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I Siciliani, vent'anni dopo

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I Siciliani, vent'anni dopo

Messaggioda flaviomob il 27/12/2013, 18:28

I Siciliani perché

“I Siciliani” vengono avanti nel grande spazio della informa­zione e della cultura, nel momento preciso in cui il problema del Meridione è diventato finalmente, anzi storicamente, il proble­ma dell’intera Nazione.
Lo spaventoso lampo di violenza, che una dopo l’altra, ha reciso la vita di uomini (Mattarella, Costa, Pio La Torre, Dalla Chiesa) al vertice della società, ha dramma­ticamente rappresentato e spiegato la dimensione della mafia e della sua immane potenza. Ma questo lampo ha svelato una veri­tà più alta e tragica: la mafia è dovunque, in tutta la società ita­liana, a Palermo e Catania, come a Milano, Napoli o Roma, an­nidata in tutte le strutture come un inguaribile cancro, per cui l’ordine di uccidere Dalla Chiesa può essere partito da un picco­lo bunker mafioso di Catania, o da una delle imperscrutabili stanze politiche della capitale.
E dietro la mafia, quel lampo sanguinoso ha fatto intravedere altri problemi immensi che per decenni sono stati considerati soltanto tragedie meridionali, cioè, secolari, inamovibili, distac­cate dal corpo vivo della Nazione e di cui semmai il Paese paga­va il prezzo di una convivenza, e che invece appartengono drammaticamente a tutti gli italiani, costretti a sopportarne il danno, spesso il dolore, talvolta la disperazione.
Il mortale inquinamento del territorio di Priolo, per cui miglia­ia di esseri umani sono stati condannati a vivere, otto, dieci anni di meno di quanto non potrebbero se vivessero altrove; la base dei missili atomici a Comiso, contro la quale, a cinquemila, sei­mila chilometri di distanza, sono perfettamente puntate altre te­state nucleari: entro i primi tre o quattro minuti dallo scoppio di un conflitto, mezza Sicilia e due milioni di esseri umani spari­rebbero nella folgore atomica; la ferocia dilagante della camorra che, subalterna e alleata della mafia, sta putrefacendo per sem­pre la grande anima napoletana; l’emigrazione meridionale al Nord, che dapprima è stata soprattutto speculazione del grande capitale sulla povertà, ignoranza, disponibilità di centinaia di migliaia di infelici, ed ora nei giorni della grande recessione s’è trasformata in una grande piaga sanguinosa che assedia le grandi città settentrionali: questi problemi che la Nazione conosceva e che però si rifiutò di riconoscere come suoi, sono apparsi nel lampo tragico di questi ultimi mesi. Tutto quello che accade a Milano, Roma, Venezia, Torino, nel bene e nel male, appartiene anche ai meridionali, ai siciliani. Quello che accade nel Meridio­ne e in Sicilia, il bene e il male, la paura, il dolore, la povertà, la violenza, la bellezza, la cultura, la speranza, i sogni, appartiene a tutta la Nazione.
“I Siciliani” giornale di inchieste in tutti i campi della società: politica, attualità, sport, spettacolo, costume, arte, vuole essere appunto il documento critico di una realtà meridionale che pro­fondamente, nel bene e nel male, appartiene a tutti gli italiani. Un giornale che ogni mese sarà anche un libro da custodire. Li­bro della storia che noi viviamo. Scritto giorno per giorno.
I Siciliani
(Giuseppe Fava, gennaio 1983)

http://www.isiciliani.it/i-siciliani-pe ... r2ntdLuLTo


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Re: I Siciliani, vent'anni dopo

Messaggioda pianogrande il 27/12/2013, 19:23

Certo che il problema della Sicilia riguarda tutta la nazione.
Nel senso del rapporto con la mafia (con le mafie), non è il nord che ha conquistato il sud ma l'esatto contrario.
Maroni e Salvini etc possono smaniare quanto vogliono ma questa è la triste realtà.
D'altra parte, la cultura del nord che vede solo il lavoro per riempire la vita, a livello politico è tragicamente perdente.
Abbiamo bisogno di prese di coscienza dalle quali l'artigiano brianzolo caro ai leghisti è lontano anni luce.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: I Siciliani, vent'anni dopo

Messaggioda flaviomob il 27/12/2013, 21:07

Chiedo scusa, ho qualche macroscopico problema nelle addizioni :lol: I vent'anni in realtà sono trenta.

