché le «coppie omo» con quell'atto non rischiano certo di procreare, gli omosessuali hanno dalla loro che, se desiderano un figlio, lo devono proprio «volere», non può capitare per sbaglio – e consegna ai due amanti due bei test in cui si chiede tutto, ma proprio tutto, e alla fine ci si impegna anche penalmente: reddito, gusti, scelte, un tema di politica, uno di storia, macchie di Rorschach, test sull'educazione, certificato antimafia che non fa mai male, aspettativa di vita, esami medici... Quindi, per farlo compilare, con ogni probabilità toccherà rimandare il sesso alla settimana successiva. Il positivo, di questa follia, è che per una volta anche gli eterosessuali dovranno dimostrarsi ben convinti prima di avere la possibilità di mettere al mondo un essere umano.

Vogliamo fare così? È questo il mondo che desideriamo? Non sarebbe meglio finalmente capire che quella con la mamma amorevole e il babbo sorridente, e magari anche un Mulino in multiproprietà, è semplicemente la famiglia ideale? Che appunto, in quanto ideale, non esiste, e ci possiamo solo tendere? Certo che un bimbo ha diritto a tutto il meglio. Ma nessuno può garantirglielo in precedenza. E, infatti, nessuna legge si sogna di farlo; al massimo, in casi estremi, lo Stato decide di provvedere ai minori invece dei genitori, giudicati da avvenimenti – e non da pregiudizi! – non idonei o sufficientemente preparati e pronti alla loro educazione. E in primis contano l’amore, l’essere delle persone oneste, il saper fare i genitori, insomma non certo quello che ci si trova fra le gambe.
E, soprattutto, queste valutazioni possono avvenire solo a posteriori, quando si scopre che un bimbo non è tutelato. Non a priori. Ed è giusto che sia così. Altrimenti entriamo in un discorso spinoso e pericoloso, che inizia con tutt'altre domande: com'è possibile che un uomo e una donna pluriomicidi possano figliare, due terroristi tossicodipendenti possano generare, due del Ku Klux Klan possano legalmente avere figli, un nazista e un’appartenente all’esercito di Pol Pot possano procreare? Insomma, com'è possibile che qualunque essere umano, anche della peggior specie, se accoppiato a un essere umano del sesso opposto abbia il diritto di avere e allevare figli, e questo non valga invece per due donne o due uomini? Ma che senso ha? Sarà peggio essere mafioso piuttosto che un uomo, o no?
Anche perché ci sono ampi studi che mostrano che per il bambino non costituisce nessun problema il fatto di essere allevato in una famiglia omosessuale, mentre non credo esistano studi analoghi su come se la passi la psiche del figlio di un serial killer eterosessuale regolarmente sposato con una donna che si batte a favore della pena di morte. Comunque, sia ben chiaro, lungi da me l’intenzione di vietare a priori a chicchessia la possibilità di avere figli.

Ogni tanto penso che forse una soluzione a questo problema sarebbe cominciare ad ammettere l’adozione per i/le single. (Ma, non avendoci riflettuto a sufficienza, di questo parliamo un’altra volta.)
La vera questione è che nessun bambino si sceglie i genitori, mai e in nessun caso. Anche perché, se così fosse, temo che avremmo il mondo strapieno di pessimi genitori in giro con i passeggini vuoti mentre i loro figli gattonano verso padri e madri migliori.
Poi ho pensato al mio amico Aldo, che ha un figlio di diciassette anni, Marco, e quando sua moglie è rimasta incinta per la seconda volta abbiamo festeggiato per una notte ad analcolici. Quattro mesi dopo, purtroppo, è avvenuta la tragedia: Anna non ce l’ha fatta, ha dato alla luce un altro maschietto ed è morta per le complicazioni del parto. Il piccolo Giulio ha ora 4 anni, sta benissimo, ed è stato allevato, educato e cresciuto da due uomini, suo padre e suo fratello. Due eccellenti papà. E a detta delle maestre d’asilo, Giulio è un mezzo genio. E allora chiedo: per una coppia omosessuale non potrebbe essere più o meno così? Che entrambi i genitori diventano figure di riferimento per il neonato, ma con ruoli complementari? C’è qualcuno che ritiene che il giorno della morte di Anna si dovesse strappare via il piccolo Giulio a questa famiglia perché costituita da soli uomini? O qualcuno pensa che questa di Aldo non sia una famiglia? Fra l’altro, ovviamente, anche i nonni hanno dato una mano. E, per fortuna, anche i gay spesso hanno mamme e papà, che non aspettano altro che avere dei nipotini e che sarebbero ben felici di dare il loro apporto educativo in qualità di nonne e nonni.
Poi ho pensato anche al mio caso, perché è vero che ti ho perso in età non tenerissima, però come si legge chiaramente io ho tuttora bisogno, oltre che diritto, a una mamma e un papà. E a volte mi immagino la scena del tuo funerale modificata: vedo un signore vestito di grigio che si avvicina alle panche occupate dalla mamma e da noi cinque figli e, dopo essersi presentato e aver stretto le nostre sei mani, ci dice: «Bene, io sono il vostro nuovo padre. Mi manda il comune. Perché ogni bambino ha diritto a una mamma e un papà! Signora Elena, vogliamo baciarci o aspettiamo la sepoltura?».
Ecco, a parte quest’ultimo esempio che è una buffonata, ho deciso che sì, penso che io devo avere un figlio, e devo poterlo crescere con la persona che sarà al mio fianco."

