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Salerno vs Catanzaro: cronaca di una partita persa 1

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Salerno vs Catanzaro: cronaca di una partita persa 1

Messaggioda franz il 23/12/2008, 14:52

da http://www.noisefromamerika.org una ricostruzione straordinariamente lucida dei fatti in oggetto.
http://www.noisefromamerika.org/index.p ... ntata#body

di axel bisignano, 21 Dicembre 2008

Due settimane fa la magistratura ha avuto un’altra occasione per dimostrare quanto vale. La “guerra” tra le Procure di Salerno e Catanzaro ha suscitato un enorme clamore e sconcerto in tutta l’opinione pubblica, oltre ad un, mai visto, intervento diretto del Presidente della Repubblica, che ha chiesto agli uffici copia degli atti, un immediato intervento del CSM che ha avviato la pratica di trasferimento dei due Procuratori coinvolti, e alla reazione “scandalizzata” dei politici.

La guerra è “finita”, con un armistizio firmato tra i due protagonisti davanti al procuratore generale della Cassazione, armistizio salutato come il ritorno alla ragione. Al termine della “guerra” tra le Procure di Salerno e Catanzaro, possiamo cercare di spiegare che cosa è successo e quali sono i retroscena. Il quadro che ne emerge è sconvolgente e l’ennesima dimostrazione che una parte del paese è in via di definitiva putrefazione.


Per quanto la vicenda abbia indubbiamente scandalizzato anche me, non ero intenzionato a scriverne su nFA, pensavo che fosse sufficientemente chiara. Intendevo, invece, trastullarmi con un resoconto romantico del mio stage in Germania che, viste le ultime vicende, mi appare sempre più come un “paradiso in terra”. Purtroppo, sono stato drammaticamente richiamato all’ordine dalla Suprema Autorità di nFA, che mi ha costretto ad occuparmi di questa ennesima brutta pagina nella storia della magistratura italiana. Dalla lettura del famoso decreto di perquisizione e della richiesta di archiviazione relativa ai procedimenti penali aperti contro De Magistris, della Procura di Salerno, qui, emerge una realtà sconvolgente sotto tutti i punti di vista.

Per comprendere gli ultimi drammatici sviluppi è necessario fare un breve riassunto delle puntate precedenti della c.d. “vicenda De Magstris”.

Prologo
Luigi De Magistris è un sostituto procuratore della Repubblica, di origini napoletane (capirete presto il motivo di questa precisazione), in servizio presso la Procura della Repubblica di Catanzaro. Egli si occupa di fattispecie di reato particolarmente delicate quali i reati contro la pubblica amministrazione.

Nell’anno 2005 inizia un’indagine denominata “Poseidone”, finalizzata alla ricostruzione della destinazione degli ingenti fiumi di denaro che confluiscono in Calabria sotto forma di finanziamenti pubblici destinati allo sviluppo ed alla riqualificazione del territorio. Dall’indagine risulta che i finanziamenti deliberati finivano a diverse società nelle cui compagini sociali comparivano soggetti vicini a determinati partiti politici (da destra a sinistra) o addirittura direttamente imparentati con i vertici locali dei partiti stessi. Le società erogavano a questi “amministratori” ed a consulenti lauti compensi, per poi scomparire, esaurito il denaro del pubblico finanziamento. In questa indagine viene coinvolto anche l’ex presidente della giunta regionale, il quale, in precedenza, era stato un alto magistrato che aveva prestato servizio presso diversi uffici giudiziari calabresi e la cui figlia operava anch’essa negli uffici giudiziari di Catanzaro.

