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Diritti umani, informazione e comunicazione

Informazioni aggiornate periodicamente da redattori e forumisti

Situazione Honk Kong

Messaggioda franz il 01/10/2014, 7:10

POLITICA INTERNAZIONALE
Forchielli: nessuna speranza per HK, politici marionette

di Eugenio Buzzetti
Twitter@eastofnowest

Hong Kong, 30 set. - Un governo di marionette e un movimento destinato a fallire. E' questo il ritratto di Occupy Central dipinto da Alberto Forchielli, managing director e fondatore di Mandarin Capital Partners. I giovani riuniti da giorni a Central e in altre aree della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong non hanno alcuna speranza di successo. "Mentre Tian'anmen è stato un fatto che colse tutti impreparati, qui c'è una piccolissima parte della popolazione cinese che manifesta e che è anche invisa agli altri cinesi della mainland - spiega Forchielli ad Agi China - Che sarebbe successo qualcosa era ovvio da anni".


In un comunicato emesso oggi, il governo dell'isola si è detto preoccupato del possibile danno di immagine a Hong Kong, provocato dal prolungarsi delle proteste. E' così secondo te?

Il governo di Hong Kong è fatto di marionette. Sono persone non abituate al minimo dissenso. Sono lacchè il cui compito principale è lustrare le scarpe a Pechino. E' chiaro che di fronte alla minima protesta non riescono a tenere i nervi a posto. Sono semplicemente abituati all'obbedienza.

Alcuni esponenti del mondo della finanza di Hong Kong hanno dato segnali di insofferenza verso il prolungarsi delle proteste. Quale è il danno reale delle manifestazioni all'economia dell'isola?

Il mondo della finanza va diviso in due blocchi: c'è il mondo emotivo dei tanti risparmiatori istituzionali e anche personali che si fa cogliere dall'onda emotiva, perché la storia è centrale nei media; rompe la monotonia dell'Isis, l'incomprensione della Libia. Il movimento ha avuto molto spazio e fatto presa su una certa fascia che è molto alta della finanza tutta, soggetta a effetto "herd", l'effetto "branco". E poi c'è la finanza degli operatori internazionali che sono a Hong Kong da sempre, capisce benissimo le dinamiche e sapeva benissimo che questo sarebbe successo. Sapeva che si sarebbe giunti a questo punto e pensa che passerà, perché non esistono alternative. In fondo, ottantamila giovani con gli ombrelli non è assolutamente nulla. Ne abbiamo viste di peggio in Italia, durante gli anni di piombo.

Pechino no cambierà idea sul suffragio universale, ha detto oggi CY Leung. Quante speranze ha, secondo te, il movimento di Occupy Central?

Nessuna.

Cosa ti aspetti per i prossimi giorni?

Credo che Pechino non sia in condizione di cambiare idea, perché si deve preoccupare di un altro 1,4 miliardi di cinesi che non hanno nessuna simpatia per quelli di Hong Kong: questa è la principale preoccupazione di Pechino. Non può lasciare una piccola città alla periferia che si auto-gestisce: non ha alcun senso. Pechino deve guardare all'equilibrio generale della situazione. La protesta potrebbe continuare, ma è una cosa di basso livello. Tian'anmen è stata una sfida centrale al regime. Qui, in realtà, sono quattro ragazzini. Si, la polizia di Hong Kong è stata preparata da altri: nulla viene per caso. Ma chi voleva emigrare, ha avuto più di venti anni per farlo, anche trenta. Sono più di trecentomila i cittadini originari di Hong Kong che vivono a Hong Kong con passaporto canadese. I vecchi sicuramente non sostengono il movimento, anche se permane un senso di profonda antipatia per i fratelli della mainland: tutti sanno che il loro benessere dipende da loro. Hong Kong, senza l'apporto della Cina, spirerebbe in un secondo. Il pragmatismo, in un mondo confuciano, prevale sull'idealismo.

Quali effetti a lungo termine vedi da questo movimento?