(da "Fossi in te io insisterei - Lettera a mio padre sulla vita ancora da vivere" di Carlo Giuseppe Gabardini - Ed. Mondadori)


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda franz il 28/06/2015, 11:53

Gli studi sull'omogenitorialità: una guida per i perplessi
Giuseppina La Delfa, President, Famiglie Arcobaleno

Accolgo sul mio blog un articolo di Tommaso Giartosio che risponde indirettamente a una certa stampa nata con lo scopo esclusivo di nutrire l'odio e buttare obbrobrio sulle persone omosessuali, transessuali e sulle famiglie omogenitoriali usando bugie, alterazioni di dati, storie strappalacrime fondate su presupposti sbagliati.

Invito alla lettura chiunque voglia davvero capire dove sta la verità non solo sugli studi che dimostrano che le famiglie omogenitoriali funzionano ma anche chiunque voglia riflettere su presupposti molto più importanti come la legittimità, che dovrebbe essere indiscussa, a volere tutelare delle famiglie e dei minori nell'esclusivo interesse loro. Chi può sostenere in fatti che in qualunque modo una famiglia si formi, non sia un grande benefico per tutti quelli che la compongono trovare sicurezza, stabilità e riconoscimento legale?

Solo gli omofobi accecati dall'odio. Ricordo infine ancora che le famiglie arcobaleno, i genitori omosessuali, non chiedono altro e da sempre, la possibilità di prendere le proprie responsabilità nei confronti dei bambini che hanno messo al mondo. Niente di più, niente di meno. E questo non può mai essere sbagliato. Per nessuno.


Gli studi sull'omogenitorialità: una guida per i perplessi

Quando si parla di omogenitorialità, a volte i media danno spazio ad alcune ricerche scientificamente e metodologicamente inutilizzabili, ma abilmente sfruttate dal fronte omofobico. Vorremmo perciò offrire qualche strumento per smascherarle.

DUE PREMESSE IMPORTANTI
Prima premessa: tutte le famiglie vanno studiate, comprese quelle omogenitoriali; e gay e lesbiche devono essere i primi a incoraggiare ricerche simili e devono accettarne gli esiti con onestà intellettuale. In effetti moltissime coppie dello stesso sesso hanno consultato questi studi prima di decidere di avere figli. Ma l'esito delle ricerche non ha nulla a che fare con la legittimità delle famiglie formate da coppie dello stesso sesso.

Immaginiamo di confrontare i figli di famiglie di migranti giunte in Italia e i figli di famiglie autoctone. I primi probabilmente saranno più esposti a episodi di razzismo, chi lo negherebbe? E mediamente i genitori avranno maggiori difficoltà ad ambientarsi, con ricadute sulla vita quotidiana della prole. Ma chi userebbe questo dato come un argomento per sostenere che gli stranieri non debbono avere figli in Italia? O che i figli degli stranieri dovrebbero avere meno diritti in termini di riconoscimento familiare?

Se da una ricerca emergesse che le famiglie di stranieri sono più svantaggiate socialmente, come occorrerebbe reagire? Impedendo ai genitori, magari con l'aiuto del prefetto, di far riconoscere i loro figli all'anagrafe? No: compiendo un lavoro culturale e politico che dia a tutti pari diritti e pari opportunità. Che è appunto ciò che chiedono le Famiglie Arcobaleno.

Ed ora la seconda premessa.

Nell'opinione pubblica priva di conoscenze specialistiche si è diffusa (o è stata diffusa ad arte) l'impressione che, per quanto riguarda l'omogenitorialità, la scienza sia divisa. Si pensa che alcuni psicologi e sociologi abbiano raccolto dati che permettono di vedere nelle famiglie omogenitoriali una semplice variante della genitorialità, che non mette in pericolo i figli, e che altri psicologi e sociologi abbiano invece raccolto dati allarmanti, che mostrano una realtà famigliare drammatica.

Non è così.

Attenzione però: negli studi teorici - che siano veri e propri saggi oppure riflessioni, interviste, semplici prese di posizione - chiunque può sostenere e argomentare le sue idee senza bisogno di dimostrarne la validità con dati concreti. Uno psicoanalista freudiano classico, per esempio, può sostenere che le famiglie arcobaleno non permettono ai figli di affrontare il complesso di Edipo: e può dirlo senza tema di essere smentito, se rimane sul piano strettamente teorico, cioè se non presenta dati a sostegno della sua tesi. E ovviamente non c'è nulla di male nel fatto che psicoanalisti, filosofi, teologi lascino viaggiare liberamente i pensieri: è anzi necessario che lo facciano.

