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Mori e il confine tra diritto e inquisizione

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Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda ranvit il 20/05/2016, 7:15

Mori e il confine tra diritto e inquisizione
L’assoluzione dell'ex comandante del Ros e Obinu, appesi al palo come malacarne per vent’anni, taglia le gambe al teorema della Trattativa
di Giuseppe Sottile | 20 Maggio 2016 ore 06:10

Sono vent’anni che li tengono appesi a un palo come due malacarne di periferia. Sono vent’anni che li tengono inchiodati al calvario di un teorema giudiziario senza capo né coda. Ma ieri pomeriggio, finalmente, l’ex generale dei carabinieri Mario Mori e l’ex colonnello Mauro Obinu sono stati assolti, con formula piena, anche in appello. I procuratori di Palermo li accusavano di avere coperto, nel 1995, la latitanza di Bernardo Provenzano, vecchio e sanguinario boss dei corleonesi. Secondo la ricostruzione fatta dal pubblico ministero e avallata poi dal giudice per le indagini preliminari, Mori e Obinu avevano tutte le informazioni necessarie per catturarlo, in quel di Mezzojuso, ma si sono girati dall’altra parte, facendo finta di niente. Segno – ed era questo il sottinteso verminoso – che i due ufficiali avevano da restituire a Provenzano un qualche favore, quasi certamente legato alla famigerata Trattativa tra Cosa nostra e i vertici dello Stato: per esempio, la soffiata che aveva consentito ai carabinieri, nel gennaio del ’93, di arrestare alla circonvallazione di Palermo, nientemeno che Totò Riina, il capo dei capi.

Sia il processo di primo grado sia quello che si è concluso ieri in Corte d’appello, hanno comunque fatto piazza pulita di tutte queste fantasticherie. Le sentenze, pur sottolineando alcune inspiegabili negligenze, escludono il favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra. Il che finisce per tagliare ulteriormente le gambe al maxi processo istruito da Antonio Ingroia e lasciato in eredità al pm Nino Di Matteo, due magistrati secondo i quali la Trattativa avrebbe avuto come intermediario principale proprio il generale Mori: sarebbe stato lui ad avviare i colloqui con Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo e portavoce in doppiopetto dei corleonesi; e sarebbe stato lui a sottoscrivere il patto scellerato con la mafia pur di chiudere la tremenda stagione delle stragi.

Il maxi processo – nel quale Mori è ancora imputato, assieme a un buon numero di boss e di autorevoli esponenti delle istituzioni – si trascina, senza onore e senza gloria, da oltre tre anni. E’ un processo che non ha un movente, perché la mafia ha perso e i mafiosi non sono stati salvati; e che non ha prove schiaccianti: l’unico racconto, al quale si sono poi accodati i pentiti della solita compagnia di giro, è quello fatto da Massimo Ciancimino, il figlio pataccaro di don Vito, la cui attendibilità crolla giorno dopo giorno. Mentre girava per giornali e talk-show, portato a spalla alla stregua di Nostra Signora della Verità, il super testimone, presentato urbi et orbi da Ingroia come “nuova icona dell’antimafia”, non si è fatto mancare proprio nulla: ha collezionato due processi per calunnia e ha inanellato una sequela di contraddizioni così lunga che la metà basta.

L’impianto della Trattativa aveva già ricevuto un colpo di maglio nel novembre dell’anno scorso con l’assoluzione di Calogero Mannino: l’ex ministro democristiano, trascinato pure lui sul banco degli imputati, aveva scelto il rito abbreviato e se l’è cavata prima degli altri. Ma con la sentenza che ieri ha liberato Mori dal sospetto di avere traccheggiato con lo stragista Provenzano, stramazza al suolo l’architrave dell’accusa e diventa veramente difficile per la Corte di assise presieduta da Alfredo Montalto reggere per chissà quanto altro tempo la noia di un processo destinato quasi certamente alla disfatta.



