Le organizzazioni criminali internazionali
2 dicembre 2013
di Marco Giaconi
Le Organizzazioni Criminali Internazionali (d’ora in poi OCI) sono da sempre numerose e, ovunque, fortemente presenti nel tessuto economico, sociale, politico dei Paesi in cui tradizionalmente operano.
Se è possibile fare un censimento delle OCI – sia pure con gli evidenti limiti del caso – vediamo che in America Latina operano a tutt’oggi 56 organizzazioni criminali, tra grandi e piccole, più alcune strutture paramilitari e guerrigliere ormai strettamente collegate ai traffici illeciti, come per esempio il Sendero Luminoso in Perù[1], o le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) nelle aree di produzione della coca.
Soldati “rivoluzionari” a difesa dei territori di produzione della merce illecita – come era peraltro il caso della mafia siciliana negli anni in cui essa disponeva all’interno dell’isola – e di numerosi laboratori per la raffinazione dell’eroina e delle altre droghe psicotrope.
Territorio, diritto di passo e di controllo, reddito illecito. La sequenza delle organizzazioni criminali. Tanto maggiore il territorio controllato, tanto più elevato è il reddito potenziale, e meno facile però risulta il controllo dell’area. L’”equazione”, da sempre, di tutte le OCI.
Quasi tutte le OCI, detto per inciso, nascono da organizzazioni di “autodifesa” di gruppi etnici marginali, come è stato il caso delle “mafie” irlandese e ebraica negli USA del proibizionismo, o di quella degli emigranti italiani, sempre negli Stati Uniti[2].
Una marginalità che rende, fin dall’inizio, la lotta per le risorse naturalmente scarse (‘protezione’ delle attività legali, mercati della dipendenza e del vizio, riciclaggio dei proventi) una vera e propria guerra per bande, alla quale si applicano tutte le regole di una guerrilla.
È bene notare qui che, proprio nel caso del proibizionismo americano dal 1919 al 1933, le OCI si stabilizzano e fanno affari in un contesto in cui, in tutto il tessuto sociale, viene meno il netto confine tra lecito e illecito, tra legale e illegale.
L’illegalità di massa è il brodo di coltura primario delle OCI, ovunque esse operino. È la pubblicità di cui le Organizzazioni hanno bisogno, operando spesso in un contesto in cui il “bene” da loro venduto è fortemente voluto da molti consumatori, che però dovrebbero superare molti “costi di entrata” per acquisire droga, prostituzione, gioco d’azzardo.
Nelle organizzazioni criminali chi decide in ultima istanza, è il sovrano in termini schmittiani, colui che può rendere evidente una minaccia armata. È questo il nucleo del potere, nelle OCI.
Infatti anche le OCI cinesi e post-sovietiche si legano inestricabilmente alle identità etnico-nazionali che si ritengono, a torto o a ragione, marginalizzate, e hanno una lunga tradizione di resistenza armata al vero o presunto “oppressore”. O concorrente.
È il caso dei ceceni, semplicemente “tutti mafiosi” per il russo medio, o delle mafie ucraine e perfino delle reti dei Tre Cerchi in Cina, formate dalle ex Guardie Rosse già ristrette nei campi di concentramento dalla nuova dirigenza di Deng Xiaoping a Pechino, campi che erano descritti solo con dei semplici cerchi privi di indicazioni all’interno sulle carte militari cinesi.
In Asia – dove le loro attività si concentrano nella produzione e passaggio delle droghe dal Triangolo d’oro (tra Birmania-Myanmar, Laos e Thailandia) dove si produce il 60-70% dell’oppio e dell’eroina che inondano, anche oggi, unite alle reti afghane, i mercati globali[3] – le OCI sono in numero di 11, escluse quelle interne alla Cina continentale.
Negli Stati Uniti, abbiamo una rete di circa 39 organizzazioni criminali non etniche ma localistiche, mentre quelle tradizionali del mob di origine italiana sono ormai 33.
In Canada le OCI censite sono tutte di origine siculo-calabrese – in numero di 3 – e fanno da sponda, per loro stessa natura, alle “famiglie” oltreconfine, come al tempo di Joe Bonanno[4].
La mafia ebraica, la storica alleata dei siciliani all’inizio della storia criminale di La Cosa Nostra, sono attive ancora in numero di 13. In totale, tra USA e Canada operano ancora oggi ben 88 organizzazioni criminali.
A questo dato va aggiunta la rete delle mafie di origine afroamericana, che sono oggi 19, più le 20 OCI irlandesi ancora attive, il che porta il totale delle organizzazioni criminali in America del Nord al rilevante numero di 131.