Ma se si passa alle ricerche sul campo le cose cambiano. Qui troviamo molte decine di studi pubblicati sulle riviste più autorevoli nel corso di più di quarant'anni, e le indicazioni che forniscono vanno sempre nella stessa direzione. Se non si trattasse di un tema reso controverso da pregiudizi ancestrali, il dibattito sarebbe inesistente e il discorso sarebbe già chiuso. Ormai tutto il mondo accademico serio - psicologi, sociologi, pediatri - ha tratto da anni le sue conclusioni, e le organizzazioni professionali si sono più volte espresse a sostegno dell'omogenitorialità. Non esistono dunque studi che si esprimano diversamente? Sì, ci sono, così come c'è ancora chi sostiene il creazionismo o il negazionismo. Si tratta comunque di pochissimi studi e molto discutibili, per tante ragioni che ora diremo.

E questo ci porta al cuore della questione.

GLI STUDI A FAVORE
Si può partire dal report di Charlotte Patterson del 2005, che prendeva in esame circa 150 ricerche dei decenni precedenti per concludere che "gli ambienti domestici forniti da genitori omosessuali hanno la stessa probabilità di quelli forniti da genitori eterosessuali di supportare e realizzare lo sviluppo psicosociale dei figli". Nel decennio successivo, ancora molte altre ricerche (come quelli di Gartrell, Bos, Stacey, Biblarz, van Gelderen, Goldberg ecc.) hanno confermato questi dati.

Questi studi non sono semplici da realizzare. Prima di tutto perché non è facile intercettare le famiglie omogenitoriali - un gruppo minoritario, discriminato, talvolta riluttante a esporsi, e (fino a tempi recentissimi) non rilevato nei censimenti. Se molti studiosi hanno reperito le famiglie necessarie attraverso il passaparola e l'associazionismo, non è perché obbedissero agli ordini di una fantomatica "lobby gay", ma semplicemente perché non c'era altro modo di trovarle.

Pochi hanno potuto studiare più di una cinquantina di famiglie alla volta (anche se cumulativamente sono state indagate migliaia di famiglie in molti diversi paesi). Si tratta di una forma d'indagine del tutto legittima, i cosiddetti "studi qualitativi", che dichiaratamente prendono in esame un numero limitato di soggetti, ma lo fanno in modo approfondito e giungendo a risultati certi, benché non generalizzabili.

Via via le ricerche sono divenute sempre più attendibili, per esempio con il ricorso a "gruppi di controllo" (un campione di famiglie eterogenitoriali da usare come termine di confronto) e la rilevazione dei dati prolungata su più di dieci anni. Oggi gli studi sono ormai moltissimi, e i dati che ci offrono confermano in modo compatto (con le poche apparenti eccezioni che discuteremo tra poco) quanto scriveva Patterson nel 2005. A fare la differenza è la qualità delle relazioni di accudimento, non il sesso o l'orientamento sessuale dei genitori.

Questi studi hanno fornito ovviamente anche una messe di altre informazioni. Per esempio, la metanalisi (una comparazione tra molte decine di studi precedenti) effettuata nel 2010 dai sociologi americani Timothy Stacey e Judith Biblarz ha indagato l'influenza della variabile "genere" sulle competenze genitoriali. Scoprendo tra l'altro che le madri lesbiche preferiscono in generale le figlie femmine, i padri eterosessuali i figli maschi, e i padri gay non sembrano avere particolari preferenze in un senso o nell'altro.

Riferiamo questo dato curioso solo per dare un'idea di come in ambito accademico non si sia ormai più ossessionati dalla questione dello "stato di salute" della famiglia omogenitoriale in sé, e si cerchi invece di conoscere meglio questo o quell'aspetto di questo come di altri tipi di famiglia. È significativo, comunque, che molti di questi studi ci mostrino famiglie omogenitoriali mediamente meno legate agli stereotipi di genere (per esempio, figli e figlie si scambiano i compiti con facilità) e meno inclini alle punizioni corporali.

Un punto importante è naturalmente se i bambini arcobaleno risentano dell'omofobia sociale. Alcuni studi, come quelli compiuti da H. M. W. Bos negli anni Duemila, mostrano che questo impatto negativo esiste, se la scuola e i genitori non attivano strategie antiomofobiche. Ma sorprendentemente gli studi di Bos mostrano anche che questi ragazzi hanno uguali livelli di disagio psicologico globale rispetto ai ragazzi cresciuti con genitori eterosessuali. Forse è un segno della buona reattività delle coppie dello stesso sesso di fronte a una situazione problematica che la nostra società dovrebbe comunque affrontare. Se viviamo in una cultura omofoba (o razzista), la soluzione non può essere ostacolare le famiglie omogenitoriali (o straniere).

GLI "STUDI" AVVERSI
Veniamo ora alle ricerche in apparenza avverse all'omogenitorialità a cui avevamo accennato.

"In apparenza", perché occorre prima di tutto liberare il campo da una serie di lavori che vengono spesso citati quando si parla di genitori dello stesso sesso, ma in realtà con le famiglie omogenitoriali hanno ben poco a che fare.