===

La storia, il segno
Ormai mancano poche settimane. Chi ha a cuore la lotta alla mafia e la libertà di informazione si appresta a ri­cordare Pippo Fava a trent’anni dal suo assassi­nio.
Che avvenne a Catania la sera del 5 gennaio 1984. Quel delitto più che chiu­dere la bocca al direttore dei Si­ciliani ser­vì a fargli gridare con la voce cento volte più forte ciò che aveva gridato per anni in so­litudine: che la mafia esiste­va a Cata­nia, che aveva l’appoggio delle istitu­zioni, a partire dal Palazzo di giusti­zia, che era in­trecciata strettamente con i cele­bri “ca­valieri del lavoro”, da lui sopranno­minati i cavalieri “dell’apocalis­se mafio­sa”.
* * *
Da allora, sia pure per sbalzi e progres­sioni, l’Italia civile aprì meglio gli occhi. E vide e sentì quel che fino a quel mo­mento aveva avvertito come realtà evane­scente e folclorica. Era mafia che uccide­va, e parlava anche con la voce del sinda­co. Di quel signore inamidato che perfino ai funerali ebbe l’ardire pavido o compli­ce di negarne l’esistenza.
Trent’anni. Trascorsi in un’altalena di prese di coscienza, di movimenti giovani­li, di sussulti di massa e di riflussi infin­gardi. Di memorie vive e tonificanti e di oblio umiliante, per Catania naturalmente. Dai ragazzi che il giorno dell’anniversario si arrampicano uno sull’altro in via dello Stadio per cambiarle nome con un mera­viglioso cartello di cartone (“via Pippo Fava”) agli studenti di uno dei migliori li­cei cittadini che ventotto anni dopo pro­prio non sanno (e non per loro colpa) chi sia quel giornalista catanese di cui parla loro un ospite venuto da Milano.
Fava è oggi un punto di riferim­ento per la cultu­ra e il giornali­smo anti­mafiosi.
Il suo giornali­smo è anzi un mo­dello per la ine­sausta ca­pacità che ebbe di de­nunciare la pre­senza dei clan e dei loro af­fari non a rimorchio delle inchieste giudi­ziarie, ma nono­stante l’assenza di inchie­ste giudizia­rie. Di concepire il giornalista non come un onesto e curioso parassita dei pubblici ministeri ma come un orgo­glioso difen­sore in pro­prio della qualità dei rap­porti ci­vili, come fonte autono­ma di conoscenz­a e ve­rità.
* * *
Qui sta la sua gran­dezza. E que­sta idea del gior­nalismo egli sep­pe trasmet­tere a una nuo­va leva di giovani e giova­nissimi giornali­sti, disseminando le pro­prie con­vinzioni e la propria etica profess­ionale tra giovani che ancora non era­no nati in quel 1984 così lontano e così vici­no, come è eviden­te a chi legga queste stesse pagine..
Ritrovarsi a Catania il 5 gennaio non sarà dunque scelta convenzionale. Sarà un modo per riaffermare l’esistenza di una comunità intellettuale che vede nella sto­ria di Pippo Fava un segno, un insegna­mento, un monito. Non “severo”, come si dice, ma sanguigno e dirompente.
Per dare un senso più preciso alle pro­prie azioni rimettendosi a confronto con la storia quasi leggendaria di quell’uomo che seppe essere a un tempo trascinatore e lupo solitario.

http://www.isiciliani.it/la-storia-il-s ... r3POtLuLTo


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