In Europa, vi è uno strano dato, 6 “mafie” operanti tutte in Svezia, di origine serba, russa, italiana, USA e alcune autoctone, 7 operano invece in Francia[5], tra còrse[6] e no, e dobbiamo ricordare come la mafia còrsa “dette una mano” al governo di Parigi per eliminare l’OAS, 4 OCI operano in Irlanda, 2 in Spagna, 3 in Polonia e ben 8 in Romania[7], quasi tutte di origine italiana.
Per la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) è bene ricordarlo, nell’industria mafiosa italiana, ai vari livelli “nero” e “grigio” e nel sistema del riciclaggio è occupato il 27% degli abitanti attivi della Calabria, il 12% di quelli della Campania, il 10% in Sicilia. In totale, il 10% di tutta la popolazione in età da lavoro, nel Meridione d’Italia, “lavora”, a vario titolo, per le OCI.
In Sicilia, peraltro, sono oggi attive 11 “famiglie” mafiose, mentre sono 12 le principali ‘ndrine calabresi, con ben 17 gruppi camorristici operanti in Campania, tra scissioni e ricomposizioni.
Le varie OCI in Italia hanno poi prodotto ricavi per 25,7 miliardi di Euro, nel 2011, pari al 1,7 del PIL nazionale. I dati in fase di elaborazione oggi daranno risultati ancor più sconfortanti[8]. Le OCI balcaniche sono numerose: abbiamo censito ben 9 “mafie” in Albania, 4 in Bosnia, 4 ancora in Bulgaria, 5 in Serbia. Non è solo droga: qui si tratta di traffico di esseri umani, riciclaggio, armi.
Ma se tutto il mercato delle droghe vale oggi 300 miliardi di USD/anno, il sistema mafioso delle sostanze illecite sarebbe il 21esimo PIL nazionale al mondo, subito dopo quello della Svezia[9].
I flussi legali di armi valgono – per il 2012 -1,15 trilioni di USD, mentre la quota di commercio illegale delle armi è, secondo gli analisti, del 14,6% sul totale delle armi vendute ufficialmente[10].
La prostituzione è da sempre un ottimo business, con oltre 40 milioni di prostitute in attività in tutto il mondo, una legalizzazione totale o parziale in 22 Paesi, che genera un giro d’affari di 58 miliardi/anno di Dollari USA, con un traffico di persone costrette a questa attività di 2,5 milioni/anno, in tutto il mondo[11].
Le OCI cercano, nell’ambito della illegalità dei loro “prodotti”, quelli a maggiore margine unitario di rendimento netto.
Siano essi farmaci contraffatti[12], droghe, migranti, o altro, le organizzazioni criminali investono sempre nei business a maggiore rendimento medio, uniti alla rapidità della resa monetaria.
Più è lunga la catena nella realizzazione del guadagno, più è presente il rischio di essere scoperti o il pericolo di una deception, con qualcuno della banda che vuole mettersi in proprio.
Le mafie postsovietiche sono oggi in numero di 41, tra quelle propriamente etniche e le altre, più business-minded, maggiormente affini al modello di Cosa Nostra[13]. La regola è sempre quella di Giovanni Falcone: follow the money.
La rete illegale della Russia postsovietica ha perfino rubato l’intero importo di un finanziamento del FMI di 4,8 miliardi di USD, nel 1998[14].
Si può dire, senza tema di smentite, che la mafia russa è il prodotto della assoluta mancanza di controllo del territorio da parte del vecchio PCUS, mentre il KGB porta all’estero la maggior quantità di denaro possibile, sia per il riciclaggio che per l’investimento. Le varie correnti nel Comitato Centrale del PCUS gestivano, ognuna, un diverso conto cifrato in Svizzera[15].
Le reti della Yakuza, in Giappone, sono piccole ma numerosissime, si tratta di circa 243 gruppi divisi in 25 ‘famiglie’[16]. È probabile che il disastro della centrale atomica di Fukushima abbia a che fare con le reti finanziarie della Yakuza locale, legata all’impresa proprietaria della centrale[17]. Le reti yakuza, è bene ricordarlo, non sono di per sé proibite dalle normative giapponesi. E i governi, le forze politiche di Tokyo, lo sanno bene.
Le Triadi cinesi sono oggi in numero di circa 146, e operano in tutti i settori del crimine. Molti pensano che la rete triadica cinese sia, per la dimensione delle sue strutture finanziarie e per la grande facilità con la quale esercita il riciclaggio, anche per OCI russe, italiane, statunitensi, uno dei maggiori pericoli per la stabilità finanziaria del globo[18].
Il problema è che le organizzazioni criminali, ovunque nel mondo, riciclano gran parte dei loro proventi in titoli di Stato, e permettono il riciclaggio, dentro i loro canali, solitamente securizzati, della evasione fiscale di impresa e della corruzione politica. Difficile farne a meno per i sistemi politici attuali, quindi.