Per esempio, accade che si tirino in ballo i numerosi studi che mostrano come un bimbo che cresce con la sola madre sia svantaggiato rispetto a uno che cresce con una madre e un padre. E che questi studi vengano descritti come "ricerche sui bimbi allevati senza un padre". La malafede è evidente. Si tratta ovviamente di bimbi allevati innanzi tutto con un solo genitore, con le inevitabili difficoltà che questo comporta. Cosa accadrebbe con due genitori dello stesso sesso rimane da dimostrare (o meglio, è stato mostrato - nei tanti studi "positivi" che abbiamo già citato).

In modo analogo, si citano le tante ricerche sulla centralità del rapporto con il padre nelle famiglie eterogenitoriali, e le si usa per sostenere che i bambini "hanno bisogno di un padre". Ma il senso di questi studi è chiaramente che i figli crescono meglio se hanno un rapporto significativo con entrambe le figure genitoriali, qualsiasi sia il loro sesso biologico. Per verificarlo basterebbe vedere cosa accade quando i genitori sono dello stesso sesso. E, come abbiamo visto, la risposta c'è già - negli studi citati in apertura.

Altri studi utilizzati contro le famiglie omogenitoriali prendono in esame la popolazione omosessuale in generale e mostrano un'incidenza di disagio psichico, malattie (tra cui l'Aids), consumo di alcool e droghe, comportamenti asociali, violenza, ecc. con valori superiori alla media. Alcuni di questi studi sono affidabili: in effetti parametri di questo tipo sono spesso più alti in tutti i gruppi discriminati, per esempio le minoranze etniche, o i disoccupati/inoccupati. Ma non è assurdo pensare che per questo motivo occorra evitare di dare riconoscimento alle loro famiglie?

E in ogni caso, cosa significano questi dati? In Italia (per fare un parallelo) la percentuale di cittadini che hanno consumato cannabis e cocaina è tra le più alte in Europa, ma questo non significa che le famiglie italiane siano fumerie d'oppio... Solo alcuni gay (e solo alcuni etero) sono violenti o consumano droghe, e non è detto che siano proprio loro a voler mettere su famiglia. Per accertarsene occorrerebbe indagare la presenza di questi comportamenti non nell'intera popolazione gay/lesbica, ma direttamente nelle famiglie omogenitoriali. Ma queste famiglia, come abbiamo detto, sono già state studiate.

Ancora una volta, è davvero curioso che si cerchino studi che indicano presunte criticità delle famiglie arcobaleno senza mai studiarle direttamente - e che queste criticità poi scompaiano quando le si studia davvero.

Altri studi, poi, mostrano che per un figlio è più vantaggioso, mediamente, crescere con genitori sposati che con genitori conviventi. Questo è un ottimo argomento a favore del matrimonio per tutti...

Altri studi sono stati frettolosamente pubblicati su riviste sconosciute e di scarsissima autorevolezza, prive di peer review o con peer review approssimative...

Altri studi sono frutto del lavoro di "studiosi" pittoreschi come Paul Cameron, espulso dal suo ordine professionale e oggetto di una fitta serie di sanzioni...

Altri studi citano prese di posizione di associazioni professionali fantasma come l'American College of Pediatricians, cioè alcune decine di medici che hanno lasciato nel 2002 la vera associazione professionale dei pediatri americani, l'American Academy of Pediatrics, con 60000 iscritti...

La più straordinaria collezione di informazioni false e tendenziose sull'argomento, pericolosa per il suo aspetto "scientifico", è forse la poderosa lista di "studi scientifici" [sic] avversi all'omogenitorialità messa online dall'UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali). Ce ne sono di tutte le tipologie che abbiamo elencato fin qui. Ma ecco alcune perle:

- nel dicembre 2011 viene riportata la pubblicazione di una ricerca su "Archives of Sexual Behaviour" secondo cui le figlie diciassettenni di madri lesbiche sarebbero più inclini a sperimentare con l'omosessualità (come se ci fosse qualcosa di male - comunque il dato è noto da molte altre ricerche, che mostrano che in età adulta la proporzione di omosessuali tra loro rispecchia quella della società nel suo insieme); non si dice però che, secondo lo stesso studio, queste ragazze hanno meno probabilità di subire abusi sessuali in famiglia;

- nel luglio 2012 vengono citate le parole di un sociologo (Daniel Potter) secondo cui "i bambini cresciuti in famiglie tradizionali (vale a dire, con i due genitori biologici sposati) tendono a fare meglio dei loro coetanei cresciuti in famiglie non tradizionali" - ma si tralascia il seguito dell'abstract, che trae conclusioni di senso diametralmente opposto;

- nel dicembre 2013 viene tirata in ballo una ricerca del "McGill University Health Centre" sulla mancanza del padre, che riguarda - ma questo non viene dichiarato - la mancanza del padre nel... topo americano.

Abbiamo voluto dilungarci su questa lista di bufale, a rischio di annoiare chi legge, per far capire che nell'ambito degli studi sull'omogenitorialità non si sta sviluppando un normale dibattito scientifico in cui tutti concordano almeno nell'intento di giungere a una verità oggettiva condivisa. Quando Ernesto Galli Della Loggia accusa associazioni come Famiglie Arcobaleno di "considerare ciarlatani o delinquenti tutti gli studiosi che non condividono il pensiero gay in base al semplice fatto (peraltro da accertare) che un paio di costoro sono stati colpiti da sanzioni o scoperti a mentire", mostra di non conoscere ciò di cui sta parlando. Non è in corso uno scontro tra il "pensiero gay" (qualunque cosa sia) e una frangia di rispettabili studiosi, ma un assalto alla scienza mosso dalla pseudoscienza a scopi schiettamente discriminatori.