Questo esempio allontana drammaticamente l'unificazione pacifica con Taiwan. Taipei non accetterà mai il metodo del "one coutry, two systems". Direi che questa idea tramonta definitivamente. Secondo: vista l'esposizione mediatica, l'idea di un soft power cinese che si proietta nel tempo, tramonta clamorosamente. Il mondo non si comprerà mai il soft power cinese. Non baratterà mai Hollywood e Disneyland con Confucio e il kung-fu di Bruce Lee.

30 settembre 2014
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 06/10/2014, 11:27

Iran: rinviata l'esecuzione di Reyhaneh Jabbari
Data di pubblicazione dell'appello: 01.10.2014 Status dell'appello: aperto
Campagna "No alla pena di morte"


©Amnesty International
©Amnesty International

L'esecuzione di Reyhaneh Jabbari, donna iraniana che avrebbe dovuto essere messa a morte il 30 settembre nella prigione di Rajai Shahr, è stata rinviata di 10 giorni. Reyhaneh Jabbari è stata condannata per omicidio a seguito di indagine irregolari e di un processo iniquo.

Il 29 settembre, la madre di Reyhaneh Jabbari ha scritto su Facebook che la figlia l'aveva chiamata per avvisarla dell'imminente trasferimento dalla prigione di Gharchak, nella contea di Varamin, provincia di Teheran, alla prigione di Raja'i Shahr per l'esecuzione della condanna a morte, la mattina successiva. Le autorità carcerarie di Raja'i Shahr, contattate dalla donna, hanno confermato che l'esecuzione era in programma e le hanno detto di recarsi presso la struttura, il 30 settembre, per "raccogliere il corpo".
L'esecuzione è stata rinviata e Reyhaneh Jabbari è ritornata nella prigione Gharchak, quello stesso giorno alle 11:30, probabilmente in risposta all'indignazione seguita al post di sua madre sull'imminente esecuzione.

Reyhaneh Jabbari, 26 anni, è stata arrestata nel 2007 per l'uccisione di un ex funzionario del ministero dell'Intelligence, Morteza Abdolali Sarbandi. È stata detenuta in isolamento, senza poter vedere il suo avvocato e la sua famiglia per due mesi, durante i quali sarebbe stata torturata e maltrattata.

Amnesty International è a conoscenza del fatto che, fin dalle prime indagini, Reyhaneh Jabbari ha ammesso di aver inferto una pugnalata sulla schiena dell'uomo, ma sostiene sia stato una reazione a un tentativo di aggressione sessuale. Ha anche raccontato della presenza di una terza persona nell'abitazione, coinvolta nell'uccisione. Queste affermazioni, se confermate, potrebbero scagionarla, ma si ritiene che non vi siano state adeguate verifiche, sollevando molte domande sulle circostanze dell'omicidio. Reyhaneh Jabbari è stata condannata a morte per qesas (riparazione) da un tribunale penale di Teheran nel 2009. La condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema nel marzo 2014.

La sentenza è stata poi inviata all'Ufficio di attuazione delle condanne di Teheran, permettendo così alla famiglia della vittima di richiedere la sua esecuzione in qualsiasi momento.

(firmare qui:)
http://www.amnesty.it/iran-pena-di-mort ... eh-jabbari


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 07/10/2014, 19:05

Fiori per Anna
7 ottobre 2014

La redazione della Novaya Gazeta si trova in un palazzo di cemento, in cui si alternano il rosa e il nero, in un quartiere a due chilometri dal centro del potere russo, il Cremlino.

Fieramente indipendente sin da quando, nel 1993, Mikhail Gorbaciov contribuì a fondarla con i soldi del premio Nobel per la pace, oggi la Novaya Gazeta è una delle poche voci libere rimaste nel panorama dell'informazione russa. È vista, sia in patria che all'estero, come una seria fonte di giornalismo investigativo su temi di grande interesse per la popolazione russa.

Tutto questo ha avuto un prezzo.

Quattro tra giornalisti e collaboratori della Novaya Gazeta sono stati assassinati; un altro è morto improvvisamente in circostanze sospette; molti altri sono stati vittime di minacce e aggressioni.

Quello di Anna Politkovskaya è senza dubbio il nome più noto tra quelli degli eroi dell'informazione caduti: instancabile difensora dei diritti umani, dura oppositrice della guerra in Cecenia, infaticabile ricercatrice delle verità nascoste dietro il conflitto, pluripremiata per le sue inchieste dal Caucaso del Nord.