Ma una domanda si impone. Sono quasi vent’anni che una corrente, per fortuna minoritaria, della procura di Palermo pesta l’acqua nel mortaio nel tentativo di trovare una regia occulta o, meglio, una responsabilità politica dietro le stragi mafiose del 1992, quelle dove trovarono la morte i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono quasi vent’anni che l’ala più politicizzata della magistratura palermitana tenta di alzare il tiro nella disperata speranza di trovare quelle complicità e quelle compromissioni che i processi non hanno mai confermato. E sono quasi vent’anni che persone al di sopra di ogni sospetto, come Mannino o come Mori o come Obinu, sono costretti a salire e scendere le scale dei tribunali, a difendersi da accuse infamanti, a pagare fior di avvocati, a patire la gogna dei giornali, a soffrire per l’imbarazzo dei figli o delle mogli, a subire la mortificazione della gente che li incontra e fa finta di non vederli. Si chiama “sindrome dell’appestato”. Chi li risarcirà per tutto il male che gli è piovuto addosso?

Ma dopo vent’anni è forse venuto il momento che qualcuno, al Quirinale o al Consiglio superiore della magistratura, che Sergio Mattarella o Giovanni Legnini o Piercamillo Davigo dica una volta per tutte qual è il confine tra la giurisdizione e la persecuzione, tra la civiltà del diritto e la santa inquisizione. Perché alla base della vicenda Mori ci sarà stata anche una maledetta somma di coincidenze, ma è difficile per chiunque immaginare come un generale dei carabinieri, che pure ha arrestato Totò Riina, possa passare il resto dei suoi giorni nelle spire di un’inchiesta senza fine: si chiude quella per la mancata perquisizione del covo dei boss e comincia quella per la mancata cattura di Provenzano; si chiude il capitolo Provenzano, e si torna in aula per la Trattativa. Altro che medaglia al merito per avere rinchiuso nelle patrie galere il capo dei capi: quel successo ha regalato al servitore dello stato Mario Mori nient’altro che un inferno.



http://www.ilfoglio.it/politica/2016/05 ... e_c158.htm
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda flaviomob il 20/05/2016, 9:30

Processo d'appello Mori-Obinu, assolti gli ex ufficiali del Ros
Dettagli Pubblicato: 19 Maggio 2016
mori obinu sentenza 20160519La Corte ha confermato la sentenza del primo grado. Trasmessi atti alla Procura contro Ultimo e altri militari per valutare eventuale “falsa testimonianza”
di Aaron Pettinari - Fotogallery
Nessun colpo di scena al Processo in secondo grado contro gli ufficiali dell'arma Mario Mori e Mauro Obinu. Dopo poco più di tre giorni di camera di consiglio la Corte d'appello di Palermo, presieduta da Salvatore Di Vitale (a latere Raffaele Malizia e Gabriella Di Marco), ha confermato la sentenza di assoluzione emessa in primo grado il 17 luglio 2013, nei confronti dei due imputati, accusati di favoreggiamento del boss Bernardo Provenzano. La procura generale, rappresentata in giudizio dal procuratore Roberto Scarpinato e dal sostituto Luigi Patronaggio, aveva chiesto la condanna dei due ufficiali dell'Arma a quattro anni e mezzo di reclusione per Mori e tre anni e mezzo per Obinu.
Secondo l'accusa, nell'ottobre del 1995, pur essendo a un passo dalla cattura del padrino di Corleone, grazie alle rivelazioni del confidente Luigi Ilardo, non fecero scattare il blitz che avrebbe potuto portare all'arresto del capo mafia garantendogli un'impunità che sarebbe durata fino al 2006. La Corte d'Appello, però, ha confermato in pieno l'assoluzione con la formula "perchè non costituisce reato". Secondo questa logica, dunque, “l’omessa attivazione” di tutte le indagini e “l’omessa comunicazione” alla magistratura sarebbero quindi avvenuti senza però costituire reato. Anche perché, se l’omissione l’avesse fatta ad esempio Michele Riccio (principale accusatore dei due militari, che in quegli anni gestiva il rapporto con Ilardo), Mori e Obinu dovevano essere assolti “per non aver commesso il fatto”. Se l’omissione invece non ci fosse stata allora dovevano essere assolti “perché il fatto non sussiste”.
Da oggi scattano i 90 giorni entro i quali la corte dovrà motivare la sentenza e allora si capirà anche il motivo per cui la Corte non ha condivso la richiesta della Procura generale che, rispetto al primo grado, aveva chiesto di escludere l'aggravante dell'art. 7, cioé aver agito per favorire Cosa Nostra, ed anche l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 con riferimento al processo Bagarella + altri, quello sulla trattativa Stato-mafia.
Restava però la contestazione del favoreggiamento personale (art.378 comma 2 cp.) con l'aggravante di aver commesso il reato ricoprendo la funzione di ufficiali di Polizia giudiziaria (art.61 comma 9).

