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Diritti umani, informazione e comunicazione

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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 20/12/2012, 14:10

Nigeria: una sentenza rivoluzionaria chiede di punire le aziende petrolifere che hanno inquinato
Pubblicato il 19/12/2012 da Laura R.

Amnesty International e l’Ong nigeriana Serap hanno accolto positivamente la rivoluzionaria sentenza emessa il 16 dicembre da sei giudici della Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Ecowas). Si tratta di un momento importante perché per la prima volta un governo e delle aziende sono chiamate a rendere conto dell’inquinamento.

Nel caso Serap versus Nigeria (iniziato nel 2009), la Corte ha giudicato all'unanimità il governo nigeriano responsabile per gli abusi commessi da parte delle aziende petrolifere e chiarisce che il governo è tenuto a chiedere conto alle aziende del loro operato.

La Corte ha rilevato che la Nigeria ha violato gli articoli 21 (diritto alle ricchezze e risorse naturali) e 24 (diritto a un ambiente sano) della Carta africana dei diritti umani e dei popoli, non proteggendo il delta del Niger e i suoi abitanti dalle attività delle aziende petrolifere che per molti anni hanno devastato la regione.

Secondo la Corte, il diritto al cibo e alla vita sociale degli abitanti del delta del Niger è stato violato a causa della distruzione dell’ambiente e quindi della distruzione della loro possibilità a guadagnarsi da vivere e a godere di uno standard di vita sano e adeguato. La Corte ha inoltre dichiarato che sia il governo della Nigeria sia le aziende petrolifere hanno violato i diritti umani e culturali degli abitanti della regione.

La Corte ha stabilito che l’incapacità del governo di emanare leggi adeguate, di creare istituzioni efficaci nella regolamentazione delle attività delle aziende, di perseguire i responsabili dell’inquinamento, costituisce una violazione degli obblighi internazionali della Nigeria in materia di diritti umani.

Con il supporto legale di Amnesty International, nel luglio 2009, il Serap aveva presentato una causa contro il governo federale della Nigeria e sei aziende petrolifere (Chevron Oil Nigeria Plc, Shell Petroleum Development Company Spdc, Elf Petroleum Nigeria Ltd, Exxon Mobil Corporation, Agip Nigeria Plc e Total in Nigeria Plc) per violazione dei diritti umani e inquinamento da idrocarburi nella regione del delta del Niger. Ma mentre il giudice aveva inizialmente affermato che il governo nigeriano e l’azienda petrolifera nazionale (la Nigerian National Petroleum Corporation - NNPC) "possono essere ritenuti responsabili per le violazioni dei diritti umani nel delta del Niger" aveva declinato la propria competenza nel giudicare le aziende dichiarando che: "Una delle questioni più controverse nel diritto internazionale è la responsabilità delle aziende, in particolare delle multinazionali, nei casi di violazione o complicità nelle violazioni dei diritti umani, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Infatti, uno dei paradossi che attualmente caratterizzano il diritto internazionale è il fatto che gli stati e gli individui possono essere ritenuti responsabili a livello internazionale, mentre le aziende no. "

La Corte ha respinto le obiezioni del governo relative al fatto che il Serap non avesse il diritto di rivolgersi a un tribunale (locus standi) per istituire il caso; che l’Ecowas non avesse la giurisdizione per occuparsene e che il caso fosse caduto in prescrizione. La Corte ha inoltre respinto i tentativi del governo nigeriano di far sì che il rapporto sull’inquinamento di Amnesty International del 2009 (Nigeria: petrolio, inquinamento e povertà nel delta del Niger) non fosse preso in considerazione.

Per Amnesty International questo è un precedente importante che rivendica il diritto a un ambiente sano e afferma il diritto del popolo nigeriano a vivere una vita libera dall’inquinamento. La sentenza chiarisce che il governo deve chiamare le aziende a rendere conto del loro operato e che il governo non è riuscito a prevenire l’inquinamento da parte delle aziende petrolifere.

La Corte ha chiesto che il governo della Nigeria si muova rapidamente per attuare pienamente la sentenza e ripristinare la dignità e l'umanità della popolazione nella regione del delta.