REGNERUS E SULLINS
Occorre però dire qualcosa di più sugli studi, recenti e in apparenza più credibili, di Regnerus e Sullins.

Come abbiamo detto, in questi decenni moltissime ricerche sono state necessariamente qualitative, cioè basate su un campione di poche decine di famiglie che si sono offerte di partecipare. Ovviamente sarebbe stato preferibile condurre anche ricerche quantitative, cioè riferite ad ampi numeri e a un campionamento casuale. E così è stato: nel 2006 Patterson ha potuto condurre, con Jennifer Wainright, uno studio sull'andamento scolastico, l'adattamento famigliare e sociale e le relazioni amicali e romantiche di un campione totalmente casuale di ragazze cresciute in coppie lesbiche. I risultati sono stati analoghi a quelli delle ricerche precedenti. Altrettanto vale per gli studi di Michael Rosenfeld (2010) sulla riuscita scolastica di 3500 bambini cresciuti in famiglie omogenitoriali, e quello di Potter (2012) su 158 bambini scelti da un campione casuale di 20.000.

Si tratta di ricerche molto costose. In questi anni però alcune fondazioni legate alla destra fondamentalista hanno finanziato studi sociologici quantitativi di questo tipo. Il prossimo studio che discuteremo, per esempio, ha ricevuto quasi 700.000 dollari.

Il New families structure study di Mark Regnerus ha avuto una certa risonanza nel 2012. Per la prima volta uno studio condotto su un campione statisticamente significativo (quasi 3000 adulti tra i 18 e i 39 anni) riportava risultati negativi per i figli di genitori omosessuali. I figli di "madri lesbiche" avevano ottenuto risultati significativamente peggiori in molti aspetti della qualità della vita: disoccupazione, sussidio sociale, disimpegno politico, psicoterapia in atto per ansia e depressione, tradimento del proprio partner, perfino abuso sessuale ricevuto durante l'infanzia. Poveri erano i risultati scolastici, più frequenti l'abuso di droghe e gli arresti occasionali.

Lo studio, tuttavia, si è rivelato profondamente fallato (e un'indagine interna alla prestigiosa rivista Social science research, che l'aveva pubblicato, ha messo in evidenza gli errori compiuti nel processo di valutazione). "Madre lesbica", per esempio, era definita qualsiasi donna che avesse mai avuto una relazione anche brevissima con un'altra donna. Ciò faceva identificare come "figli di madre lesbica" anche tanti soggetti che erano sempre vissuti con i loro genitori etero. Solo il 57% dei "figli di madre lesbica" avevano vissuto almeno quattro mesi con la madre e la sua compagna, e solo il 23% per almeno tre anni. Solo il 23% dei "figli di padre gay" avevano vissuto almeno quattro mesi con padre e compagno, e solo il 2% per almeno tre anni. Chiaramente questo non è uno studio su ciò che intendiamo come "famiglie omogenitoriali".

Ma cosa ha studiato allora Regnerus? La sua ricerca intercettava soprattutto quei figli e figlie che, nati in una coppia eterosessuale, avevano visto uno dei genitori scoprirsi gay o lesbica, con conseguente crisi e separazione. Era inevitabile che lo studio incappasse in famiglie di questo tipo. Prima di tutto perché sono tuttora molto più diffuse delle famiglie "a fondazione omosessuale" (in cui una coppia di donne o di uomini decide di avere figli); e poi perché Regnerus aveva scelto di intervistare dei figli maggiorenni (tra i 18 e i 39 anni), quindi esplorava le relazioni famigliari che avevano vissuto nei decenni precedenti, quando le famiglie "a fondazione omosessuale" erano davvero casi eccezionali. Il risultato è uno studio che ci parla soprattutto della difficoltà di crescere in famiglie spezzate, e in particolare del peso del segreto omosessuale - una vera e propria bomba a orologeria. È uno studio che dovrebbe casomai stimolarci a accogliere gli omosessuali dichiarati, e a riconoscere le loro famiglie.

Lo studio del 2015, anch'esso quantitativo, di Donald Paul Sullins è stato appena pubblicato e ci riserviamo di tornarvi sopra in un altro articolo. Per ora si può osservare che lo studio adotta un approccio molto simile a quello di Regnerus. Utilizza dati relativi addirittura a più di 200000 bambini, e in questo modo riesce a reperirne anche su 512 figli di genitori dello stesso sesso, il cui benessere appare nettamente inferiore alla media. Anche in questo caso i dati si riferiscono almeno in parte al passato: i primi sono stati ottenuti quasi vent'anni fa, nel 1997. Sullins evita di commettere l'imprudenza di Regnerus, e si guarda bene dal raccogliere dati sulla "durata" delle famiglie che esamina. In questo modo la presenza di famiglie segnate dal divorzio resta completamente invisibile. Ma proprio il confronto con i dati di Regnerus ci fa capire che la grande maggioranza di queste famiglie omogenitoriali è segnata dalla separazione dei genitori.