Nel contempo, De Magistris si occupa di una parallela indagine denominata “Whynot”. Questa seconda indagine ruota intorno ad una persona che è un esponente di primo piano di Comunione e Liberazione e della sua diramazione imprenditoriale, la Compagnia delle Opere, in Calabria e gode di ottime entrature sia presso l’establishment calabrese, sia presso gli uffici di alcuni Ministeri romani, tra cui quello della giustizia, all’epoca presieduto dal Sen. Clemente Mastella. Tra le molteplici attività di cui la persona in questione si occupa, c’è anche quella della gestione di società i cui dipendenti vengono a prestare servizi di vigilanza, segreteria e quant’altro per diversi enti locali quali la regione o il comune di Catanzaro. In sostanza, il manager in questione, crea diverse imprese che captano pubblici finanziamenti o operano per conto di enti pubblici sotto forma di outsourcing procurando e distribuendo posti di lavoro. Molti di questi posti di lavoro sono destinati a persone segnalate dal locale establishment politico, a prescindere dal colore e secondo una chiara logica di spartizione, dai vertici della curia (emblematiche alcune telefonate con un alto esponente ecclesiastico in cui il personaggio riferisce che, qualora una tale società non ne avesse assunto la nipote, egli avrebbe fatto in modo di impedire che venisse erogato un finanziamento in favore della società medesima), ma anche, apparentemente, a parenti di ed a persone segnalate da esponenti della magistratura di Catanzaro.

È bene, a questo punto, fissare un primo importante paletto. Tutto ciò che ho appena riferito e che emerge dal decreto di perquisizione, costituisce solamente la descrizione di un contesto ambientale nel quale De Magistris operava. Non per questo, necessariamente, sono stati commessi dei reati da nessuna delle persone in questione. Si tratta, tuttavia, di un contesto indubbiamente molto incrostato. La sua descrizione è necessaria a chiarire gli sviluppi ulteriori della vicenda.

Sempre in quel periodo De Magistris si occupa di una terza indagine delicata denominata “Toghe lucane” e cioè un’indagine su abusi d’ufficio ed altre fattispecie commesse da magistrati che operavano nel distretto della Corte di appello di Potenza. In Basilicata c’è una Procura della Repubblica dove l’astio tra colleghi è talmente grave che sono pronti a denunciarsi e spiarsi a vicenda, dove l’Arma dei Carabinieri ha presentato una denuncia contro la Procura della Repubblica di Potenza. C’è il presidente di un Tribunale che gestisce diversi procedimenti civili di una banca locale, nonostante la medesima banca gli abbia concesso un fido di € 500.000,00 piú un mutuo di € 620.000,00 con una garanzia ed un tasso pressoché inesistenti. C’è, poi, il Procuratore della Repubblica del medesimo Tribunale che non apre un procedimento penale e non sequestra un villaggio turistico, segnalato come abusivo, in costruzione, in quanto è interessato ad acquistarvi un immobile. Uno dei magistrati indagati è un sostituto procuratore che indaga contro la giunta regionale in relazione alla gestione della sanità, il cui marito, subito dopo l’archiviazione non accolta dal GIP, diventa direttore generale di un’azienda ospedaliera su nomina della giunta poco prima indagata e con i membri della quale risulta avere avuto rapporti extraprofessionali prima dell'indagine. Il medesimo magistrato si occupa anche di un’indagine per presunti brogli elettorali che lambisce un senatore, nonché ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché sindaco di una delle province lucane. Nel periodo oggetto dell’indagine il magistrato in questione viene proposto a Roma come “consulente” della commissione parlamentare antimafia, su indicazione del medesimo senatore, ovviamente in virtù della “stima professionale” che questi ha per lei …

Arriviamo al secondo punto fisso. Come tutti sanno, ma, evidentemente, non certi magistrati coinvolti in questa vicenda, l’art. 25 della Costituzione prevede che: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Nel settore penale, generalmente, il giudice naturale è quello del luogo in cui si è commesso il reato che, quasi sempre, è quello dove si vive o si lavora. Questa regola, per evidenti ragioni di opportunità, non vale per i magistrati, per i quali, fino al 1998, valeva il principio per cui era competente la Procura del distretto della Corte di Appello più vicina. Sennonché questo criterio aveva dato degli scarsi risultati poiché si verificavano paradossali situazioni in cui le Procure si indagavano a vicenda. Storiche erano le “guerre dello stretto” tra Messina e Reggio Calabria. Nel 1998 il legislatore ci mise una pezza e, con legge n. 420, stabilì un meccanismo rotatorio. Nello specifico caso, la Procura di Catanzaro è competente ad indagare i magistrati del distretto della Corte d’appello di Potenza. Per i magistrati del distretto di Catanzaro è competente la Procura di Salerno. Per quelli di Salerno, è competente la Procura di Napoli.