L’articolo 15 (4) del Trattato Ecowas stabilisce che le sentenze della Corte sono vincolanti per gli stati membri, tra cui la Nigeria. Inoltre, l'articolo 19 (2) del Protocollo del 1991 prevede che le decisioni della Corte siano definitive e immediatamente esecutive. Il mancato rispetto della sentenza della Corte può essere sanzionata ai sensi dell'articolo 24 del Protocollo opzionale della Corte Ecowas di giustizia, e dell’articolo 77 del Trattato Ecowas.

http://www.iopretendodignita.it/node/1407/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda Iafran il 22/12/2012, 20:34

"L'arcangelo" Gabriele, creduto "corvo", viene visitato in carcere, perdonato e graziato ...

"No, a voi no! A voi, gay ugandesi, la morte!" :o

http://247.libero.it/focus/24167389/1/I ... e'-a-casa/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12 ... ay/446386/
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Le buone notizie Amnesty

Messaggioda franz il 05/01/2013, 9:53

Le buone notizie Amnesty
sui diritti umani nel mondo

Dall'Ecuador all'Italia, dalla Guatemala all'Egitto fino al Messico, l'Iran e tanti altri paesi, numerose sono state le buone notizie sui diritti umani nel 2012. Eccole, dunque, in un elenco sintetico.
Lo leggo dopo

Ecuador. Il 4 gennaio 2012 la corte d'appello della città di Lago Agrio, nella provincia di Sucumbios, ha confermato la condanna della Chevron per disastro ecologico e danni alla salute delle parti lese. Nel febbraio 2011 il tribunale aveva ordinato alla Chevron di pagare 8 miliardi e mezzo, ma nella sentenza d'appello l'importo è raddoppiato anche perché la Chevron si è sempre rifiutata di scusarsi pubblicamente, come richiesto dalla sentenza.

Italia. Il 23 febbraio 2012 la Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia nel caso Hirsi Jamaa e altri contro l'Italia. Il caso riguarda 11 cittadini somali e 13 cittadini eritrei che facevano parte di un gruppo di circa 200 persone intercettate in mare dalle autorità italiane e respinti direttamente in Libia, senza che fosse stata valutata la loro necessità di protezione internazionale: una delle operazioni di intercettamento e rinvio in Libia eseguite dalle autorità italiane nel 2009, a seguito dell'accordo bilaterale tra Italia e Libia allora in vigore.

Guatemala. Il 14 marzo 2012 Pedro Pimentel Rios, estradato dagli Usa nel luglio 2011, è stato condannato a 6060 anni di carcere per aver preso parte al massacro di Dor Erres nel 1982, che provocò la morte di oltre 250 civili. Si tratta del quinto ex militare condannato dalla giustizia guatemalteca per i fatti di Dos Erres: anche gli altri quattro hanno ricevuto una condanna a 6060 anni, equivalente a 25 anni per ogni omicidio.

Stati Uniti d'America. Il 25 aprile 2012 il governatore del Connecticut ha firmato la legge che abolisce la pena di morte. Il Connecticut è diventato il 17° stato abolizionista degli Usa.

Siria. Yaacoub Shamoun, un cittadino libanese scomparso dopo essere stato catturato dalle forze siriane in Libano nel luglio 1985, è stato rilasciato nel maggio 2012 da un carcere della regione orientale di Hasaka. Dopo il suo rapimento in Libano, Shamoun era stato portato in Siria e, per l'ultima volta, era stato visto 27 anni fa nella prigione di Saydneya, a nord di Damasco.

Egitto. Il 2 giugno 2012 un tribunale del Cairo ha condannato all'ergastolo l'ex presidente Hosni Mubarak e l'ex ministro dell'Interno Habib Al Adly per non aver prevenuto l'uccisione di oltre 840 manifestanti durante le proteste che si svolsero dal 25 gennaio all'11 febbraio 2011.

Repubblica Democratica del Congo. Il 10 luglio 2012 la Corte penale internazionale ha emesso la sua prima condanna, infliggendo 14 anni di carcere a Thomas Lubanga Dyilo, capo di un gruppo armato congolese, per aver reclutato e impiegato bambine e bambini soldato in un conflitto armato.

