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40 - 3, comma 2 bis .. e 165 milioni in tasca

Viaggio nella ordinaria realtà di un paese anomalo; da prendere a piccole dosi

40 - 3, comma 2 bis .. e 165 milioni in tasca

Messaggioda Gab il 19/08/2010, 11:03

Quando si dice che i nostri imprenditori sono bravissimi ..
basta una maggioranza di ... (non trovo la parola giusta) ed una frasetta e si risparmiano 165 milioni su 173 dovuti al fisco,
cioe' a tutti noi.

decreto legge numero 40 - articolo 3, comma 2 bis
"Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)"

e con questa frasetta la Mondadori risparmia 165 Milioni !
Ma come sono bravi questi imprenditori nostrani.


da repubblica.it

Mondadori salvata dal Fisco
scandalo "ad aziendam" per il Cavaliere
La somma dovuta dall'azienda editoriale: 173 milioni, più imposte, interessi, indennità di mora e sanzioni. Una norma che si somma ai 36 provvedimenti "ad personam" fatti licenziare alle Camere dal premier. Segrate è difesa al meglio: i suoi interessi li cura lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel '91 non ancora ministro. Marina Berlusconi mette da parte 8,6 milioni, in attesa delle integrazioni al decreto. Che puntualmente arrivano
di MASSIMO GIANNINI

La sede della Mondadori

Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate - di cui il premier Berlusconi è "mero proprietario" e la figlia Marina è presidente - doveva al Fisco la bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel '91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.

Un "condono riservato". Meglio ancora, una legge "ad aziendam". Che si somma alle 36 leggi "ad personam" volute e fatte licenziare dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico. Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l'11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra discute di una "questione morale" al suo interno, ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul "così fan tutti" e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall'inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l'enormità del conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l'uso personale del potere esecutivo e l'abuso politico sul potere legislativo.

Il prologo: paura a Segrate

La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato nell'orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle province dell'impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga, soprattutto all'epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L'azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo diventerà nel '94, con il primo governo Berlusconi). Nell'autunno del 2008 l'Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall'azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.

Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla "tempesta perfetta" dei mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l'economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia sull'intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il principio del liberalismo classico: mi difendo "nel" mercato, e non "dal" mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un "metodo" collaudato, ormai, che anche sul fronte dell'economia (come avviene da anni su quello della giustizia) esige il "salto di qualità": chiamando in causa la politica, mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un "metodo" che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare l'ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà l'obiettivo.

Il primo tentativo: il "pacchetto giustizia"

Siamo all'inverno 2008. Nessuno sa nulla, del braccio di ferro che vede impegnate la Mondadori e l'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo, il 13 aprile dello stesso anno il Cavaliere ha stravinto le elezioni, è di nuovo capo del governo, e Tremonti, da "difensore" del colosso di Segrate in veste di tributarista, è diventato "accusatore" del gruppo, in veste di ministro dell'Economia. Può scattare il primo tentativo. E nessuno si insospettisce, quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo "pacchetto giustizia" nel quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la cosiddetta "definizione agevolata delle liti tributarie". Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado, il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l'eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all'erario il 5% del dovuto. È un piccolo "colpo di spugna", senz'altro. Ma è l'ennesimo, e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il "condono riservato" che serve alla Mondadori.

L'operazione non riesce. Il treno del "pacchetto giustizia", che veicola la pillola avvelenata di quello che poi sarà ribattezzato il "Lodo Cassazione", non parte. La dura reazione del Quirinale, dei magistrati e dell'opposizione, sia sul processo breve che sulle intercettazioni, costringe Alfano allo stop. "Il pacchetto giustizia è rinviato al prossimo anno", dichiara il Guardasigilli alla vigilia di Natale. Così si blocca anche la "leggina" salva-Mondadori. Ma dietro le quinte, nei primi mesi del 2009, non si blocca il lavoro dell'inner circle del presidente del Consiglio. Il tempo stringe: la Cassazione ha già fissato l'udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia fiscale tra l'Agenzia delle Entrate e l'azienda di Segrate. Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge Finanziaria per il 2010. È il secondo "treno" in partenza, e per chi lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.

Il secondo tentativo: la Finanziaria

Giusto alla vigilia dell'udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al "Palazzaccio" di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli avvocati di Segrate, con l'ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78 anni l'età di pensionamento per i magistrati della Cassazione (Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la "definizione agevolata delle liti tributarie" già prevista un anno prima dal "pacchetto giustizia" di Alfano. È di nuovo la legge "ad aziendam", che stavolta, con la corsia preferenziale della manovra economica, non può non arrivare al traguardo.

