SPIRITO ASPRO
Brescello, come si passa da Guareschi a SciasciaCaro Giovannino ti stupiresti: la 'ndrangheta rende più trinariuciuti del comunismo.
di Lia Celi | 23 Aprile 2016
(© Ansa)
Intanto, chiariamo: il paese di don Camillo e Peppone non è Brescello, il Comune reggiano sciolto per infiltrazioni 'ndranghetiste, ma Ponteratto, comune della Bassa Padana, non lontano dal Po.
Negli Anni 50 contava circa 5 mila abitanti, possiede una chiesa parrocchiale, una Casa del popolo e una Piazza del Popolo su cui si affacciano il Caffè dei Portici e la rocca medievale che ospita il Municipio. Ponteratto ha anche un'altra importante caratteristica: a differenza di Brescello, non esiste. O meglio, esiste solo nei racconti di Giovannino Guareschi dedicati a don Camillo e Peppone.
BRESCELLO, DESTINO DI UNA LOCATION. Brescello non è che la location dei film tratti dalle loro avventure. Peraltro nemmeno scelta da Guareschi, che avrebbe preferito Polesine Parmense, ma dal regista Julien Duvivier, dopo epici litigi bilingui franco-parmigiani con lo scrittore.
E la sua preferenza per Brescello non era dovuta all'integrità degli abitanti e neppure alla loro naturale adesione all'indomabile spirito guareschiano, ma al fatto che la chiesa e il Municipio erano situate l'una di fronte all'altro, in plastica contrapposizione.
Prima di Duvivier, gli eventi più significativi della storia brescellese erano stati il suicidio di Otone, il secondo dei «tre imperatori» eletti e ammazzati uno dietro l'altro nel 69 (gli altri furono Galba e Vitellio) e, più di mezzo millennio dopo, l'assedio dei longobardi guidati da Autari, che rasero al suolo la cittadina allora retta dal bizantino Droctulfo.
Erano ancora barbari all'antica, di quelli impulsivi e sempliciotti che per distruggere una città ne abbattevano gli edifici.
L'INVASIONE DEI NUOVI BARBARI. Sul finire del 900 il set di Don Camillo viene invaso da clan barbarici più evoluti saliti al Nord da Cutro, Calabria, uno dei pochi paesi dove nella storia sono successe ancora meno cose che a Brescello.
Gli intraprendenti barbari hanno capito che in Italia per demolire la resistenza morale di una città è molto più utile costruire o acquistare edifici che raderli al suolo: altre tribù calabresi lo fanno da anni a Milano, a Roma, a Genova, a Firenze, e i risultati si vedono.
La droga e la prostituzione piacciono a molti, ma le case interessano a tutti: quando i mattoni delle case sono impastati col crimine, il crimine diventa, letteralmente, abitabile, domestico, protettivo e guai a chi te lo tocca.
LA FONDAZIONE DI CUTRELLO. Uno dei risultati dell'assedio dei Cutro-bardi a Brescello è, appunto, la nascita di un nuovo quartiere, chiamato per l'appunto Cutrello, sorto grazie a una variante del piano regolatore. Oppure è Cutrello che ha un vecchio quartiere residuale di nome Brescello, va' a capire.
Sta di fatto che, al netto della cantilena strascicata, dell'erre moscia e dell'indebolimento delle consonanti doppie tipico dell'acceno parmigiano-reggiano, le risposte dei brescellesi alle domande dei cronisti - «c'è davvero la mafia qui in paese? Che ne pensate di quell'Aracri, alias don Nicolino, condannato per associazione mafiosa? E dei Coffrini padre e figlio, emilianissimi amministratori Pci-Pd sospettati di collusione con la 'ndrangheta?» - sembrano uscite da un vecchio copione ambientato nel tipico paesino mafioso calabro-siciliano: ma quale mafia, la vera mafia è a Roma, Aracri è un buon cristiano, i Coffrini gente specchiata, queste sono tutte stronzate inventate dai giornalisti.
Da Guareschi a Sciascia, da Duvivier a Damiano Damiani, un bel salto, sia letterario che cinematografico.
ANTAGONISMI ADDIO. Ma il nuovo film ambientato a Brescello non coinvolge e non appassiona, perché non è animato da un vigoroso antagonismo come quello fra don Camillo e Peppone: il padrino e il sindaco andavano d'amore e d'accordo, circondati dall'unanime stima della cittadinanza.
L'equivalente della vecchia maestra monarchica custode dei vecchi valori, indimenticabile personaggio del primo Don Camillo fu nel 2002 il gestore dell'omonimo caffè sotto il Comune, che dopo aver ricevuto intimidazioni inequivocabili abbassò le saracinesche esponendo il cartello «Chiuso per mafia».
Nel libro e nel film il sindaco Peppone mette da parte l'orgoglio comunista e repubblicano per onorare l'inossidabile vecchietta.
Il primo cittadino dell'epoca, lo specchiato Coffrini senior, aggiunse le sue minacce a quelle dei malavitosi contro il barista che non voleva piegarsi a quel buon cristiano di Aracri.
Guareschi sarebbe sorpreso vedendo che la cultura mafiosa rende ancora più trinariciuti del comunismo.
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