Messico. Il 21 agosto 2012 la Corte suprema ha giudicato incostituzionale l'articolo 57 II (a) del codice penale militare, sulla base del quale le denunce di violazioni dei diritti umani commesse da membri delle forze armate venivano indagate dalla giustizia militare.

Iran. L'8 settembre 2012 Yousef Naderkhani, un pastore protestante condannato a morte nel 2010 per apostasia, è stato assolto e, avendo terminato di scontare una precedente sentenza di tre anni per un reato d'opinione, è stato rimesso in libertà.

Slovacchia. Il 30 ottobre 2012 il tribunale regionale di Presov ha definitivamente stabilito che la scuola elementare di Sarisské Michal'any ha violato la legge istituendo classi separate per i bambini e le bambine rom.

Myanmar. Il 19 novembre 2012 sono stati rilasciati oltre 50 prigionieri politici e prigionieri di coscienza. Tra questi ultimi, U Myint Aye, cofondatore della Rete dei difensori e promotori dei diritti umani condannato nel 2008 all'ergastolo, e Saw Kyaw Kyaw Min, difensore dei diritti umani e avvocato, condannato a sei mesi nell'agosto 2012.

Nigeria. Il 15 dicembre 2012 la Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale ha giudicato la Nigeria responsabile della violazione della Carta africana dei diritti umani e dei popoli riguardo alle condizioni di vita della popolazione del delta del fiume Niger. La Corte ha stabilito che il governo nigeriano è responsabile del comportamento delle compagnie petrolifere e che ad esso spetta chiamarle a rispondere dell'impatto ambientale del loro operato.

(04 gennaio 2013) www.repubblica.it
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L'omicidio di Pippo Fava

Messaggioda flaviomob il 05/01/2013, 15:51

http://www.giuliocavalli.net/2013/01/05 ... ippo-fava/

29 anni fa: Pippo Fava

By Giulio Cavalli ⋅ 5 gennaio 2013 ⋅

Ricorrono oggi i ventinove anni dall’assassinio di Pippo Fava. In occasione dell’anniversario, riporto qui un estratto del mio libro NOMI, COGNOMI E INFAMI (Verdenero, 2010) , dedicato anche alla sua vicenda.

———————————


Ho riso incazzato sulle parole di Peppino Impastato, ho studiato con meraviglia l’integrità politica di Pio La Torre ma, più di tutto, sono rimasto incastrato per stima sulla vita di Pippo Fava. Incastrato da una stima immobilizzante che mi consola. Sarà che Giuseppe Fava era un giornalista, un drammaturgo, uno scrittore e un politico anche senza scranno. Politico nel senso di guardare la politica negli occhi e scriverne senza smancerie. Sarà che Pippo Fava l’ho visto per la prima volta in una fotografia in bianco e nero con quel naso troppo grosso sopra una barba tagliata male mentre si apre in un sorriso pensieroso. Sarà che se c’è una forma che mi colpisce è sempre stato un uomo serio che riesce a distendere un sorriso.

O forse di Pippo mi colpisce soprattutto il carisma. Il carisma che non si riesce mica a sparare anche se l’hanno provato ad ammazzare a Catania il 5 gennaio del 1984. Un direttore che si è inventato il suo giornale (I Siciliani) che ancora oggi continua a vivere nelle penne dei suoi “carusi” che, ormai cresciuti, militano nelle testate più diverse del nostro panorama. Un giornale mica fatto solo con la carta da giornale ma vissuto come una missione. Un giornale con una stanza di militanti e senza nemmeno i pennivendoli. Lo racconta bene il suo ex collega Riccardo Orioles: “Chi non ha sentito parlare dei Siciliani di Giuseppe Fava? Un piccolo giornale, eppure ancora oggi – trent’anni dopo la fondazione – quando si parla di giornalismo antimafia si pensa a loro. Un giornale “anti” mafia ma in realtà “per” un sacco di altre cose. La democrazia della “polis”, i diritti dei poveri, la pace, il riscatto del Sud come rinnovamento profondo politico e morale: quante cose stavano in quelle duecento pagine che ogni mese uscivano, senza pubblicità e senza stipendi, da una città della Sicilia per parlare all’Italia intera!