Anna fu uccisa in pieno giorno mentre stava entrando nel palazzo dove abitava, il 7 ottobre 2006. Ironicamente, quella data è anche quella del compleanno di uno dei suoi principali avversari, l'attuale presidente russo Vladimir Putin, il cui ruolo nel conflitto ceceno Anna aveva più volte criticato nei suoi articoli e nei suoi libri.

Nel giugno 2014, dopo anni di procedimenti giudiziari, due agenti di polizia e tre membri di una famiglia cecena coinvolta nel crimine organizzato, sono stati condannati e imprigionati per il suo omicidio. Ma chi lo ha ordinato continua a girare a piede libero e le indagini non vanno avanti.

Ad Anna e al suo lavoro è dedicato un memoriale di bronzo di fronte all'entrata della redazione della Novaya Gazeta. Quest'opera è rivolta alla strada, al pubblico. Alcuni giorni prima dell'anniversario del suo omicidio, una mano solidale ha deposto un garofano ai piedi del memoriale. Altri fiori verranno deposti in occasione del 7 ottobre, per dire che la sua azione in favore dei diritti umani e il suo coraggio di dire la verità di fronte al potere non saranno mai dimenticati.

Amnesty International continuerà a stare accanto ai familiari di Anna, ai suoi colleghi e a tutte le persone che continuano a lottare perché sia fatta piena giustizia per il suo assassinio.

amnesty.it


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 12/10/2014, 17:24

Il nostro amico Stefano Gatto propone questa analisi, che condivido.

http://middleeastrevised.com/2014/10/11 ... ace-prize/

Why I can’t celebrate Malala’s Nobel Peace Prize.
10/11/2014


The Nobel Peace Prize was awarded this Friday to India’s Kailash Satyarthi and Pakistan’s Malala Yousafzai for their struggles against the suppression of children and for young people’s rights, including the right to education. That is great news, and it might almost mean Nobel Peace Prize makes sense again, after being awarded to Barack Obama in 2009 “for his extraordinary efforts to strengthen international diplomacy and cooperation between peoples”, and to European Union in 2012 “for over six decades contributed to the advancement of peace and reconciliation, democracy and human rights in Europe”.

Still, there is something that really troubles me. How come we (meaning the West) always recognize the “devils” of the East, the torments children like Malala had to and have to go through (in her case, with the Taliban), but always fail to recognize our own participation in creating those “devils”? How come we never talk about the things our governments are doing to the children of Pakistan, or Syria, or Iraq, or Palestine, or Yemen? Let’s just take drone strikes as an example. Last year’s tweet by George Galloway might illustrate this hypocrisy.

Immagine

Galloway is absolutely right. We would never even know her name. But, since Malala’s story fits into the western narrative of the oriental oppression (in which the context underlying the creation of the oppression is left out), we all know Malala’s name. Like Assed Baig writes:

“This is a story of a native girl being saved by the white man. Flown to the UK, the Western world can feel good about itself as they save the native woman from the savage men of her home nation. It is a historic racist narrative that has been institutionalised. Journalists and politicians were falling over themselves to report and comment on the case. The story of an innocent brown child that was shot by savages for demanding an education and along comes the knight in shining armour to save her. The actions of the West, the bombings, the occupations the wars all seem justified now, ‘see, we told you, this is why we intervene to save the natives.'”

The problem is, there are thousands of Malalas West helped create with endless wars, occupations, interventions, drone strikes, etc. In Last Week Tonight with John Oliver, one can hear how little we know about the drone strikes – its aims, targets, results. “Right now we have the executive branch making a claim that it has the right to kill anyone, anywhere on Earth, at any time, for secret reasons based on secret evidence, in a secret process undertaken by unidentified officials. That frightens me.” This is how Rosa Brooks, a Georgetown professor and former Pentagon official under President Obama, explained the US policy on drone strikes during a congressional hearing last year.