Ma anche questo secondo tentativo fallisce. Stavolta, a bloccarlo, è Gianfranco Fini. La mattina del 30 ottobre, cioè poche ore dopo il blitz notturno di Azzolini, il relatore alla Finanziaria Maurizio Sala (ex An) avverte il presidente della Camera: "Leggiti questo emendamento che consente a chi è in causa con il Fisco e ha avuto ragione in primo e in secondo grado di evitare la Cassazione pagando un obolo del 5%: c'è del marcio in Danimarca...". Fini legge, e capisce tutto. È l'emendamento salva-Mondadori, con la manovra non c'entra nulla, e non può passare. La norma salta ancora una volta. E non a caso, proprio in quella fase, cominciano a crescere le tensioni politiche tra Berlusconi e Fini, che due anni dopo porteranno alla rottura. Ma crescono anche le preoccupazioni di Marina sull'andamento dei conti di Segrate. Per questo il premier e i suoi uomini non demordono, e di lì a poco tornano all'attacco. Scatta il terzo tentativo. Siamo ai primi mesi del 2010, e sui binari di Palazzo Chigi c'è un terzo "treno" pronto a partire. Il 25 marzo il governo vara il decreto legge numero 40. È il cosiddetto "decreto incentivi", un provvedimento monstre, dove l'esecutivo infila di tutto. Durante l'iter di conversione, il Parlamento completa l'opera. Il 28 aprile, ancora una volta durante una seduta notturna, un altro parlamentare del Pdl, Alessandro Pagano, ripete il blitz, e ripresenta un emendamento con la norma salva-Mondadori.

Il terzo tentativo: il "decreto incentivi"

Stavolta, finalmente, l'operazione riesce. Il 22 maggio le Camere convertono definitivamente il decreto. All'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio", il comma 2 bis traduce in legge la norma "ad aziendam": "Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)". E pazienza se il presidente della Repubblica Napolitano, poco dopo, sul "decreto incentivi" invia alle Camere un messaggio per esprimere "dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, per alcune nuove disposizioni introdotte, con emendamento, nel corso del dibattito parlamentare". E pazienza se la critica del Quirinale riguarda proprio quell'articolo 3, comma 2 bis. Ormai il gioco è fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è sostanzialmente salvo. Per consentire alla Mondadori di chiudere definitivamente i conti con il Fisco manca ancora un banale dettaglio, che rende necessario un ultimo passaggio parlamentare. Il decreto 40 non ha precisato che, per considerare concluso a tutti gli effetti il contenzioso, occorre la certificazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria.

Per questo, nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare "8.653 migliaia di euro relativi al versamento dell'importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero 40" sulla "chiusura delle liti pendenti", e fa scrivere, a pagina 61, al capitolo "Altre attività correnti": "Pur nella convinzione della correttezza del proprio operato, e con l'obiettivo di non esporre la società a una situazione di incertezza ulteriore, sono state attuate le attività preparatorie rispetto al procedimento sopra richiamato. In particolare si è proceduto all'effettuazione del versamento sopra richiamato. Nelle more della definizione del quadro normativo, a fronte dell'introduzione di specifiche attestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria previste nelle ultime modifiche al decreto, e tenuto anche conto del fatto che gli atti necessari per il perfezionamento del procedimento e l'acquisizione dei relativi effetti non sono stati ancora completati, la società ha ritenuto di iscrivere l'importo anticipato nella posta in esame...". Ricapitolando: la Mondadori mette da parte poco più di 8,6 milioni di euro, cioè il 5% dei 173 che avrebbe dovuto al Fisco (al netto di sanzioni e interessi), in attesa di considerare perfezionato il versamento al Fisco in base alle ultime integrazioni al decreto che saranno effettuate in Parlamento. E le integrazioni arrivano puntuali, alla Camera, il 7 luglio: nella manovra 2011 il relatore Antonio Azzolini (ancora lui) inserisce l'emendamento finale: "L'avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito dell'attestazione degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza e il pagamento integrale di quanto dovuto". Ci siamo: ora il "delitto" è davvero perfetto. La Mondadori può pagare pochi spiccioli, e chiudere in gloria e per sempre la guerra con l'Erario, che a sua volta gliene da atto rilasciandogli regolare "quietanza".

L'epilogo: una nazione "ad personam"?

Sembra un romanzaccio di fanta-finanza o di fanta-politica. È invece la pura e semplice cronaca di un pasticciaccio di regime. Nel quale tutto è vero, tutto torna e tutto si tiene. Stavolta Berlusconi non può dire "non mi occupo degli affari delle mie aziende": non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell'inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge "ad aziendam" dice al telefono al commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi "è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni... De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all'anno... sono messo bene, no?". Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo "quattro sfigati in pensione": non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell'inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola "Mondadori" ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola "Cesare") e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell'interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel "dirottamento"?).

È tutto agli atti. Una sola domanda: di fronte a un simile sfregio delle norme del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che "ad personam", o "ad aziendam", sia ormai diventata un'intera nazione?


(19 agosto 2010)
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Re: 40 - 3, comma 2 bis .. e 165 milioni in tasca

Messaggioda franz il 19/08/2010, 16:08

Certo, basta avere gli amici giusti al governo e, per par condicio, si viene trattati come uno che ha portato i soldi all'estero: 5% di multa e tutto è a posto, senza andare a vedere il dovuto e l'evaso. Questo è lo stile della destra italiana, una destra illiberale e corporativa, che organizza condoni fiscali ogni anno, debole con i forti e forte con i deboli, che ha fatto grossi passi indietro sulle liberalizzazioni e a tratti inneggia al protezionismo nei confronti della "temibile concorrenza" cinese.

