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Saviano: "Io, prigioniero di Gomorra, lascio l'Italia ...

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Saviano: "Io, prigioniero di Gomorra, lascio l'Italia ...

Messaggioda franz il 15/10/2008, 8:09

La denuncia di Saviano: circondato dall'odio per le mie parole
Vado via perché voglio scrivere ed ho bisogno di stare nella realtà

"Io, prigioniero di Gomorra
lascio l'Italia per riavere una vita"

di GIUSEPPE D'AVANZO

Immagine
Roberto Savianio

ANDRO' via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...", dice Roberto Saviano. "Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. 'Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me".

La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d'animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un'imprevedibile popolarità, dall'odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall'invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo. "Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all'anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, "usarmi". E' come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell'attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell'energia sociale che - come un'esplosione, come un sisma - ha imposto all'agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. E' la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me. Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.... I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E' una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?".
Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna. Capita anche in queste ore, qui e lì. E' poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l'autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l'esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile.
E' poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l'ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l'inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.

Lo sento addosso come un cattivo odore l'odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l'onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell'infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell'esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell'infame ha scritto il libro. E quest'argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l'intera comunità può liberarsi della malattia che l'affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell'inciviltà e dell'impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. E' il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l'informazione. Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro - potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L'ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo - lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest'ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: "Robe', tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là"".

A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia italiana.
La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in un'area d'indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.

(15 ottobre 2008)
www.repubblica.it

Video:
http://tv.repubblica.it/copertina/savia ... 5162?video
http://tv.repubblica.it/copertina/savia ... 5163?video
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Re: Saviano: "Io, prigioniero di Gomorra, lascio l'Italia ...

Messaggioda Gab il 17/10/2008, 17:32

Capisco che Maroni debba esaltare i propri "dipendenti" ma dimentica la diversita' dei ruoli.
Credo che nella fretta si sia dimenticato di dire che ognuno fa la sua parte.
Almeno in questo momento.


da http://www.repubblica.it/2008/10/sezion ... viano.html

Il ministro dell'Interno: "E' un simbolo, ma non il simbolo della lotta ai criminali"
E ancora: "Non è da oggi che si combatte la camorra, si fa da anni in silenzio"
Maroni "ridimensiona" Saviano
"La lotta al crimine la facciamo noi"


NAPOLI - Parole forti, perfino frecciate polemiche, del ministro degli Interni Maroni a Roberto Saviano. "E' un simbolo - dice il ministro - ma non è il simbolo. La lotta alla criminalità organizzata la fanno poliziotti, carabinieri, magistrati, imprenditori che sono in prima linea ma non sulle prime pagine dei giornali".

Il titolare del Viminale è a Napoli, dove a margine della firma di un protocollo per la legalità con gli imprenditori si augura che lo scrittore non lasci l'Italia "perché contribuisce con la sua immagine al contrasto alla crimininalità organizzata", ma anche perchè non ritiene "una buona idea quella di andarsene. Non mi pare ci sia certezza di evitare la vendetta camorristica che non ha confini".

Poi Maroni ribadisce: "Non è da oggi che si combatte la camorra, lo si fa da sempre in silenzio. Al di là della risonanza mediatica e della vicenda personale di Saviano la lotta alla criminalità organizzata si fa quotidianamente da parte di tutte le forze dello stato, sempre più con il coinvolgimento dei cittadini".

"Non vorrei ridurre lo Stato nella sua azione - conclude il ministro - a una personificazione".
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Re: Saviano: "Io, prigioniero di Gomorra, lascio l'Italia ...

Messaggioda pianogrande il 17/10/2008, 22:15

Poi Maroni ribadisce: "Non è da oggi che si combatte la camorra, lo si fa da sempre in silenzio. Al di là della risonanza mediatica e della vicenda personale di Saviano la lotta alla criminalità organizzata si fa quotidianamente da parte di tutte le forze dello stato, sempre più con il coinvolgimento dei cittadini".

[/quote]

Benissimo!
Lo stato fa la sua parte con le forze dell'ordine?
Saviano fa la sua parte per "il coinvolgimento dei cittadini".
A livello socio-culturale, Saviano contribuisce a smitizzare l'immagine del camorrista.
Ce lo fa vedere come delinquente e codardo cercando do togliergli la terra sotto i piedi costituita dal prestigio che, purtroppo, questa gente ha presso la popolazione locale.
Un giorno, i normali cittadini riusciranno a fare della correttezza e della onestà, la loro forza e non la loro debolezza anche grazie a quelli come Saviano.
Penso, comunque, che lo stato, oltre a mandare reggimenti di parà nelle strade, debba mandare reggimenti di ragionieri laddove la camorra può essere combattuta con amaggiore efficacia.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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La reazione popolare un effetto lo ha avuto...

Messaggioda annalu il 18/10/2008, 19:00

...Maroni ha precisato di "essere stato frainteso", e forse Saviano potrà restare in Italia, magari al sicuro, anche senza scorta, almeno questo è il nostro augurio.
Repubblica.it:
Il ministro dell'Interno aveva detto "non è l'unico simbolo della lotta antimafia"
Oggi la precisazione: "E' un ragazzo coraggioso ma non bisogna caricarlo di responsabilità"
Maroni: "Frainteso su Saviano
Lo Stato gli è sempre vicino"


Roberto Maroni, ministro dell'InternoSAINT-VINCENT - "Su Saviano sono stato frainteso. Ho voluto fargli un favore, dirgli che lo Stato gli è vicino, che gli garantiamo il massimo livello di sicurezza ma anche affermare che non spetta solo a lui farsi carico della lotta alla criminalità". Il ministro Roberto Maroni - intervenendo a Saint-Vincent all'incontro su immigrazione e sicurezza organizzato dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin - è ritornato sul caso Saviano, spiegando le dichiarazioni di ieri in cui aveva sostenuto che lo scrittore è un simbolo della lotta alla criminalità e non il simbolo.