Del resto, anche la conclusione del lavoro di Sullins - che celebra enfaticamente la "famiglia biologica" e la crescita con due "genitori biologici" - fatica ad ancorarsi ai dati: come possiamo dire, nell'epoca dell'eterologa per tutti (e ovviamente dell'adulterio per chi lo vuole), che i figli di queste coppie etero sposate siano davvero "biologici"?

Abbiamo deliberatamente evitato di tirare in ballo il fatto che Donald Paul Sullins sia stato sacerdote e insegni tuttora presso la Catholic University of America. Molto correttamente il sito dell'UCCR osserva: "A chi volesse obiettare che l'autore è 'di parte' perché lavora in una Università cattolica bisognerebbe ricordare che tale ateneo è ritenuto uno dei migliori college americani da parte della Princeton Review, che l'indagine scientifica non si basa sul principio di autorità e il ricercatore - anche se interessato all'argomento (sarebbe strano il contrario, in realtà )- pubblica dati e offre un'interpretazione di essi, rimettendosi al giudizio e alla valutazione dei revisori esterni, cosa che è stata fatta dal prof. Sullins." Molto meno correttamente lo stesso sito, nella "pagina degli orrori" che abbiamo citato prima, attacca Charlotte Patterson, professoressa di Psicologia e direttrice del "Programma interdisciplinare di studi su donne, genere e sessualità" della prestigiosa Università della Virginia, e ovviamente anche lei sottoposta alle stringenti valutazioni dei revisori esterni, rinfacciandole di essere "un'attivista omosessuale, convivente con tre bambini". Ancora una volta: due pesi e due misure. Per questo abbiamo parlato di "pseudoscienza".

Ora, qualche conclusione.

I difetti strutturali di ricerche come quelle di Regnerus e Sullins - per non parlare degli altri studi meno seri a cui abbiamo accennato - non sono paragonabili ai limiti dei circa 200 studi qualitativi che danno un'immagine rassicurante dell'omogenitorialità. I primi, infatti, sono semplicemente inutilizzabili ai fini di una migliore comprensione dell'omogenitorialità, perché si fondano su un'idea distorta di essa e impediscono di valutare l'effetto di fattori esterni (come il divorzio o lo stigma) dall'impatto di eventuali caratteri intrinseci della realtà omogenitoriale. I secondi invece, pur non essendo generalizzabili, forniscono una mole di dati coerenti e unidirezionali che oltre a venire ribaditi da sempre nuovi studi qualitativi, possono trovare successive conferme in studi quantitativi come quelli di Patterson, Rosenfeld e Potter - che effettivamente li confermano, e sono generalizzabili.

In secondo luogo, di fronte ad una letteratura scientifica imponente che ha accumulato solo negli ultimi 15 anni più di 50 studi, che confermano e riconfermano gli stessi risultati (ovvero che l'orientamento omosessuale dei genitori non danneggia i figli che crescono con loro), qualunque studio che desideri affermare il contrario dovrà provarsi metodologicamente impeccabile.

Ma i lavori di Sullins e Regnerus si prestano a una riflessione ulteriore. Una parte delle coppie omosessuali prese in esame da Sullins - circa il 16 % - erano sposate (negli ultimi vent'anni il matrimonio per tutti ha preso piede negli Stati Uniti, come altrove). Questo avrebbe permesso allo studioso di svolgere un confronto omogeneo tra le coppie sposate eterosessuali e quelle sposate omosessuali. Invece ha preferito raccogliere in un'unica categoria tutte le coppie omosessuali - sposate, conviventi, appena nate, divorziate - e confrontarle con coppie etero in stragrande maggioranza sposate. Un paragone squilibrato, fatto per evidenziare la fragilità delle famiglie del primo gruppo. Ma è solo un esempio di un modo di procedere che - in Sullins come già in Regnerus - lascia fuori dal quadro le maggiori pressioni sociali a cui è sottoposta una famiglia omogenitoriale: l'esclusione dal matrimonio (che, come molti studi hanno mostrato, rinsalda una coppia), ma anche lo stigma, il segreto (a volte), la mancanza di tutela legale, l'omofobia interiorizzata, il bullismo scolastico, il precedente divorzio eterosessuale...

Insomma, una montagna di dati che ci dice veramente poco. Spesso gli studi sociologici sui grandi numeri portano a grandi semplificazioni. E proprio qui si rivela il valore dell'indagine qualitativa. Gli studi fatti su piccoli campioni di convenienza permettono di isolare più facilmente la variabile omogenitorialità: capire se la coppia gay che vive con il figlio lo ha avuto in una famiglia precedente, oppure lo ha cercato (e per quanto tempo); se ha un'identità sociale forte, e per esempio fa parte di un'associazione; se può contare su buone prassi, se frequenta contesti liberali...

