"Il caso Pescara non toccato dalla riforma della giustizia"

Giusto per mettere i puntini sulle I.
"Il caso Pescara non toccato dalla riforma della giustizia"
Notizie per vari aspetti sconcertanti e (all' apparenza) prive di plausibili giustificazioni, come quella degli arresti domiciliari da prima applicati, e dopo pochi giorni revocati, nei confronti del sindaco di Pescara, sono fatalmente destinate a provocare effetti di corto circuito nell' immaginario mediatico. Anche perché, in assenza di informazioni certe ricavabili soltanto dagli atti giudiziari, ognuno si sente autorizzato a dire la sua, spesso soltanto su basi emotive, con il rischio di perdere di vista il quadro di insieme. Nel contempo, è questo anche il contesto più adatto a favorire - nella dilagante confusione delle lingue - il consueto uso strumentale di notizie del genere. Tanto è vero che il «caso Pescara» è stato da qualcuno subito assimilato, per un verso, al «caso Salerno-Catanzaro» e, per altro verso, al «caso Napoli» (tutti tra loro assai differenti, ma poco importa), pur di trarne elementi per ribadire la necessità e l' urgenza di una «riforma della giustizia». Una riforma di cui da mesi si parla, senza che ancora ne siano stati resi noti i contenuti, a parte il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche firmato dal ministro Alfano, di cui peraltro il presidente Berlusconi quasi ogni giorno invoca profonde modifiche. In quale modo la vagheggiata riforma della giustizia avrebbe potuto influire - se già fosse stata realizzata - sulla vicenda giudiziaria del sindaco di Pescara, è quesito al quale non si saprebbe cosa rispondere. Certamente non avrebbe potuto influirvi nessuna della riforme di livello costituzionale di cui tanto si è discusso, a cominciare da quella relativa alla separazione delle carriere tra giudici e magistrati del pubblico ministero (molti, del resto, hanno registrato con sorpresa, su alcuni punti, una significativa disparità di valutazioni tra la procura pescarese e il competente gip). Ma lo stesso vale anche per le riforme di livello codicistico più volte preannunciate, nessuna delle quali attiene specificamente alla disciplina di applicazione delle misure restrittive della libertà dei soggetti indagati. E infatti, a proposito di questa ultima vicenda, l' accento critico è caduto soprattutto sulla esigenza di una maggiore oculatezza, da parte dei magistrati, nel richiedere e nell' applicare le suddette misure (esigenza sacrosanta, ma relativa al profilo di professionalità degli stessi magistrati, da garantirsi ovviamente nei confronti di qualunque cittadino), non già sui congegni normativi riguardanti i rapporti tra pubblico ministero e giudice. Anzi, proprio la circostanza che il gip di Pescara abbia deciso la revoca degli arresti domiciliari imposti al sindaco (per il venir meno delle esigenze cautelari, grazie anche alla scelta spontanea delle dimissioni, ferma restando la «gravità del quadro indiziario» a suo carico) solo dopo avere ascoltato la difesa «appassionata» dello stesso sindaco, dimostra, semmai, che in questo caso l' interrogatorio di garanzia ha assolto la sua funzione di «contraddittorio successivo» alla esecuzione della misura. In armonia, del resto, con i normali sviluppi della dialettica processuale. Anche se, almeno in ipotesi del genere, sarebbe certo preferibile un meccanismo di «contraddittorio anticipato» rispetto al provvedimento del giudice. Quanto al tema delle intercettazioni, non si vede davvero come l' inchiesta di Pescara (al pari, per esempio, delle recenti inchieste di Napoli) possa fornire argomenti nel senso di una limitazione nell' uso di questo importante strumento investigativo, tanto più utile proprio nelle indagini contro il malaffare politico amministrativo. Altro discorso è, invece, quello della pubblicazione delle risultanze di tali intercettazioni: pubblicazione da vietarsi quando esse siano ancora coperte da segreto, o comunque quando riguardino persone, condotte o circostanze estranee alle indagini. Qui davvero un serio limite deve essere posto, sia attraverso opportuni filtri in sede processuale (così da evitare, in primo luogo, la indebita diffusione di intercettazioni irrilevanti, anche all' interno di atti giudiziari), sia attraverso adeguate sanzioni nel caso di violazione del suddetto divieto. Ciò che specialmente preoccupa, infatti, non è l' esecuzione in sé delle intercettazioni (quando correttamente operate, per ragioni di giustizia), bensì lo scempio che ne viene fatto attraverso la arbitraria divulgazione dei colloqui intercettati, allorché non siano necessari per i fini del processo. Ed è questo, dunque, il tema su cui soprattutto dovrà intervenire il legislatore, ma senza trarne pretesto per restringere l' attuale ambito di ammissibilità dello strumento.