Dunque, De Magistris, legittimamente, perché il suo ufficio era stato destinatario di apposite notizie di reato, tra cui quelle sopra indicate, si occupa di presunti reati commessi dai magistrati lucani. È chiaro che anche questa è un’indagine estremamente delicata.

Come ognuno può immaginare, si tratta di indagini oltre che delicate, decisamente complesse, e così De Magistris viene affiancato da una collega con la quale pare aver operato in piena sintonia. Sennonché questa collega si allontana dalla Procura di Catanzaro per un periodo di maternità e De Magistris chiede che gli venga affiancato un altro sostituto. Il Procuratore della Repubblica decide, invece, di coassegnare i procedimenti a sé stesso ed al Procuratore aggiunto, il tutto non certo al fine di agevolare il lavoro del sostituto o di coprirgli le spalle, bensì, con tutta evidenza, al fine di controllarlo. La decisione, in sé, oltre ad essere del tutto legittima, poteva essere anche opportuna, atteso che le iniziative intraprese da De Magistris erano, quanto meno, clamorose e, nell’ottica del Procuratore, potevano dare adito a qualche dubbio sul suo equilibrio. Certo è altrettanto chiaro come, in quella situazione, fosse necessario sia per ragioni di opportunità, sia per ragioni organizzative, la coassegnazione del procedimento a più sostituti. Ciò anche al fine di evitare una sovraesposizione del singolo magistrato titolare delle indagini, bersaglio di iniziative sempre più pressanti da parte del potere politico attraverso interrogazioni parlamentari e continue ispezioni ministeriali presso la Procura di Catanzaro. Da queste ispezioni emerge, tra le tante cose, la figura di un Procuratore della Repubblica che si disinteressa completamente dell’Ufficio. Nel contempo, nell’ufficio operano due Procuratori aggiunti, di cui uno che viene criticato dagli ispettori perché supplisce alle carenze del Procuratore capo, mentre l’altro, coassegnatario dei procedimenti di De Magistris, viene sfiduciato per iscritto dai sostituti dell’ufficio per i suoi metodi burocratici. Né il Ministro né il CSM ritengono opportuno intervenire. Intanto De Magistris non viene affiancato da nessun collega, deve condurre queste inchieste da solo ed aumenta i suoi ritmi di lavoro, giungendo a lavorare anche di notte. Egli, così come la collega andata in maternità, percepisce una certa ostilità verso le sue indagini all’interno del suo ufficio, tanto che, entrambi, decidono di scrivere una sorta di promemoria, in cui danno atto della situazione.

Ritornando al contesto ambientale nel quale operava De Magistris, risultava come fatto notorio in tutta Catanzaro che il Procuratore della Repubblica era in ottimi ed intimi rapporti di amicizia con un noto avvocato catanzarese, nonché senatore della Repubblica. Questi era il difensore di numerosi indagati in tutti e tre i delicati procedimenti descritti in precedenza, tra cui l’ex presidente della regione Calabria, nonché ex magistrato, ed uno dei magistrati indagati a Potenza. Nel contempo, il medesimo senatore risulta avere partecipazioni in diverse società di capitali ed ha associato, nel suo studio, nonché in una delle sue società il figliastro del Procuratore.