The following photo presents the piece that was installed in Khyber Pakhtunkhwa (KPK) province, close to Pakistan’s northwest border with Afghanistan, by an art collective that includes Pakistanis, Americans and others associated with the French artist JR. The collective said it produced the work in the hope that U.S. drone operators will see the human face of their victims in a region that has been the target of frequent strikes.

foto/photo via notabugsplat/

That is the reality we are not being presented with. Another reality is the story of Abeer Qassim Hamza al-Janabi, 14-year-old Iraqi girl, who was gang raped by five U.S. Army soldiers and killed in her house in Yusufiyah (Iraq) in 2006. She was raped and murdered after her parents and six-year-old sister Hadeel Qasim Hamza were killed. Also not irrelevant to mention is that Abeer was going to school before the US invasion but had to stop going because of her father’s concerns for her safety.

article-0-0C89D3B2000005DC-51_634x548Abeer Qassim Hamza al-Janabi

And while the West applauds Malala (as they should), I am afraid it might be for the wrong reasons, or with a wrong perspective. It feels like the West wants to gain an agenda that suits them or the policies they want. That is also why Malala’s views on Islam are rarely presented. She uses her faith as a framework to argue for the importance of education rather than making Islam a justification for oppression, but that is rarely mentioned. It also “doesn’t fit”.

So, my thoughts were mixed this Friday when I heard the news about the Nobel Peace Prize. On so many levels. They still are. We’ve entered a new war, and peace prize award ceremonies seem ridiculous after looking at this photo.

tumblr_nd1ycaClBV1tgyqboo1_1280“They say that if God loves you, He will let you live a long life, but I wish that He loved me a little less. I wish that I didn’t live long enough to see my country in ruins.” Ahmad, a 102 year old Syrian refugee /photo by A. McConnell, UNHCR/

Sure, we must acknowledge the efforts of those who are fighting for a better world, but when it is done in a way that feels so calculated, unidimensional, loaded with secret agendas and tons of hypocrisy – I just can’t celebrate it.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 15/10/2014, 1:27

da Corriere.it


Iraq, il libro nero delle milizie che lascia senza respiro

Milizie che, secondo Amnesty International, sono protette dal governo di Bagdad. Le "procedure" attraverso le quali si uccide in modo deliberato. I racconti dei familiari delle vittime. "Spesso si parte da un semplice controllo. Poi si viene portati via. E dopo settimane i corpi vengono trovati con un colpo di pistola alla nuca". Esecuzioni sommarie
di CARMINE SAVIANO


Iraq, il libro nero delle milizie che lascia senza respiro

ROMA - Bisogna immaginare una reazione a catena. Atrocità che chiama atrocità, orrore che genera orrore, la giustizia e le leggi che si decompongono nella vendetta e nella rappresaglia. E bisogna visualizzare il metodo: Iraq, le milizie sciite che fermano, rapiscono e uccidono chiunque pensano possa avere anche un minimo contatto con l'Is, il sedicente Stato Islamico che, da mesi, ha instaurato nel nord del Paese il proprio regno fondato sull'abominio. E secondo Amnesty International queste milizie sono protette dal governo iracheno, "che sta approvando crimini di guerra e sta alimentando un pericoloso ciclo di violenza settaria".

Esecuzioni sommarie. A scorrere le pagine di "Impunità Assoluta: il potere delle milizie in Iraq", il nuovo rapporto dell'Ong, si resta senza respiro. Per l'individuazione del contesto: un'intera regione in cui delle norme elementari della civile convivenza non ne è più nulla. Per l'analisi: delle "procedure" attraverso cui le milizie sciite uccidono in modo deliberato, omicidi protetti dal governo. Ma a togliere il respiro sono le fotografie, i racconti dei familiari delle vittime. "Spesso si parte da un semplice controllo. Si chiedono i documenti. Poi si viene portati via. E dopo i settimane i corpi vengono ritrovati: mani legate dietro la schiena, un colpo di pistola alla nuca". Esecuzioni sommarie.

I regolamenti di conti. Ne parla Donatella Ravera, consulente di Amnesty International. "Il sostegno del governo al potere delle milizie deve finire immediatamente". E la vendetta contro l'Is si trasforma in un modo per regolare conti aperti. Ancora Ravera: "Non chiamando le milizie a rispondere dei loro crimini di guerra e di altre gravi violazioni dei diritti umani, le autorità irachene hanno praticamente dato via libera alla loro violenza sfrenata contro i sunniti. Il nuovo governo del primo ministro Haider al-Abadi deve agire subito per riprendere il controllo delle milizie e ristabilire la legge".