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Re: 40 - 3, comma 2 bis .. e 165 milioni in tasca

Messaggioda Gab il 23/08/2010, 12:03

da corriere.it
le tappe della vicenda Mondadori

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Cara Mondadori, per le leggi il tuo sarto è proprio su misur

Messaggioda franz il 23/08/2010, 13:38

LA POLEMICA
Cara Mondadori, per le leggi
il tuo sarto è proprio su misura

di VITO MANCUSO

Cara Arnoldo Mondadori Editore, penso sia capitato a pochi di venire chiamato per nome da un'entità impersonale come una Società per Azioni, com'è avvenuto ieri a me con la Vostra lettera: "Caro Mancuso... firmato: Arnoldo Mondadori Editore". Ora sono un po' a disagio perché non so bene come rispondere (come ci si rivolge a una SpA?) e se uso l'antiquato Voi è perché non trovo di meglio.

Sento però che già in questa Vostra confusione di generi letterari tra l'epistola, dove ci si rivolge all'interlocutore in modo personale e si firma in prima persona, e il comunicato ufficiale, che non conosce legami e firma istituzionalmente, c'è qualcosa di stonato. Tanto più se si considera che a essere in gioco è un'editrice che fa della letteratura e della poesia, e dei rapporti personali con gli autori, il suo punto forte.

Ma entrando nel merito vi sono alcune cose nel Vostro scritto, cara Arnoldo Mondadori Editore, che a mio avviso non convincono.

1) Voi scrivete di "rivendicare con forza e convinzione la correttezza e la limpidezza di ogni scelta" e sottolineate la "correttezza cristallina dei comportamenti imprenditoriali". Per quanto riguarda la mia esperienza, sia come consulente sia come autore, posso testimoniare che è effettivamente così. Ma allora perché, dopo aver vinto due gradi di giudizio contro l'Agenzia delle Entrate, non avete atteso il terzo? Anzi, perché non l'avete ricercato Voi per prima, cara Arnoldo Mondadori Editore, con quella medesima forza e convinzione di cui parlate? Voi scrivete di "non dovere al fisco alcunché", ma la controparte sostiene che dovete la bellezza di 350 milioni di euro: perché, dopo aver vinto due volte, non avete voluto vincere anche la terza definitiva partita, tanto più se in possesso di "eccellenti argomentazioni"?

2) Voi, cara Arnoldo Mondadori Editore, scrivete che avete agito per seguire "la strada maestra per un'impresa" e identificate tale strada nel "danno minore e certo", invece di un lungo contenzioso. Ma per come la vedo io non è per nulla così: per un'impresa con una storia e una missione civica e culturale come quella del Gruppo editoriale che Voi rappresentate (e che controlla una sigla che si chiama Einaudi!), la strada maestra è la tutela del proprio onore, della propria correttezza, della propria limpida onestà. E a questo Voi vi siete sottratta, cara Arnoldo Mondadori Editore, approfittando di una legge che sembra proprio fatta su misura per il Vostro caso, come se il legislatore fosse il Vostro sarto di fiducia e non quello del Bene comune. Avevate la possibilità definitiva di essere al di sopra di ogni sospetto e non l'avete usata, anzi Vi siete affrettata a sfuggire: e ora, mi spiace dirlo, per la coscienza Voi siete molto più sospettabile di prima.

3) Entrando nel merito della cifra versata, desidero far notare che il versamento del 5% del dovuto al netto degli interessi quasi ventennali è veramente ben poca cosa: chi non sarebbe disposto a pagare? Solo uno non lo sarebbe: chi è innocente e sa di poter dimostrare di essere tale, esattamente come Voi affermate di essere, solo che Voi... avete pagato.

4) L'esiguità della somma richiesta per chiudere il contenzioso non è certo materia che Vi riguardi, la legge non l'avete scritta Voi, qui si tratterebbe semmai di chiedere al Legislatore di chi faccia veramente gli interessi, se del Bene comune di tutti o dei beni privati di pochi. Rimane però che la somma da Voi versata, cara Arnoldo Mondadori Editore, costitu isce pur sempre una cifra molto impegnativa: 8,6 milioni di euro. Torno a chiedere: non sono troppi per un innocente? Chi sa di avere ragione, di non dovere proprio nulla al fisco e di poterlo tranquillamente dimostrare, non verserebbe mai una cifra considerevole come quella, non è vero? Cara Arnoldo Mondadori Editore, finora avete dovuto attendere vent'anni: perché non avete aspettato ancora un po' e così risparmiato quasi nove milioni di euro e soprattutto tutelato fino in fondo il Vostro nome, che vale molto, molto di più?

La Vostra lettera a me ieri pubblicamente indirizzata si concludeva dicendo: "Vorremmo rassicurarla sul fatto che la Mondadori è e resta quella che lei è abituato a conoscere". Per tutte le ragioni dette, io non mi sento per nulla rassicurato. Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione di euro. Col tribunale interiore no.


(23 agosto 2010) www.repubblica.it
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