Nel procedimento c.d. Poseidone - in cui, si ricorda, era indagato anche l’ex presidente della regione ed ex magistrato - De Magistris decide di procedere ad una perquisizione contro quest’ultimo. Informa di ciò il Procuratore della Repubblica ed il Procuratore aggiunto suoi superiori gerarchici, nonché coassegnatari del procedimento. Entrambi cercano di dissuaderlo, segnalando l’inutilità e/o l’impatto clamoroso dell’iniziativa e non firmano il provvedimento. Pochi giorni prima della esecuzione dell’atto, un giornalista chiama De Magistris e gli chiede se c’erano in programma “iniziativa clamorose” nell’inchiesta. Il giornalista riferisce al magistrato di essere stato contattato dall’avvocato, nonché senatore, nonché amico, nonché datore di lavoro e socio del figliastro del Procuratore, nonché, infine, difensore dell’ex presidente regionale, il quale gli avrebbe chiesto se aveva informazioni sulle prossime iniziative della Procura in relazione all’indagine. Non si sa come il senatore possa essere venuto in possesso di tali informazioni, certo è, secondo quanto De Magistris riferisce alla Procura di Salerno, che, dall’analisi incrociata dei tabulati telefonici, viene fuori che, poco prima che il Senatore chiamasse il giornalista, vi erano stati dei colloqui tra il Procuratore della Repubblica ed il medesimo senatore, fatto, questo, che potrebbe, comunque, essere innocente, ma che spiega il perché dei successivi comportamenti del magistrato. Ci sono continue fughe di notizie sulle sue indagini, nel contempo percepisce la sfiducia dei vertici dell’ufficio e, dopo l’uscita della collega, opera completamente solo. De Magistris comincia a temere sempre di più che i suoi vertici, così come diversi altri magistrati del Tribunale di Catanzaro, siano collusi al sistema.

Crescendo moderato
In questo contesto lavorativo, stress estremo ed isolamento totale all’interno dell’ufficio, De Magistris perde di lucidità. Quando cominciano ad emergere il coinvolgimento, tramite le società di cui è titolare, a carico del senatore, avvocato ed amico del Procuratore, nel procedimento “Poseidone”, decide di iscriverlo nel registro delle notizie di reato in forma inusuale, in quanto, per timore che ne vengano a conoscenza il Procuratore e l’aggiunto, coassegnatari del procedimento, non inserisce l’iscrizione nel registro informatico dell’Ufficio. Allorché procede ad una perquisizione del senatore, il Procuratore viene a sapere dell’iscrizione e decide di togliere la delega al magistrato, assegnando il procedimento esclusivamente al Procuratore aggiunto, per poi, subito dopo, dichiarare la propria astensione in virtù dei notori rapporti di amicizia tra lui e l’avvocato senatore. De Magistris, informato dell’atto, ritenendolo illegittimo e penalmente rilevante, prende il fascicolo e lo trasmette alla Procura di Salerno, si ricorda, ufficio competente ad indagare sui magistrati di Catanzaro. A questo punto, il Procuratore reagisce, segnalando la vicenda agli organi competenti per l’azione disciplinare, tra cui il Ministro della Giustizia, retto all’epoca, dal Sen. Mastella, politico che è in buoni rapporti con il principale indagato dell’indagine c.d. “Whynot” e sul quale De Magistris ha iniziato ad indagare, fra l’altro, per la “personalizzata” gestione del giornale del suo partito. Scattano ulteriori ispezioni, mentre procedono le indagini nei due procedimenti ancora in mano al magistrato.