Una ricerca qualitativa ovviamente si concentra sulla descrizione di processi specifici al campione osservato. Non ha pretese di parlare per l'universo mondo, ma solo per il suo campione. Non può affermare che l'omogenitorialità è sempre funzionale o sempre disfunzionale; ma dal momento che riesce ad evidenziare delle realtà che funzionano anche meglio delle altre, per quanto non rappresentative di tutte le situazioni omogenitoriali, permette di affermare che l'omogenitorialità può funzionare perfettamente, quando il contesto glielo permette.

Ne deriva una domanda diversa: cioè quando e a quali condizioni l'omogenitorialità funziona? Che è esattamente il punto della richiesta di sensibilizzazione, legislazione e tutela delle famiglie arcobaleno. Se possono funzionare, allora è dovere della società cambiare per permettere loro di farlo.

Principali testi citati
Patterson, C.J., Lesbian & Gay Parenting. APA, Washington DC, 2005.
Regnerus, M., "How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the New Family Structures Study", in Social Science Research, 41 (4), 752-770, 2012.
Stacey, J., e Biblarz, T.J., "How Does the Gender of Parents Matter?", in Journal of Marriage and Family, 72, febbraio 2010, pp. 3-22.
Sullins, D. P., "Emotional Problems among Children with Same-Sex Parents: Difference by Definition", in British Journal of Education, Society and Behavioural Science, 7 (2), febbraio 2015, pp. 99-120.

Ringrazio per il sostegno Daniela Santoro, Giuseppina La Delfa e in particolare Federico Ferrari, che mi ha permesso di riprendere materiali dal suo "La ricerca scientifica sull'omogenitorialità" (in Le famiglie omogenitoriali in Italia. Relazioni familiari e diritti dei figli, a cura di P. Bastianoni e C. Baiamonte, Edizioni Junior, Bergamo, febbraio 2015, pp. 60-77) e dal suo ampio studio Omogenitorialità. Psicologia delle famiglie di lesbiche e gay (di prossima pubblicazione).

http://www.huffingtonpost.it/giuseppina ... 52998.html
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda annalu il 28/06/2015, 14:56

Ringrazio Franz per l'interessante articolo sulle famiglie arcobaleno.
Quello che più mi turba è che i cosidetti "studi contrari" non si preoccupano di migliorare le condizioni dei bambini che crescono in famiglie omogenitoriali, ma solo di condannarli ad un isolamento sempre maggiore.
E' come accadeva sino a pochi secoli fa per i bambini cosidetti illegittimi: il problema non veniva visto nell'ottica di aiutare questi bambini a crescere il meglio possibile, ma al contrario, lo scopo era di isolarli e costringerli ai margini della società, perché non turbassero l'equilibrio e gli interessi (soprattutto gli interessi) dei figli legittimi.
Forse coloro che sostengono che i bambini hanno diritto ad una mamma e ad un papà (ovviamente di sesso diverso), vorrebbero tornare a quell'epoca, quando i "valori della famiglia tradizionale" erano difesi anche con l'ostracismo delle cosidette "ragazze-madri", colpevoli di aver concepito un figlio fuori dal matrimonio. Oviamente non possono dirlo, ma lo si intravede tra le righe dei loro discorsi.

Quando ero una ragazzina, più di mezzo secolo fa, avevo un amico omosessuale. Ovviamente non lo sapeva nessuno, solo io ero stata fatta partecipe del segreto che conservavo gelosamente. Il padre cercava in tutti i modo di "ricondurlo sulla retta via" cercando di indurlo a frequentare prositute, e lui stesso faticava ad accettarsi. E' cresciuto con un carattere inquieto ed insicuro, con storie sentimentali brevi e un comportamento piuttosto promiscuo.
Alla fine, ormai del tutto adulto, ha trovato un compagno col quale è riuscito a stabilire un rapporto solido e duraturo, riuscendo a farlo accettare prima di tutto a se stesso, e poi agli altri.
Solo a questo punto è riuscito a raggiungere un certo equilibrio, perché il problema non era l'omosessualità, ma il rifiuto.
Non riesco a capire quale logica possa spingere adesso le persone ad ostacolare in modo così ottuso le famiglie Arcobaleno: più verranno accettate e più serena sarà la vita di tutti, perché è l'esclusione a provocare grossi guai.

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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/06/2015, 0:07

Ormai bisogna parlare di "regime" per la Turchia?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06 ... i/1823796/

Turchia, la polizia reprime il Gay pride di Istanbul: gas lacrimogeni e cariche contro i manifestanti


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/06/2015, 13:29

La Spezia Oggi News

BONASSOLA: SCONTRO SUI MIGRANTI. LA GESTRICE DEL RESORT “LA FRANCESCA” SCRIVE A LEGA E FRATELLI D’ITALIA REDAZIONE | 27 GIU 2015
BONASSOLA- Riceviamo e pubblichiamo da Giovanna Cossia De Poli, che gestisce il resort “La Francesca” a Bonassola, in merito alla manifestazione organizzata da Stefania Pucciarelli (Lega Nord) e Alessandro Rossono (Fratelli d’Italia).