È una storia lunghissima, quella di Pippo Fava e dei suoi “carusi”; non è mai finita. Vive tuttora in tanti gruppi di giovani – professionali e “militanti”, come allora”. Il proprio lavoro vissuto come l’unico vestito disponibile nell’armadio. Fieramente incapace di smetterlo e di dismet terlo. L’editoriale del primo numero de I Siciliani nel 1983 è il manifesto di una vita. Scrive Fava

“I Siciliani vengono avanti nel grande spazio della informazione e della cultura, nel momento preciso in cui il problema del Meridione è diventato finalmente, anzi storicamente, il problema dell’intera Nazione…I Siciliani vuole essere appunto il documento critico di una realtà meridionale che profondamente, nel bene e nel male, appartiene a tutti gli italiani. Un giornale che ogni mese sarà anche un libro da custodire. Libro della storia che noi viviamo. Scritto giorno per giorno”. Giorno per giorno, con quella quotidianità della battaglia che è il sale di tutte queste storie. La concezione etica del proprio lavoro come unica strada percorribile. Ogni tanto, quando mi prende lo sconforto, rileggo Fava nel silenzio della mia solitudine che non ha mai meno di tre persone. Leggo la sua caparbietà che ha la forma di un polso forte. Ripenso a quel sorriso nonostante (come diceva spesso lui stesso) “qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, per dìo. Tanto, lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…”

C’è un’altra dichiarazione che oggi, in questo paese in alcuni pezzi ancora così disgraziato e analfabeta (o colluso) sulla questione delle mafie, andrebbe stampata e distribuita fuori dalle scuole, sopra i tram o dentro i bar. È dell’undici 1981 ottobre mentre Fava dirigeva il Giornale del Sud.

«Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! Ecco lo spirito politico del Giornale del Sud è questo! La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà! Se l’Europa degli anni trenta-quaranta non avesse avuto paura di affrontare Hitler fin dalla prima sfida di violenza, non ci sarebbe stata la strage della seconda guerra mondiale, decine di milioni di uomini non sarebbero caduti per riconquistare una libertà che altri, prima di loro, avevano ceduto per vigliaccheria. È una regola morale che si applica alla vita dei popoli e a quella degli individui. A coloro che stavano intanati, senza il coraggio d’impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: “Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, nè la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!”».


Vorrei riuscire a tenermelo sempre nel portafoglio, questo suo spirito. E poi sarà che sono inchiodato su Pippo Fava perché anche lui ha dovuto subire l’onta di una morte distorta e calpestata. Fava viene ucciso alle 10 di sera del 10 gennaio 1984. Era in auto per andare a prendere la nipote che stava calcando le scene del Teatro Verga di Catania. Mi gioco tutto che era in auto con la soddisfazione a forma di sorriso della vecchia foto in bianco e nero, con una nipotina che seguiva le orme dello zio che i teatri li aveva abitati con la giacca del drammaturgo. In via dello stadio gli sparano cinque pallottole calibro 7,65 alla nuca. Come si usa per le bestie prima di passarle al macello. In Catania rimbombavano ancora le parole dell’articolo su “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un pezzo sulle attività illecite di quattro imprenditori catanesi, Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, e di altri personaggi come Michele Sindona collegati al boss Nitto Santapaola. Addirittura dopo quell’articolo Rendo, Salvo Andò e Graci avevano cercato di comprarsi il giornale, per zittirlo. Non si era ancora spento l’eco degli spari che già colava fango sopra al cadavere: il sindaco Angleo Munzone sposò subito la tesi dei giornalisti che parlavano di delitto passionale (tesi sostenuta sulla base dell’arma diversa da quelle solitamente usate per delitti mafiosi). L’onorevole Nino Drago addirittura esibì la propria pochezza istituzionale chiedendo una chiusura rapida delle indagini perché “altrimenti i cavalieri potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al Nord”. Ma la denigrazione che mi più mi sanguina e mi lascia questo nodo alla gola è un passo di due articoli de La Sicilia nei giorni successivi alla morte. Quando li ho letti per la prima volta ero nel pieno della frana di silenzio e minaccia che mi aveva seppellito la famiglia e passavo ore a provare a raccontare il mio lavoro sempre in bilico tra la notizia, la scena, la parola, la risata e la favola. Sbattevo la testa per difendermi dal recinto dell’attore in cui sarebbe stato facile sminuirmi. Gridavo che era un gesto insulso e senza dignità. Non lo credevo possibile, prima di leggere gli articoli di Tony Zermo su Pippo Fava