Intanto, i magistrati lucani si sentono vittime di un complotto mediatico a loro danno e presentano diverse denunce per diffamazione contro De Magistris presso la competente Procura di Salerno. Faccio presente che la competenza di Catanzaro vale anche nel caso in cui il magistrato sia persona offesa, mentre quella di Salerno varrebbe per gli eventuali reati commessi da De Magistris. Nel contempo, la Procura della Repubblica lucana, retta dal Procuratore indagato da De Magistris apre un procedimento penale ravvisando l´esistenza di un’“associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa”, ovviamente, per la forma, non a danno di magistrati né capeggiata da De Magistris, visto che, altrimenti, il procedimento andava immediatamente trasmesso a Catanzaro o Salerno. La persona offesa è il senatore nonché ex membro del CSM, nonché sindaco di Matera, nonché estimatore del magistrato che ha indagato sui suoi sodali politici, nonché, a giudicare da quanto si legge nel provvedimento di perquisizione, mentore e relatore della nomina a procuratore aggiunto del superiore di De Magistris coassegnatario dei suoi procedimenti. Gli indagati sono solo i giornalisti che scrivono delle inchieste condotte da De Magistris, nonché un capitano dei Carabinieri che sta indagando su delega dello stesso magistrato. Dov’è la “criminalità organizzata”? Non bastava una semplice indagine per diffamazione e divulgazione del segreto istruttorio? No, ci voleva l’associazione a delinquere perché, altrimenti, non si poteva procedere ad intercettazioni, e, così essendovi “gravi indizi” dell’esistenza di questa “pericolosissima organizzazione”, la Procura in questione ascolta i colloqui del capitano dei Carabinieri e dei giornalisti che, rispettivamente, indagano su di loro o scrivono sulle vicende che li riguardano. Dalle intercettazioni, contrariamente alle speranze recondite, non emerge nessun colloquio in cui De Magistris fornisce ai giornalisti notizie relative a sue indagini, emerge solamente un rapporto informale con alcuni di essi. I magistrati lucani formulano ripetute denunce nei confronti del magistrato per violazione del segreto istruttorio e/o diffamazione presso la Procura di Salerno, allegando, come elemento di prova, le intercettazioni relative alla famosa organizzazione criminale.

Procedono le ispezioni ministeriali che giungono alla conclusione che De Magistris ha commesso una serie di illeciti disciplinari tra cui quello di aver mandato gli atti del fascicolo “Poseidone” a Salerno. L’Ispettorato propone al Ministro di avviare l’azione disciplinare con richiesta di trasferimento immediato del magistrato. Questi, nel medesimo periodo, dispone l’iscrizione nel registro degli indagati del Ministro nel procedimento c.d. “Why not”. A questo punto, interviene il Procuratore generale FF, che avoca il fascicolo. L’avocazione, atto estremamente grave, può essere disposta solamente nei casi espressamente previsti dalla legge che sono quelli dell’inerzia investigativa ovvero quello della presentazione di una richiesta di archiviazione infondata. Nessuna di queste due ipotesi sussisteva.

Andante con brio
Su iniziativa del Ministro e del Procuratore generale della Cassazione viene esercitata l’azione disciplinare nei confronti di De Magistris, nel contempo, la Procura di Salerno indaga sia nei confronti di De Magistris, per una serie di denunce palesemente infondate presentate dai magistrati lucani nei suoi confronti e nei confronti dei magistrati di Catanzaro per le denunce presentate dallo stesso magistrato. Un membro laico del CSM, prima della decisione, riferisce ai giornalisti che De Magistris è un “cattivo magistrato”. Il CSM condanna il magistrato con una severissima sanzione, disponendone il trasferimento ad altro ufficio e stabilendo che è inidoneo a fare il Pubblico Ministero e, incredibilmente, ritiene, con ciò, chiusa la vicenda, mettendo un bel coperchio sul verminaio di Catanzaro. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, emette trionfali comunicati sulla magistratura che sa “fare pulizia” al suo interno, sennonché, poco dopo si deve dimettere perché viene fuori che, anche lui, è un membro di CL, che ha prestato attività lavorativa presso la Procura di Catanzaro ed era, guarda un po’, in buoni rapporti con il principale indagato della vicenda “Why not”.

Intanto, tutte e tre le indagini di De Magistris, si fermano. Per legge, dopo l’avocazione del procedimento “Why not”, la Procura generale di Catanzaro avrebbe dovuto esercitare l’azione penale in 30 giorni. È passato più di un anno. È di questi giorni la notizia della chiusura delle indagini (sul punto torneremo nella prossima puntata). L’indagine c.d. “Toghe lucane” era conclusa, De Magistris aveva già formulato le imputazioni, bisognava solo firmare la richiesta di rinvio a giudizio, ma viene trasferito prima. È passato quasi un anno e non risulta stata firmata la richiesta. Dell’indagine c.d. “Poseidone” nulla si sa.

Per gli ulteriori sviluppi vi rimando alla seconda puntata.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
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