Se da una parte c'è stata l'assoluzione per i due ufficiali dall'altra la Corte ha anche disposto “la trasmissione alla Procura di Palermo di copia dei verbali e delle trascrizioni delle deposizioni rese da Mauro Olivieri, Francesco Randazzo, Pinuccio Calvi, Giuseppe Mangano, Roberto Longu e Sergio De Caprio (meglio noto come “Ultimo”), per valutare l'eventuale sussistenza del reato di falsa testimonianza”. I militari erano stati sentiti durante il dibattimento di secondo grado per riferire in merito ai fatti di Terme Vigliatore, con la mancata cattura del boss Benedetto Santapaola ed un assurdo inseguimento, svolto da parte degli uomini del Ros del capitano Sergio De Caprio, conclusosi con una sparatoria che per poco non uccideva il giovane Fortunato Giacomo Imbesi, scambiato per il latitante Pietro Aglieri.
La lettura del dispositivo è avvenuto in un clima surreale, alla presenza di ogni organo di informazione possibile (mai così presenti durante l'intero processo di secondo grado durato circa due anni). Né Mori, né Obinu erano presenti al momento della lettura della sentenza e sono stati informati dell'esito telefonicamente dall'avvocato Basilio Milio. Dopo la conferma dell'assoluzione il procuratore generale Roberto Scarpinato e il sostituto pg Luigi Patronaggio non hanno voluto rilasciare alcuna dichiarazione e si sono subito allontanati dall'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo evitando di parlare con i giornalisti.
Tra il pubblico vi era anche Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto ucciso il 5 agosto 1989 assieme alla moglie, incinta, Ida. Il suo volto era particolarmente deluso mentre usciva dall'aula. “La legge non è uguale per tutti. Lo Stato non vuole processare se stesso - ha commentato - Ci sono certi soggetti che sono intoccabili, come i politici, e cane non morde cane. Sono dei graduati e non pagano mai il conto, gli unici a pagare sono gli 'scassapagghiarì (i poveracci ndr). Quelli che hanno fatto davvero del male all'Italia non pagheranno mai".

http://www.antimafiaduemila.com/home/pr ... l-ros.html


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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda flaviomob il 20/05/2016, 11:16

Ne prendo atto.

Non costituisce reato in questo nostro sventurato paese rinunciare a catturare un latitante come Binnu Provenzano quando sarebbe stato possibile farlo, garantendogli così un ulteriore decennio di una già inverosimilmente lunga latitanza.

Non costituisce reato garantire ben 18 giorni di tempo a chi, dopo la sua cattura, doveva effettuare il trasloco della cassaforte di Totò Riina permettendogli addirittura di effettuare opere di ristrutturazione murarie e tinteggiatura delle pareti per nascondere ogni traccia.

Non costituisce reato la rinuncia ad approfittare della disponibilità di un collaboratore del calibro di Luigi Ilardo a guidare il Ros fino al casolare dove si nascondeva il latitante, anche se questa rinuncia ad Ilardo costerà la vita.

Non costituisce reato avviare e condurre una scellerata trattativa tra Stato e anti-Stato anche se questo significava l’affrettata esecuzione della condanna a morte di un servitore dello Stato che per questa trattativa costituiva un ostacolo insormontabile.

Non costituisce reato portare avanti questa trattativa anche quando, per alzarne il prezzo ed affrettarne la conclusione si rendono necessarie le stragi sul “continente”, in via Fauro, in via dei Georgofili e in via Palestro.

