https://www.ilgiornaledigitale.it/ricca ... -6615.html Il portavoce nazionale di Amnesty International Riccardo Noury parla del flusso migratorio in Italia, denuncia la pulizia etnica contro le minoranze in Iraq e spiega che da tempo non si hanno più notizie delle studentesse nigeriane rapite dagli estremisti di Boko Haram.
In un contesto italiano e internazionale in cui prevale la paura e la diffidenza verso il prossimo ci sono numerose associazioni e organizzazioni non governative (ONG) che lavorano con umiltà e fra mille difficoltà per difendere i diritti umani riconoscendosi in un concetto oggi sempre più dimenticato: la solidarietà.
Fra queste ONG ce n’è una, Amnesty International, che lavora ogni giorno per far emergere i casi di violazione dei principali diritti umani: dalla campagna di sensibilizzazione alla lotta contro la pena di morte e la tortura fino agli appelli per salvare le popolazioni che rischiano la pulizia etnica. Il Giornale Digitale ha intervistato, in esclusiva, il portavoce nazionale di Amnesty International Riccardo Noury che da oltre 30 anni si dedica ai temi della salvaguardia e difesa dei diritti umani nel mondo.
Lei, Riccardo Noury, da sempre ha dato voce soprattutto alle campagne contro la pena di morte e le torture. Uno Stato può dirsi veramente democratico se contempla una condanna come la pena di morte?
Tutte le definizioni che possiamo dare di democrazia fanno a cazzotti con l’idea che uno Stato possa avere un potere supremo e definitivo di togliere la vita a una persona. L’idea che ci sia una persona che rappresenta lo Stato che si arroga il diritto di avere la verità e che sulla base di quella verità toglie la vita a un essere umano mi porta a concludere che manca un elemento fondamentale per definire quello Stato democratico.
La pena di morte non è mai una violazione singola e residuale di violazione dei diritti umani ma si accompagna a tante altre come i processi residuali, l’uso della tortura per estorcere informazioni, diniego del diritto alla difesa. Se vediamo bene anche in Stati Uniti e Giappone si verificano queste cose. In Giappone i processi di appello dopo una condanna a morte sono molto rari, i processi capitali negli Stati Uniti a volte sono influenzati da pregiudizi di natura razziale se non sociale. Dunque dove c’è pena di morte la democrazia è quantomeno molto incompiuta.
Passando al tema della tortura, uno dei casi più recenti è quello di Raif Badawi, condannato a 10 anni di prigione, a 1000 frustate e una multa di quasi 200mila dollari per aver creato un forum in cui si discuteva del ruolo della religione in Arabia in Saudita. Come si può arrivare a un caso così palese di negazione di manifestazione del pensiero?
L’Arabia Saudita è uno dei Paesi in cui qualunque espressione di pensiero, off line oppure on line, è considerata un attentato alla sicurezza e/o un’offesa ai valori sacri dell’Islam. Nel caso di Badawi oltre alla condanna, c’è anche una pena aggiuntiva particolarmente dolorosa come può essere quella delle frustate che viene emessa a mo’ di monito. Infliggere dolore attraverso una sanzione giudiziaria è una cosa aberrante. Ciò non accade solo in Arabia Saudita ma anche in Kuwait, Qatar e Bahrein. Sono tutti Paesi in cui non è possibile prendere la parola o rivendicare diritti o anche scrivere un tweet contenente delle critiche. Proprio sul Bahrein abbiamo lanciato un appello per la nostra collega Maryam Al-Khawaja, attivista per i diritti umani per il Bahrein e che fa parte di una famiglia perseguitata dalla autorità vicine alla famiglia al-Khalifa, dopo un periodo di esilio è tornata in Bahrein ed è stata arrestata appena arrivata all’aeroporto con un’accusa pretestuosa di resistenza a pubblico ufficiale.
Riccardo Noury: Italia chieda aiuto all’UE per ricerca e soccorso migranti (INTERVISTA)Credits Photo: Facebook Badawi profile
Uno degli ultimi appelli di Amnesty International sul proprio sito internet era rivolto agli Stati Uniti affinchè non fornissero più armi a Israele che nel corso dei conflitti delle ultime settimane a Gaza ha commesso crimini di guerra. In quel caso chi fornisce le armi può avere una specie di concorso di colpa per quanto sta facendo lo Stato che usa tali armi?
A livello morale, politico ed extragiudiziario chiunque fornisca armi a un Paese in cui c’è una tradizione di diritti violati sapendo che tali armi potrebbero essere usate violando ancora una volta i diritti umani si rende corresponsabile di quelle violazioni. Da un punto di vista morale e politico il concorso di colpa c’è. Con l’entrata in vigore del trattato sul commercio delle armi, che dovrebbe raccogliere il numero minimo di firme il prossimo anno, potrebbero arrivare anche le sanzioni a chi fornisce armi a governi o gruppi di altra natura che violano i diritti umani. Ma il fatto che il mondo si sia impegnato a non dare armi a chi le usa violando i diritti umani è una novità rivoluzionaria.
L’Isis sta portando in atto una vera e propria pulizia etnica contro le minoranze del nord dell’Iraq. Come si sono formati questi gruppi jihadisti sunniti?