“L’hanno ucciso da mafiosi. E non è facile capire il motivo, perché lui era sì scrittore di mafia, era sì uomo libero, e battagliero, ma era soprattutto un artista. [...] Non era per naturale vocazione un inquisitore della mafia, era un uomo a cui piaceva profondamente vivere[...] Si possono fare tante ipotesi sul perché è stato ucciso. Tutto lascia credere che si tratti di un agguato mafioso. Ma perché la mafia ha deciso di eliminarlo? Cosa ha fatto, cosa ha scritto che ha portato alla sua eliminazione? Forse per le sue ultime parole pronunciate nell’ultima trasmissione di Enzo Biagi?[...] Lui vedeva la mafia da artista[...]”. “Probabilmente bisognerà cercare, si dovrà cercare in quello che ha scritto sulla sua rivista[...] E però anche in questa direzione si troverebbe poco perché lui non aveva scoperto nulla di particolarmente importante[...] Sono parole di un uomo di cultura, di un giornalista che vede la realtà con l’occhio dello scrittore civilmente impegnato: ma non sono denunce precise, non ci sono nomi e cognomi, non c’è nulla che possa far presumere un delitto per ritorsione[...] Rappresentava un pericolo non per quello che aveva scritto, ma per quello che poteva ancora dire o scrivere[...] Non è facile, comunque, capire questo delitto[...]”.

Dentro la storia di Pippo Fava ci vedo il riflesso della stessa pochezza.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 17/01/2013, 16:01

Stati Uniti: il ritorno della sedia elettrica
di Riccardo Noury

Gli hanno detto che poteva scegliere il metodo di esecuzione e ha optato per la sedia elettrica.

In questo modo, questa notte (alle 3.00, ora italiana) in Virginia, ha avuto luogo la prima esecuzione del 2013 negli Stati Uniti. Il condannato, Robert Gleason, aveva ucciso due compagni di cella mentre stava scontando un ergastolo inflittogli per un altro duplice omicidio.

Dopo la condanna a morte, l’unico atto di Gleason è stato quello di scegliere il metodo. Per il resto, ha assistito quasi con indifferenza allo sviluppo degli eventi: non ha fatto appello contro la sentenza, non ha presentato domanda di grazia. Su 1321 prigionieri messi a morte da quando la Corte suprema, nel 1976, ridiede via libera alle esecuzioni, 144 non si sono opposti in alcun modo.

Dal 1976 a oggi, le esecuzioni tramite sedia elettrica sono state 158, un quinto delle quali in Virginia. Prima di oggi, l’ultima era stata, sempre in Virginia, nel 2010. La prima ebbe luogo nel 1890 a New York.

Pare che l’idea di legare un uomo a una sedia e ucciderlo con l’elettricità fosse venuta qualche anno prima a un dentista, il dottor Albert Southwick. Meglio fulminare all’istante che asfissiare con lentezza, come accadeva col metodo dell’impiccagione, fu il suo ragionamento. “Da oggi viviamo in un livello più alto di civiltà”, fu il suo entusiastico commento alla prima esecuzione con la sedia elettrica.

In realtà, la storia della pena di morte negli Usa – così come in ogni altro paese dov’è ancora usata – è piena di resoconti atroci che testimoniano di un basso livello di civiltà.

La sedia elettrica, in particolare, sembra un supplizio medievale modernizzato grazie alla corrente elettrica: fumo, puzza di carne bruciata, elettrodi che prendono fuoco, urla, testimoni che svengono. L’orrore della pena di morte.