Non costituisce reato sottrarre dalla macchina ancora in fiamme di Paolo Borsellino una Agenda Rossa nelle cui pagine i nomi dei protagonisti di quella trattativa e gli assassini di Giovanni Falcone saranno statti scritti in lettere di fuoco.

Nome e fatti, quelli relativi alla strage di Capaci che Paolo aveva richiesto, e avrebbe finalmente potuto farlo il lunedì successivo, davanti a quella Procura di Caltanissetta che, ma anche questo non costituisce reato, non lo aveva ancora chiamato a deporre.

Non costituisce reato mantenere per più di venti anni una scellerata congiura del silenzio su quella trattativa anche se questo, con la distruzione di intercettazioni contenenti i colloqui di un indagato per falsa testimonianza nel processo per quella trattativa con l’allora Presidente della Repubblica, ha provocato un gravissimo vulnus al prestigio della più alta delle nostre Istituzioni.

di Salvatore Borsellino | 20 maggio 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... o/2748099/


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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda pianogrande il 20/05/2016, 18:14

Proprio così.

A parte il linguaggio farneticante del foglio (inquisizione, persecuzione; roba da mettersi a piangere), il vero scandalo è che "omissioni" di quel genere non costituiscano reato.

Insomma, colpevoli ma non condannabili.
Come per il non reato di tortura.

Finti servitori dello stato colpevoli ma non condannabili.

Il foglio santifica questa bruttissima gente.

Anche io ne prendo atto.
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda pianogrande il 31/05/2016, 23:40

Eccola qua "l'inquisizione".

http://firenze.repubblica.it/cronaca/20 ... ref=HREA-1

A chi può fare paura la nostra "giustizia"?
Tutti quei morti, 16 anni confermati e quel signore è ancora in giro.
Davvero incredibile.
Magari terrà anche qualche conferenza di gran richiamo o va a porta a porta.
Magari si lamenterà e il foglio gli dedicherà un bell'articolo sui danni da stress.
Mavalà.
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda ranvit il 02/06/2016, 15:13

Non mi pare che questo caso rientri tra quelli cui si riferisce il titolo del 3d :roll:


PS E comunque.....lo si doveva condannare a morte? :roll:
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda pianogrande il 02/06/2016, 19:08

ranvit ha scritto:Non mi pare che questo caso rientri tra quelli cui si riferisce il titolo del 3d :roll:


PS E comunque.....lo si doveva condannare a morte? :roll:


Visto che la pena non la sconta, lo si poteva anche condannare alla tortura della ruota con abbruciamento finale.
Si sarebbe solo fatto una risata più fragorosa.
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda ranvit il 03/06/2016, 7:57

Non sconta la pena????
Scherziamo?

Dove l'hai letto?
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda trilogy il 03/06/2016, 10:11

Il problema è che nel sistema di procedura penale bacato del "fatto", la voce indagato/avviso di garanzia, equivale a condanna in primo grado; "rinvio a giudizio" è condanna definitiva. Per cui quando qualcuno viene assolto, è un elemento assurdo che non compare nel loro sistema girudico. Di conseguenza la prescrizione è un imbroglio, l'assoluzione perchè il fatto non costituisce reato, è una condanna comunque; eventuali altre forme di assoluzione un errore di sistema.
Quando governeranno loro e i 5S, l'avviso di garanzia sarà sostituito dalla comunicazione di colpevolezza, e l'udienza preliminare, verrà sostituita dalla seduta per l'erogazione della pena. Naturalmente la figura dell'avvocato difensore verrà abolita per evitare inutili perdite di tempo.
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Re: Mori e il confine tra diritto e inquisizione

Messaggioda pianogrande il 03/06/2016, 11:13

ranvit ha scritto:Non sconta la pena????
Scherziamo?

Dove l'hai letto?


Su parecchi giornali.
Adesso ricorre sdegnato e contrito in cassazione.
Voglio vedere quanti altri anni passeranno.
I fatti sono avvenuti più di quattro anni fa; riconosciuto colpevole e con condanna confermata per la seconda volta se ne sta nella sua villa con "vista mozzafiato".
Credo proprio ci sia poco da "scherzare".
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