Tutto comincia quando l’amministratore provvisorio dell’Iraq, Paul Bremer, nel 2003/2004, decise di liquidare l’esercito iracheno licenziando tutti i militari senza pensione per far passare il concetto della “Desaddamizzazione” dell’Iraq. Ma fare questo ha permesso di lasciare liberi migliaia di uomini rancorosi che si sono riorganizzati in vari gruppi come quello che uccise Baldoni 10 anni fa, poi al-Qaeda in Iraq, poi lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante e poi lo Stato Islamico. Questi sono gli errori di altri che oggi pagano le popolazioni del nord dell’Iraq, gli assiro-caldei, gli yazidi, i curdi, comunità contro le quali lo Stato Islamico ha avviato una campagna di sistematica pulizia etnica.
Riccardo Noury: Italia chieda aiuto all’UE per ricerca e soccorso migranti (INTERVISTA)Credits photo: Al Jazeera
La campagna “Bring back our girls” aveva sollevato un gran clamore sulla questione delle studentesse nigeriane rapite da Boko Haram ma dopo poche settimane la questione è stata dimenticata dai mass media e dai social network. Ormai non ne parla più nessun mass media. Quali sono le ultime notizie che avete su di loro?
I media sono macchine che producono notizie ed emozioni in maniera molto veloce e questo è il difetto principale. In secondo luogo il governo nigeriano è stato abile a far passare il messaggio che meno se ne parlava e meglio era in maniera tale anche da nascondere le proprie responsabilità sulla vicenda. Di queste ragazze, sinceramente, non se ne sa più nulla. I media nigeriani non ne parlano perché parlare di Boko Haram mette paura e può anche finire sotto la censura governativa mentre i media main streaming passano dalla Nigeria, a Gaza poi in Iraq e in Ucraina per cercare di stare dietro al fatto del momento. Noi di Amnesty continuano a tenere aperto il nostro appello ma resta il fatto che non ne sappiamo più nulla.
Riccardo Noury: Italia chieda aiuto all’UE per ricerca e soccorso migranti (INTERVISTA)Credits photo: Amnesty
Negli ultimi anni è aumentato il numero di persone che cercano di raggiungere l’Europa fuggendo da contesti difficili in Asia e Africa. L’Italia ha dimostrato di essere impreparata nella gestione di questi flussi migratori. Quale possono essere le soluzioni per permettere all’Italia di gestire al meglio il fenomeno e per consentire agli immigrati un futuro quantomeno dignitoso?
Noi dovremmo spingere all’interno dell’Unione Europea, e il semestre di presidenza italiana è un’opportunità, per fare due cose: pretendere aiuto dall’Ue per la gestione di attività preziosissime come quelle di ricerca e soccorso in mare; riformare tutta la normativa che l’Ue si è data e che penalizza fortemente i Paesi mediterranei come Italia, Grecia, Malta, Cipro e Spagna. Le attuali norme impongono a un richiedente asilo di fare domanda di asilo politico nel Paese in cui ha messo piede per la prima volta e ciò significa che i Paesi dell’Europa meridionale rispetto a Lussemburgo o Germania hanno un onere infinitamente superiore. Dopo un anno di Mare Nostrum, con più di 100mila persone salvate in mare, l’Italia ha tutte le carte in tavola per chiedere un aiuto all’Ue e noi sosteniamo questa richiesta dicendo che l’Ue deve fare ricerca e soccorso in mare. Detto questo bisogna dire che l’Italia resta un Paese con un flusso migratorio modesto. L’Italia ha accolto il 10% dei profughi siriani rispetto a quanto ha fatto il Libano. Poi l’Ue dovrebbe fare altro e l’Italia dovrebbe chiedere altro come, ad esempio, i corridoi umanitari via mare creando dei meccanismi sicuri e legali per entrare in Europa a chiedere asilo. L’Europa dovrebbe anche cercare di aiutare Paesi come la Giordania accogliendo, come noi chiediamo, alcuni gruppi di profughi che, ad esempio, hanno alcuni parenti in qualche nazione europea. Ma l’approccio dell’Unione Europea è di chiusura e di tenuta delle frontiere e non di accoglienza.
Rimanendo in tema di immigrazione, infine, c’è il tema legato ai venditori abusivi di strada (e di spiaggia), quelli che Alfano ridefinì “vucumprà” scatenando non poche polemiche. Se da una parte quella di Alfano fu un’uscita infelice va detto, però, che spesso la merce venduta dagli ambulanti è contraffatta e che gli stessi migranti che troviamo per strada lavorano per la criminalità organizzata.
Basta uscire da Roma e arrivare in territorio pontino, ad esempio, per ritrovare nei campi decine di persone con coloratissimi turbanti chini a raccogliere meloni, cocomeri pagati 1 euro l’ora, quando vengono pagati, con passaporti trattenuti, con impossibilità di denunciare i loro datori di lavoro perché se si presentano alle autorità italiane vengono trovati non in regola e quindi espulsi. Quella degli immigrati che lavorano per le organizzazioni criminali è una situazione difficile e si dovrebbe riuscire a colpire la criminalità cercando di tutelare queste persone.
Riccardo Noury: Italia chieda aiuto all’UE per ricerca e soccorso migranti