Le storie raccontate nel rapporto. Parole che diventano macigni se si scorrono le storie contenute nel rapporto di Amnesty. Come quella di Salem, 40 anni uomo d'affari di Baghdad. Nove figli. Rapito a luglio. Le milizie si mettono in contatto con la famiglia, chiedono un riscatto, 47mila e 500 euro che vengono immediatamente pagati. Poi nessuna traccia. Il silenzio, l'anticamera dell'orrore: due settimane dopo il suo corpo viene ritrovato all'obitorio della capitale. Il cranio è fracassato, un colpo di pistola lo ha fatto esplodere. E le mani sono ancora legate dietro la schiena.

Parole impietose. E se di Salem si conosce la storia, il punto è che non si può dire lo stesso di altre dozzine di persone rapite negli scorsi mesi. Di tanto in tanto, a squarciare il velo, il ritrovamento di un corpo. Sempre la stessa modalità di esecuzione, la stessa vigliacca ferocia. E i pochi tentativi di denuncia che arrivano dai cittadini iracheni. Parole impietose, che si alzano come una condanna, che chiamano tutti ad un'assunzione di responsabilità: "Ho perso un figlio e non voglio perdere gli altri. Niente può riportarmelo indietro e non posso mettere in pericolo tutti i miei figli. Nessuno sa cosa succederà. Non c'è legge, non c'è protezione".

Ma quali sono queste milizie? Il rapporto di Amnesty cerca di fare chiarezza anche su questo punto, individuano colpevoli e mandanti degli omicidi. "L'elenco delle milizie sciite ritenute responsabili della scia di rapimenti e uccisioni comprende 'Asa'ib Alh al-Haq, le Brigade Badr, l'Esercito del Mahdi e Kata'ib Hizbullah". Formazioni il cui potere è aumentato in modo esponenziale dallo scorso giugno, da quando il ritiro dell'esercito iracheno ha lasciato quasi un terzo del paese allo Stato Islamico. I numeri: ne fanno parte "decine di migliaia di persone" che, pur indossando uniformi militari, "operano al di fuori di qualsiasi contesto legale e senza alcuna supervisione da parte delle autorità".

E le testimonianze sono decine. Come quella raccolta da un membro della milizia 'Asa'ib Ahl al-Haq in un posto di blocco a nord di Baghdad. "Se prendiamo quei cani mentre scendono dalla zona di Tikrit, li ammazziamo. Loro vengono a Baghdad per compiere atti di terrorismo, dunque dobbiamo fermarli". L'analisi di Antonella Rovera: "Le milizie sciite stanno prendendo selvaggiamente di mira i civili sunniti, ufficialmente con la scusa di combattere il terrorismo, ma con l'apparente obiettivo di punirli per l'ascesa dello Stato islamico e per i suoi orribili crimini".

Torture e maltrattamenti. E, come se non bastasse, Amnesty rivela anche il grado di coinvolgimento delle forze regolari irachene in questa discesa negli inferi dell'assenza di diritto: "Abbiamo scoperto prove di torture e maltrattamenti ai danni dei detenuti così come di decessi in custodia di sunniti imprigionati ai sensi della legge antiterrorismo del 2005". Utilizzo della corrente elettrica, ferite aperte, minacce di stupro. Un catalogo dell'orrore. "Uno dopo l'altro, i governi iracheni hanno mostrato un cinico disprezzo per i principi fondamentali dei diritti umani. Il nuovo governo, ora, deve cambiare direzione e porre in essere meccanismi efficaci per indagare sugli abusi commessi dalle milizie sciite e dalle forze irachene e chiamare i responsabili a rispondere delle loro azioni", conclude Donatella Rovera. Una richiesta che, partita da Amnesty, dovrebbe trovare forza e risonanza in tutte le sedi e in tutte le istituzioni coinvolte.


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Il sistema penale

Messaggioda flaviomob il 20/10/2014, 10:42

Tre interessanti interventi sul Fatto Quotidiano: dallo stato sociale allo stato penale.