(Corriere)


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda mauri il 22/01/2013, 15:56

Adro, benefattore anonimo si tassa
per la mensa ai 15 bambini esclusi
"Nessuno in Comune voleva quei soldi", accusa l'uomo. "La realtà è che ad Adro si combatte da tempo
una guerra ideologica". La mensa negata dal sindaco leghista a tutte famiglie non in regola con le rette
Un benefattore anonimo ha coperto l'importo del servizio mensa per il 2013 per i 15 alunni dell'istituto comprensivo Gianfranco Miglio ad Adro, nel Bresciano, figli soprattutto di stranieri ma anche di genitori italiani che non riuscivano a pagare la retta, come riferisce l'edizione bresciana del Corriere. La settimana scorsa dieci insegnanti dell'istituto avevano deciso di autotassarsi per pagare il servizio mensa, che il sindaco leghista di Adro, Oscar Lancini, aveva deciso di non erogare ai bambini le cui famiglie erano rimaste indietro con i pagamenti. La scuola già nota per i simboli del Sole delle Alpi che ne caratterizzavano l’arredamento prima che il tribunale bresciano imponesse al sindaco di farli rimuovere.
http://milano.repubblica.it/cronaca/201 ... -51054223/
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Mali

Messaggioda flaviomob il 27/01/2013, 13:14

Mali, per i rifugiati è rischio catastrofe umanitaria
L'allarme di Oxfam: "L’avanzare della guerra avrà gravi ripercussioni su decine di migliaia di profughi. Malnutrizione in aumento: è vitale assicurare l'arrivo degli aiuti"


L’impegno volto a portare aiuti umanitari a più di 147.000 rifugiati maliani rischia di essere vanificato dall’aggravarsi del conflitto. Le organizzazioni umanitarie sul campo lottano per far fronte ai bisogni primari dei rifugiati, ma le comunità ospitanti ai confini con il Mali subiscono ancora le conseguenze della crisi alimentare che ha colpito l’intera regione del Sahel nel 2012.

L'allarme arriva da Oxfam che ha diffuso il dossier "I rifugiati del conflitto in Mali: come rispondere a una crisi crescente",che rende conto della gravissima situazione in cui versano decine di migliaia di profughi.

L’avanzare della guerra avrà gravi ripercussioni su decine di migliaia di profughi, - sostiene Oxfam - con l’offensiva di gruppi armati che controllano il Nord del paese, il recente intervento degli eserciti francese e maliano, e le forze dell’AFISMA (Missione di sostegno al Mali su mandato dell’ONU) pronte a intervenire.

Sin dallo scorso gennaio, più di 147.000 civili sono fuggiti dal Nord del Mali e hanno trovato rifugio nei paesi confinanti, come Burkina Faso, Mauritania e Niger. In alcune aree, il numero dei rifugiati supera quello delle popolazioni ospitanti: in Mauritania, per esempio, nel campo prossimo alla città di Bassikounou - che conta circa 42.000 abitanti - ci sono oggi 54.000 rifugiati. (Clicca qui per vedere una fotogallery)


Le condizioni di sicurezza si fanno sempre più precarie, con i rifugiati che devono ora affrontare anche la minaccia di reclutamento forzato da parte dei gruppi armati. In aumento anche il numero degli sfollati interni che si rifugiano nel sud del Paese: si parla di migliaia e le cifre non sono chiare, viste le scarse notizie provenienti dal nord. Ma di fatto i nuovi profughi si aggiungono ai 220.000 dello scorso anno.

“Abbiamo assistito decine di migliaia di persone nell’ultimo anno in quattro paesi e in condizioni veramente dure - ha dichiarato Silvia Testi, responsabile Africa di Oxfam Italia – Ora è vitale assicurare l’arrivo degli aiuti per una popolazione che si è lasciata tutto alle spalle. Chiediamo per questo ai paesi confinanti di tenere aperte le frontiere e di permettere ai rifugiati di raggiungere zone sicure, e alle Nazioni Unite di avere la leadership necessaria per affrontare le ripercussioni del conflitto sui rifugiati maliani e sulle comunità che li accolgono”.

Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le difficoltà per rispondere efficacemente alla crisi: i governi, le comunità ospitanti e le organizzazioni umanitarie hanno fornito un'assistenza vitale ai rifugiati, ma il flusso degli aiuti è stato lento a causa di difficoltà logistiche, dell'esperienza limitata delle organizzazioni umanitarie locali e a causa della presenza limitata dell'UNHCR a livello regionale durante i primi giorni di risposta alla crisi.

“A quasi un anno di distanza dall'inizio del conflitto nel nord del Mali i bisogni primari non sono ancora assicurati– ha aggiunto Silvia Testi - Il tasso di malnutrizione infantile in alcuni campi ha già superato la soglia del 15% stabilita dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità (in Niger il tasso è al 21%). Serve una svolta nell’organizzazione degli aiuti: il flusso dei rifugiati aumenta, arrivano pastori nomadi con il loro bestiame. Serve assistere le comunità ospitanti per rendere possibile la convivenza ed impedire le tensioni. Chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto di garantire il nostro accesso nelle aree”

http://www.vita.it/mondo/emergenze/mali ... taria.html


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 29/01/2013, 13:23

http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/9084/

Human Rights Watch denuncia lo scandalo dei migranti minorenni arrivati nei nostri porti e ricacciati in Grecia, dove sono maltrattati e malmenati.

...Se qualche anima bella non ha il coraggio di guardare la scena dei cani che sbranano uno schiavo «negro» nell'ultimo film di Tarantino ambientato nell'America razzista di 160 anni fa, può consolarsi immaginando la scena raccontata da un ragazzino afghano scoperto in un camion nel porto di Patrasso (Grecia, settembre 2011). Si chiama Assad H. Non è un film. «Uno mi ha storto la mano dietro la schiena e l'altro ha lasciato la catena con cui teneva il cane e ha detto qualcosa al cane, che mi ha attaccato. Mentre l'altro ufficiale mi teneva. Ho pianto, i commandos mi hanno portato dietro i binari in modo che nessuno potesse vedermi, e mi hanno lasciato lì».
Anche Sadaat S, afghano, 16 anni, diverse volte ha provato a saltare su un camion per raggiungere l'Italia via mare. E ci riproverà ancora. «Molte volte cerco di andarmene, ma loro mi catturano. Mi hanno fatto male. Mi hanno messo in prigione. Cerco di salire dentro un camion. Non ho soldi per un trafficante. Alcuni dei miei amici hanno fatto la traversata... in un camion frigorifero con cibo e carne. Sono morti». Ahmed S., anche lui minorenne, lo scorso maggio era anche riuscito ad arrivare in Italia, ma lo hanno rispedito indietro. Sempre Patrasso. «Quando ci prendono vogliono la nostra Sim e allora me la sono nascosta bene in tasca. Così mi hanno fatto male, in tutti i modi, calci, pugni, su tutto il corpo. Questo è successo il giorno dopo il mio ritorno dall'Italia. Ero andato al porto per provarci di nuovo... Ora non ho i documenti con me. Ho paura della polizia, perché mi farà del male. Ci catturano all'interno del porto e se non c'è nessuno lì, ci fanno del male, del male sul serio».
Ogni anno migliaia di persone cercano di raggiungere l'Italia nascondendosi sulle navi che attraversano l'Adriatico, un numero superiore ai migranti che sbarcano o muoiono nel mare di Lampedusa. Sono di più, ma fanno meno notizia, e probabilmente molti ce la fanno. Tra i protagonisti di queste storie di ordinaria immigrazione ci sono anche bambini e adolescenti che scappano dalle guerre. Poi ci sono «i cattivi», le autorità greche: la Grecia, come ha certificato anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, ha un sistema di asilo che non funziona caratterizzato da condizioni inumane e degradanti di detenzione, con una lunga teoria di violenze xenofobe già documentate. Infine, ci sono i «complici», cioé noi, le autorità italiane, che in violazione di tutte le leggi del diritto internazionale rispediscono in Grecia quasi tutti i richiedenti asilo che sbarcano sulle nostre coste. Bambini soli compresi. Senza controlli e senza tanti complimenti, anche se le leggi italiane proibiscono l'allontanamento immediato e senza riscontri di bambini migranti....