Nel Vicino Oriente le OCI sono rispettivamente (ma la realtà è sempre fluida, in questi casi) 5 in Israele, spesso derivate dalle reti della Mafyia russa, ben quattro in Turchia, legate al traffico primario di droga e oggi di esseri umani dall’Estremo Oriente verso l’Europa e le Americhe, ben 6 in Libano, per un totale di 20, senza dimenticare la finanza illecita delle reti qaediste e delle altre forse del “jihad della spada”.
La rete di Al Qaeda costa, e sono dati del 2010, 30 milioni di USD all’anno[19].
Si tratta di traffici illegali e di donazioni, spesso estorte con le minacce, da parte delle reti finanziarie informali presenti in tutto il mondo islamico e in gran parte dell’Estremo Oriente[20].
Quindi, possiamo dire che: 1) la massa della finanza illecita e delle organizzazioni che la gestiscono è troppo vasta per essere contrastata in modo efficace, 2) la logica delle OCI è legata al passaggio dal “nero” al “grigio” fino alla perfetta legalizzazione dei loro proventi, il “bianco” degli investimenti produttivi classici, 3) tanto maggiore è la crisi finanziaria globale tanto maggiore sarà la possibilità delle OCI di trasferire e “lavare” i loro fondi, con un effetto rilevantissimo sulla formazione e la gestione del decision making politico[21].
[1] v. Silvano Ceccoli, Il Ritorno di Sendero Luminoso, conflitti sociali e “guerra popolare” in Perù dal 2001 al 2005, Serravalle, Repubblica di San Marino, AIEP, 2006.
[2] v. Salvatore Lupo, Quando la Mafia trovò l’America, storia di un intreccio intercontinentale, 1888-2008, Torino, Einaudi, 2008.
[3] v. Christopher R. Cox, Chasing the Dragon: Into the Heart of the Golden Triangle, New York, Holt &C., 1997. L’armata di Khun Sa, capo della “Armata Unita dello Shan” e della “Mong Thai Army”, forniva, grazie anche al passaggio coperto dal Partito Comunista Cinese, oltre il 35% di tutto l’oppio e l’eroina che entravano annualmente negli USA. Per il ruolo del PCC nel commercio delle droghe, v. Fo Shih, An Exposure of Chinese Communist Drug Dealings in the “Golden Triangle”, Taipei, Hsueh Hai Publishers, 1978.
[4] v. Anthony Destefano, King of the Godfathers, New York, Kensington Press, 2006.
[5] v. Philip Gounev and Vincenzo Ruggiero (eds.) Corruption and Organized Crine in Europe, London, Routledge, 2012.
[6] v. Henner Hess, Mafia & Mafiosi, Origin Power and Myth, Bathurst,Crawford House, Australia, 2002.
[7] Francesco Forgione, Mafia Export, come ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra hanno colonizzato il mondo, Milano, Saggi Baldini Castoldi Dalai, 2009.
[8] v. <http://www.lavoce.info/difficile-fare-i-conti-in-tasca-alla-mafia> (ultima consultazione 2013-11-14).
[9] v. i dati attuali al link <http://www.unodc.org> (ultima consultazione 2013-11-14).
[10] v. <http://www.havocscope.com/tag/arms-trafficking> (ultima consultazione 2013-11-14).
[11] v. <http://findingjustice.org/prostitution-statistics> (ultima consultazione 2013-11-14).
[12] v. Howard Abadinsky, Organized Crime, New York, CengageBrain, 2012.
[13] v. <http://www.geneve.ch/violences-domestiques/doc/28-05-10.pdf > (ultima consultazione 2013-11-14).
[14] Statement of Richard Palmer, President of Cachet International Inc., the infiltration of the Western financial system by elements of Russian organized crime before the House Committee on Banking and Financial Services, held on September 21, 1999.
[15] v. Stuart Craigie, Russian Monopoly, Trafford Publishing, Victoria, 2004.
[16] v. <http://www.japanfocus.org/-Andrew-Rankin/3688> (ultima consultazione 2013-11-14).
[17] Jake Adelstein, How the Jakuza went nuclear, in “The Telegraph”, February 21, 2012.
[18] Martin Booth, The Dragon Syndicates, New York, Bantam Books, 2000.
[19] v. <http://www.cfr.org/terrorist-organizations-and-networks/al-qaedas-financial-pressures/p21347> (ultima consultazione 2013-11-14).
[20] v. Ibrahim Warde, The Price of Fear. The Truth Behind the Financial War on Terror, London, I.B. Tauris, 2007.
[21] M. Edelbacher, P. Kratcosky, M. Theil, (eds.) Financial Crimes: A Threat to Global Security, Taylor and Francic, CRC Press, 2012.
http://www.sicurezzanazionale.gov.it/si ... onali.html