...in Francia alcuni anni fa il direttore dei servizi penitenziari di Parigi, nel corso di un’audizione alla Commissione d’inchiesta sulle condizioni negli istituti di pena dell’Assemblea Nazionale, ha detto che le prigioni sono tornate a essere gli ospedali generali di un tempo: l’auberge des pauvres, il ricovero di ogni categoria di emarginati....

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... e/1146659/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... i/1149456/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... i/1153051/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 25/10/2014, 1:37

Noam Chomsky: The One Big Thing America Needs to Do to Turn Itself Around
We could start by actually living up to our own laws.



The following is the transcript of part 2 of a Democracy Now! interview with Noam Chomsky.

After world-renowned scholar Noam Chomsky gave a major address on the Israeli-Palestinian conflict in the hall of the United Nations General Assembly last week, Amy Goodman interviewed the world-renowned linguist and dissident before an audience of 800 people. Chomsky spoke at an event sponsored by the United Nations Committee on the Exercise of the Inalienable Rights of the Palestinian People. “One important action that the United States could take is to live up to its own laws. Of course it would be nice if it lived up to international law, but maybe that’s too much to ask,” Chomsky said.

Below is footage of Chomsky from the United Nations, followed by a transcript:

AMY GOODMAN: This is Democracy Now!, democracynow.org, The War and Peace Report. I’m Amy Goodman, as we return to MIT professor Noam Chomsky, world-renowned political dissident, linguist and author. Last week, he spoke before over 800 people in the hall of the United Nations General Assembly, before ambassadors and the public alike, on the issue of Israel and Palestine. After his speech, I conducted a public interview with Professor Chomsky.

AMY GOODMAN: What do you think is the most—the single most important action the United States can take? And what about its role over the years? What is its interest here?

NOAM CHOMSKY: Well, one important action that the United States could take is to live up to its own laws. Of course, it would be nice if it lived up to international law, but maybe that’s too much to ask, but live up to its own laws. And there are several. And here, incidentally, I have in mind advice to activists also, who I think ought to be organizing and educating in this direction. There are two crucial cases.

One of them is what’s called the Leahy Law. Patrick Leahy, Senator Leahy, introduced legislation called the Leahy Law, which bars sending weapons to any military units which are involved in consistent human rights violations. There isn’t the slightest doubt that the Israeli army is involved in massive human rights violations, which means that all dispatch of U.S. arms to Israel is in violation of U.S. law. I think that’s significant. The U.S. should be called upon by its own citizens to—and by others, to adhere to U.S. law, which also happens to conform to international law in this case, as Amnesty International, for example, for years has been calling for an arms embargo against Israel for this reason. These are all steps that can be taken.

The second is the tax-exempt status that is given to organizations in the United States which are directly involved in the occupation and in significant attacks on human and civil rights within Israel itself, like the Jewish National Fund. Take a look at its charter with the state of Israel, which commits it to acting for the benefit of people of Jewish race, religion and origin within Israel. One of the consequences of that is that by a complex array of laws and administrative practices, the fund pretty much administers about 90 percent of the land of the country, with real consequences for who can live places. They get tax-exempt status also for their activities in the West Bank, which are strictly criminal. I think that’s also straight in violation of U.S. law. Now, those are important things.

And I think the U.S. should be pressured, internationally and domestically, to abandon its virtually unique role—unilateral role in blocking a political settlement for the past 40 years, ever since the first veto in January 1976. That should be a major issue in the media, in convocations like this, in the United Nations, in domestic politics, in government politics and so on.

http://www.alternet.org/world/noam-chom ... elf-around


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/10/2014, 9:26

dal Corriere:


Le persone e la dignità
di Riccardo Noury e Monica Ricci Sargentini
Etiopia: persecuzione senza fine ai danni degli oromo

28 OTTOBRE 2014 | di Riccardo Noury

Un nuovo rapporto di Amnesty International denuncia la repressione costante delle autorità dell’Etiopia nei confronti del principale gruppo etnico del paese, gli oromo, sospettati sulla sola base della loro origine etnica di opporsi al governo di Addis Abeba.