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Genocidi d'Europa

Messaggioda flaviomob il 02/02/2013, 10:36

Non se ne parla, ma è esistito anche un genocidio contro i greci, compiuto dai turchi un secolo fa.

http://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio_greco

Genocidio greco
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'espressione genocidio dei greci del Ponto[1][2][3] è una controversa espressione utilizzata con riferimento alla storia dei greci del Ponto durante e dopo la prima guerra mondiale, tra 1914 e 1923. Che si tratti o meno di genocidio è oggetto di controversia tra la Turchia e la Grecia. Vari Stati americani hanno già votato risoluzioni volte a riconoscerlo come genocidio.[4][5]

Storia

Secondo la Ligue Internationale pour les Droits et la Libération des Peuples, tra 1916 e 1923, quasi 350.000 greci del Ponto furono uccisi[6]. Merrill D. Peterson indica 360.000 vittime[7]. GK Valavanis stima 353.238 vittime per gli omicidi, le impiccagioni, la fame e le malattie[8]. Secondo Ismail Enver, un consulente per l'esercito tedesco, il ministro turco della Difesa ha riferito nel 1915 che voleva "risolvere il problema greco ... allo stesso modo in cui pensava di aver risolto il problema armeno"[9].

Testimonianze

Testimonianze scritte del genocidio greco si trovano nel libro di George Horton, console generale degli USA a Smirne nel 1922[10], e nel libro di Henri Morgentaw, ambasciatore americano a Costantinopoli[11]. Inoltre c'è l'opera letteraria di Elia Venezis Il numero 31328 (1931), ritenuto dall'autore come "il libro della schiavitù", dove descrive le sue esperienze nel momento in cui viene preso come ostaggio all'interno dell'Asia Minore. Dei 3000 ostaggi presi con lui, soltanto 23 sopravvissero. Altre opere conosciute su questi dettagli sono La catastrofe minorasiatica (Atene 1970) e Terre sanguinose (Atene 1989) di Dido Sotiríou, e Neanche il mio nome di Thea Halo.

Numeri

Secondo fonti greche il genocidio e il conseguente scambio di popolazioni ha portato solo in Grecia, secondo il censimento del 1928, 1.221.849 di profughi[12] su un totale di 6.204.684 abitanti[13] (il 20% circa della popolazione totale). In questo numero si devono aggiungere i decessi dei profughi per stenti e il loro flusso migratorio dalla Grecia verso gli Stati Uniti dal 1922 al 1928, le vittime delle operazioni di pulizia etnica e i greci rifugiati in altri paesi del Mar Nero e del mediterraneo.

Riconoscimento del genocidio greco

La Grecia, così come Cipro[14] hanno ufficialmente riconosciuto il genocidio e nel 1994 ne hanno dichiarato il 19 maggio giornata commemorativa. Negli Stati Uniti d'America la Carolina del sud[15], il New Jersey[4], la Florida[5], il Massachusetts[16], la Pennsylvania[17] e l’Illinois[18] hanno adottato delle risoluzioni volte a riconoscere il genocidio. Tuttavia tali risoluzione non sono state recepite a livello federale. Anche l’Armenia ha mosso i primi passi verso il riconoscimento[19].

Nel dicembre 2007 l'associazione denominata International Association of Genocide Scholars (IAGS), ha approvato a larga maggioranza una risoluzione in cui afferma che la campagna del 1914-1923 contro i greci dell'Impero Ottomano costituì un genocidio.[20][21]

Da parte sua la Turchia rigetta il termine di genocidio ritenendo inoltre che indire la giornata commemorativa il 19 maggio sia un provocazione poiché tale data coincide con una festa nazionale turca[22][23]. Il ministro degli Esteri turco, a seguito della proclamazione dell giornata del ricordo in Grecia, ha aggiunto anche delle accuse: con questa risoluzione il Parlamento greco, che in realtà deve scusarsi con il popolo turco per i massacri perpetrati in Anatolia, non solo sostiene la politica tradizionale greca di distorsione della storia, ma mostra anche che lo spirito espansionistico greco è ancora vivo[24].


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