Il caso.
Giovanna Cossia De Poli, nei giorni scorsi, si era offerta di ospitare 4 migranti (due mamme con bambini) nelle camere del suo resort: la decisione aveva suscitato la contrarietà di Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia, che hanno organizzato una manifestazione contro questa decisione. (www.gazzettadellaspezia.it).

La lettera.
Gentili signori,
alcune puntualizzazioni in merito alla manifestazione (politica) da voi patrocinata il 25 giugno a Bonassola come coordinatori provinciali rispettivamente di Fratelli d’Italia e Lega nord.
Come gestrice del resort La Francesca, da più di 50 anni il più grande complesso turistico della provincia, esprimo il più forte disaccordo a quanto da voi sostenuto nel corso della manifestazione in oggetto. Sottolineo la mia piena libertà di scelta ad offrire, alle autorità competenti, la disponibilità ad accogliere in un territorio protetto di 15 ettari due mamme e due bambini piccoli che (pare) non siano accettati in regione. Circa il “falso buonismo” citato nella manifestazione vorrei invitare le “persone di buona volontà” ad un serio esame di coscienza: dove sono a Bonassola (uno dei comuni col più alto numero di case pro capite in Italia) le famiglie italiane senza tetto senza lavoro ? Alla Francesca chi vuole lavorare è benvenuto con un contratto sicuro e alloggio quando possibile. Circa la “sicurezza”, a quale sicurezza vi riferite? per quasi 20 anni ho girato il sud del mondo – intendo Africa, Asia, America Latina e Vicino oriente – ho vissuto nelle campagne e visitato le bidonvilles e sono qui a raccontarlo; per questo se mi si accusa di falso buonismo io mi pongo la domanda forse non si tratta di “sano razzismo”? Dedico – io laica – ai cosiddetti difensori “dei valori” una frase di Papa Francesco.
“Vi invito tutti a pregare perché le persone e le istituzioni che respingono questi nostri fratelli chiedano perdono“.
(Giovanna Cossia De Poli)

http://www.laspeziaoggi.it/news/2015/06 ... i-ditalia/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/06/2015, 13:34

https://www.change.org/p/segretario-gen ... to-di-gaza

Chiediamo ai responsabili degli organismi internazionali e garanti della Carta Internazionale dei Diritti Umani, di far pressione su Israele affinché tolga - subito, per sempre e senza condizioni - il blocco militare sulla Striscia di Gaza.

10 motivi per cui è giusto farlo:

E' giusto che le donne e gli uomini di Gaza possano scambiare opinioni con il resto dell'umanità, possano viaggiare, recarsi nel resto della Palestina o all’estero.
E' giusto che anche i bambini e gli studenti di Gaza abbiano diritto a una infanzia serena, all’istruzione, a scambi interculturali con il resto del mondo, basi fondamentali per la speranza in un futuro senza guerra.
E' giusto che gli ospedali di Gaza possano essere ricostruiti, dopo essere stati bombardati, senza essere lasciati in macerie poichè - a causa del blocco - non vi sono fondi e materiali per la ricostruzione.
E' giusto che il porto di Gaza sia aperto alle imbarcazioni provenienti da altri Paesi, come ogni altro porto del mondo.
E' giusto che gli agricoltori di Gaza possano lavorare la propria terra senza essere obiettivo dei cecchini militari israeliani.
E' giusto che gli artigiani di Gaza siano liberi di scambiare i propri prodotti con il resto del mondo, possano ricevere le necessarie materie prime, non abbiano i mercati chiusi da limiti invalicabili e posti di blocco militari israeliani.
E' giusto che i pescatori di Gaza possano pescare in pace e liberamente, senza essere continuamente attaccati dalla marina israeliana che confisca le loro imbarcazioni, li arresta e spesso li uccide.
E' giusto che a Gaza le persone possano mantenere la famiglia con il proprio lavoro, liberi di far crescere la propria attività, senza dipendere dagli aiuti umanitari. Sono perfettamente in grado di farlo, senza blocco.
E' giusto che il mondo possa godere anche della cultura Palestinese, delle sue eccellenze, tenute inutilmente segregate dentro un blocco che rischia di estinguerle.
E' giusto pensare che la giustizia sia l’unica prerogativa di pace e sicurezza per tutti.
Il solo fatto di nascere a Gaza impedisce di poter scegliere se e quando uscirne. E' assurdo che quasi 2 milioni di persone siano oggetto di una punizione collettiva che dura oramai da più di 8 anni, e siano rinchiuse in una gigantesca prigione a cielo aperto senza aver commesso alcun crimine.

Con questo appello chiediamo a voi, rappresentanti delle istituzioni internazionali, di prendere le iniziative necessarie affinchè questo blocco inumano abbia termine, e affinchè Israele rispetti la legalità internazionale, aprendo il porto di Gaza, il porto della Palestina, come primo passo immediato.

Chiediamo solo quanto è giusto, garantito dalla Carta Internazionale dei Diritti Umani, e dalla IV Convenzione di Ginevra, di cui siete esecutori e garanti.

Perché noi, cittadini del mondo, firmatari di questa petizione, siamo consapevoli che non c’è pace, né sicurezza per nessuno, senza giustizia.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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