Grevi Vittorio" (professore di procedura penale presso l'Università di Pavia)
Dal Corriere della Sera del 29/12/2008
"Il caso Pescara non toccato dalla riforma della giustizia"
Notizie per vari aspetti sconcertanti e (all' apparenza) prive di plausibili giustificazioni, come quella degli arresti domiciliari da prima applicati, e dopo pochi giorni revocati, nei confronti del sindaco di Pescara, sono fatalmente destinate a provocare effetti di corto circuito nell' immaginario mediatico. Anche perché, in assenza di informazioni certe ricavabili soltanto dagli atti giudiziari, ognuno si sente autorizzato a dire la sua, spesso soltanto su basi emotive, con il rischio di perdere di vista il quadro di insieme. Nel contempo, è questo anche il contesto più adatto a favorire - nella dilagante confusione delle lingue - il consueto uso strumentale di notizie del genere. Tanto è vero che il «caso Pescara» è stato da qualcuno subito assimilato, per un verso, al «caso Salerno-Catanzaro» e, per altro verso, al «caso Napoli» (tutti tra loro assai differenti, ma poco importa), pur di trarne elementi per ribadire la necessità e l' urgenza di una «riforma della giustizia». Una riforma di cui da mesi si parla, senza che ancora ne siano stati resi noti i contenuti, a parte il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche firmato dal ministro Alfano, di cui peraltro il presidente Berlusconi quasi ogni giorno invoca profonde modifiche. In quale modo la vagheggiata riforma della giustizia avrebbe potuto influire - se già fosse stata realizzata - sulla vicenda giudiziaria del sindaco di Pescara, è quesito al quale non si saprebbe cosa rispondere. Certamente non avrebbe potuto influirvi nessuna della riforme di livello costituzionale di cui tanto si è discusso, a cominciare da quella relativa alla separazione delle carriere tra giudici e magistrati del pubblico ministero (molti, del resto, hanno registrato con sorpresa, su alcuni punti, una significativa disparità di valutazioni tra la procura pescarese e il competente gip). Ma lo stesso vale anche per le riforme di livello codicistico più volte preannunciate, nessuna delle quali attiene specificamente alla disciplina di applicazione delle misure restrittive della libertà dei soggetti indagati. E infatti, a proposito di questa ultima vicenda, l' accento critico è caduto soprattutto sulla esigenza di una maggiore oculatezza, da parte dei magistrati, nel richiedere e nell' applicare le suddette misure (esigenza sacrosanta, ma relativa al profilo di professionalità degli stessi magistrati, da garantirsi ovviamente nei confronti di qualunque cittadino), non già sui congegni normativi riguardanti i rapporti tra pubblico ministero e giudice. Anzi, proprio la circostanza che il gip di Pescara abbia deciso la revoca degli arresti domiciliari imposti al sindaco (per il venir meno delle esigenze cautelari, grazie anche alla scelta spontanea delle dimissioni, ferma restando la «gravità del quadro indiziario» a suo carico) solo dopo avere ascoltato la difesa «appassionata» dello stesso sindaco, dimostra, semmai, che in questo caso l' interrogatorio di garanzia ha assolto la sua funzione di «contraddittorio successivo» alla esecuzione della misura. In armonia, del resto, con i normali sviluppi della dialettica processuale. Anche se, almeno in ipotesi del genere, sarebbe certo preferibile un meccanismo di «contraddittorio anticipato» rispetto al provvedimento del giudice. Quanto al tema delle intercettazioni, non si vede davvero come l' inchiesta di Pescara (al pari, per esempio, delle recenti inchieste di Napoli) possa fornire argomenti nel senso di una limitazione nell' uso di questo importante strumento investigativo, tanto più utile proprio nelle indagini contro il malaffare politico amministrativo. Altro discorso è, invece, quello della pubblicazione delle risultanze di tali intercettazioni: pubblicazione da vietarsi quando esse siano ancora coperte da segreto, o comunque quando riguardino persone, condotte o circostanze estranee alle indagini. Qui davvero un serio limite deve essere posto, sia attraverso opportuni filtri in sede processuale (così da evitare, in primo luogo, la indebita diffusione di intercettazioni irrilevanti, anche all' interno di atti giudiziari), sia attraverso adeguate sanzioni nel caso di violazione del suddetto divieto. Ciò che specialmente preoccupa, infatti, non è l' esecuzione in sé delle intercettazioni (quando correttamente operate, per ragioni di giustizia), bensì lo scempio che ne viene fatto attraverso la arbitraria divulgazione dei colloqui intercettati, allorché non siano necessari per i fini del processo. Ed è questo, dunque, il tema su cui soprattutto dovrà intervenire il legislatore, ma senza trarne pretesto per restringere l' attuale ambito di ammissibilità dello strumento.
Grevi Vittorio" (professore di procedura penale presso l'Università di Pavia)
Dal Corriere della Sera del 29/12/2008