Il rapporto, basato su centinaia di testimonianze raccolte tra le comunità di rifugiati oromo dall’organizzazione per i diritti umani – cui dal 2011 le autorità etiopiche vietano di svolgere ricerche all’interno del paese – descrive arresti arbitrari, tempi infiniti di detenzione senza processo, sparizioni forzate, torture e uccisioni illegali ai danni di migliaia di oromo. Non che in altre zone del paese il dissenso sia tollerato, ma è nella regione di Oromia che la repressione raggiunge i picchi più estremi e scioccanti.

Dal 2014, almeno 5000 oromo sono finiti in carcere perché sospettati di opporsi al governo o di incitare altre persone a esprimere il loro dissenso: manifestanti pacifici, studenti, esponenti politici, attivisti per i diritti culturali, contadini, uomini d’affari, insegnanti, funzionari dell’amministrazione statale, cantanti. A volte, vengono arrestati anche i familiari: per mero reato associativo di parentela o al posto della persona ricercata.

In molti casi, gli arrestati trascorrono mesi se non anni in attesa del processo in centri di detenzione non ufficiali all’interno delle basi militari, dove vengono ripetutamente torturati, senza poter chiedere assistenza ai familiari o agli avvocati.

Decine di oromo sarebbero stati vittime di esecuzioni extragiudiziarie.

Secondo il governo, la maggior parte delle persone arrestate sarebbero simpatizzanti del Fronte di liberazione oromo, il gruppo secessionista attivo nella regione. Tuttavia, precisa il rapporto di Amnesty International, queste accuse restano indimostrate, dato che molti detenuti non vengono mai processati. Il “terrorismo” pare dunque un mero pretesto per ridurre al silenzio le voci critiche e giustificare la repressione.

Il mondo non si accorge di niente, tanto meno l’Italia, neanche quando quest’anno, ad aprile e maggio, le forze di sicurezza hanno stroncato le proteste universitarie uccidendo decine di manifestanti, picchiandone centinaia d’altri e arrestando migliaia di persone, compresi semplici passanti.

Le testimonianze sulle torture contenute nel rapporto di Amnesty International sono raccapriccianti. C’è l’insegnante con l’occhio forato dalla punta di una baionetta per aver rifiutato di impartire lezioni di propaganda ai suoi studenti. C’è la ragazza cui viene gettato carbone ardente sulla pancia perché suo padre era sospettato di simpatizzare per la lotta armata. C’è lo studente legato in posizione contorta e appeso a un muro perché il business plan che aveva preparato per un concorso universitario conteneva valutazioni politiche. Ex detenuti hanno denunciato finte esecuzioni, stupri di gruppo, scariche elettriche e ustioni con materiali bollenti.

Le condizioni detentive costituiscono a loro volta una forma di tortura: i prigionieri languono in celle minuscole, sotterranee e sovraffollate, incatenati braccia e gambe per mesi, impossibilitati a uscirne se non per gli interrogatori e per andare in bagno una o due volte in giorno.

Di ricorrere alla giustizia per ottenere un rimedio o un risarcimento, anche una mera informazione, non se ne parla: chi chiede di sapere dove sia detenuto un parente viene arrestato a sua volta.

Nel 2015 in Etiopia si terranno le elezioni. Se mesi prima la repressione è così elevata, cosa accadrà più a ridosso della scadenza elettorale?


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda mauri il 29/10/2014, 20:13

c'è qualche cosa che non torna, qui parla dell' "Oromia è una regione dell'Etiopia centro-meridionale, abitata in maggioranza da popolazioni oromo" e quindi dice che sono "Il maggiore gruppo etnico risulta essere quello oromo (85%)"
mi sembra strano che quasi 20milioni di oromo possano essere perseguitati, come è possibile che questi non reagiscano
ciao mauri

http://it.wikipedia.org/wiki/Oromia

http://it.wikipedia.org/wiki/Oromo
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda franz il 29/10/2014, 21:26

Spesso si dice che bisogna essere puri e semplici come i bambini per andare al cuore delle soluzioni. Cosa significa questo nella pratica? Il video che vi proponiamo è stato realizzato dalla Naik Foundation, un’organizzazione no-profit indiana che si occupa di ridurre la povertà, offrire istruzione e sostenere le comunità indiane di Maharashtra e Gujarat. E anche stavolta i piccoli sorprendono con le loro soluzioni

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