"Conosco Saviano, è un ragazzo molto coraggioso - prosegue il ministro dell'Interno - ma non è un bene per lui caricargli addosso tutte queste responsabilità, perchè non lo fanno vivere bene, non può essere lui da solo a farsi carico nell'immaginario collettivo della lotta alla criminalità. E' una semplificazione che non va bene per lui e non fa onore alle migliaia di persone, magistrati, poliziotti e carabinieri, che tutti i giorni combattono contro la criminalità".

Le parole pronunciate ieri da Maroni suonavano come una presa di distanza dallo scrittore di Gomorra. A Napoli per la firma di un protocollo per la legalità nella sede dell'Associazione industriali, il ministro dell'Interno aveva detto: "Al di là della risonanza mediatica e della vicenda personale di Saviano, la lotta alla criminalità la fanno ogni giorno polizia, magistratura, imprenditori, in prima linea magari senza gli onori delle cronache dei giornali. Non vorrei ridurre lo Stato a una personificazione. Gli garantiamo il massimo livello di protezione. Mi auguro che voglia rimanere in Italia. Non credo sia una buona idea andarsene. E dove, poi? Se la camorra vuole vendicarsi, lo fa, la vendetta camorristica non ha confini. Siamo al suo fianco".

E non si fermano le manifestazioni di solidarietà nei confronti di Roberto Saviano. In rete impazzano forum e messaggi. Preso d'assalto il sito de l'Espresso che raccoglie i messaggi da indirizzare allo scrittore. Al fianco di Saviano magistrati come il procuratore reggente di Bologna, Silverio Piro e il pm di Potenza, Henry John Woodcok. Venerdì 24 ottobre, nella sede del Palazzo delle Arti di Napoli, è in programma la lettura pubblica di "Gomorra" promossa dall'assessore regionale al Turismo, Claudio Velardi. Il sociologo Domenico De Masi propone sulle pagine di Repubblica Napoli, di assegnare a Saviano il Nobel per la Pace. Anche gli studenti napoletani, ieri in piazza contro la riforma Gelmini, hanno annunciato una manifestazione a favore dello scrittore.
(18 ottobre 2008)


E Saviano su Corriere.it:

SAVIANO E LA POLEMICA CON MARONI
Lo scrittore: «Ma io resisto
In molti stanno con me»

Incontro con il premio Nobel Orhan Pamuk e il premio a Francoforte: «Per ora sono qui, poi vediamo»

FRANCOFORTE — «Grazie davvero per tutta questa attenzione. Per me, per noi, raccontare significa trasformare. In altre parti di Europa gli autori hanno minore necessità di raccontare per trasformare. Da noi l'importante è resistere. Ma in questo momento difficile ho trovato in Italia tante persone che vogliono trasformare la realtà in cui vivono, e che sono con me».

Alle 22.10 di venerdì sera, salutato dall'applauso di tutta platea dell'Alte Oper di Francoforte, in piedi, Roberto Saviano ha ricevuto il premio per la miglior traduzione in film di opera letteraria, assegnatogli dalla film-commission del Land dell'Assia. Per Gomorra, appunto, il film di Matteo Garrone già vincitore del premio speciale a Cannes. Garrone non era venuto, è toccato a lui salire sul palco a ricevere e del premio della film-commission del Land dell'Assia. A presentare Saviano c'erano il direttore della Fiera del libro, Jurgen Boos, e il regista premio Oscar ( Il tamburo di latta), Volker Schlöndorff. Quest'ultimo ha elogiato il coraggio e la qualità del film, che si ricollega ai momenti più alti del grande cinema italiano: al neorealismo, a Francesco Rosi ( Le mani sulla città), Pasolini. Si concludeva così, la trasferta a Francoforte di Roberto Saviano (nell'emozione del momento, Schlöndorff lo ha chiamato due volte Renato). Tutto era cominciato giovedì sera, al Frankfurterhof, con la cena dell'editore tedesco Hanser, lo stesso che pubblica il Nobel Orhan Pamuk con il quale si sono salutati. Ieri, lo scrittore di Gomorra ha voluto fare un giro per la Fiera. Questo era il suo primo Francoforte.

Scortato da tre guardie del corpo tedesche, ha cominciato il suo giro proprio dalla stand di Hanser: qui lo ha accolto e abbracciato Michael Krueger, direttore della casa editrice. A un giornalista tedesco che gli chiedeva come si vive sotto scorta, Saviano ha risposto: «Ci si abitua a tutto». Anche alla mancanza di libertà? «La vera libertà è quella che hai nella testa, ce lo ha insegnato Rushdie». Poi si è fatto fotografare, davanti al suo ritratto, grandissimo, sul muro dello stand. Accanto al suo c'è il ritratto di Obama. Da lì, è passato al padiglione americano, allo stand del suo editore Farrar Strass & Giroux. Infine, è andato al padiglione italiano, allo stand Mondadori. Raccontava che la sera prima, il tassista, informatosi su chi era, gli ha detto di aver visto il film Gomorra, e che gli era piaciuto molto. Tre ragazzi intanto erano usciti uno stando dove stavano lavorando. «Roberto, siamo di Napoli, grazie di tutto!» gli hanno detto stringendogli le mani. «Hai detto due giorni fa che lasciavi l'Italia e ora sei già qui: che hai deciso?». «Per ora sono alla Fiera, poi si vedrà».
Ranieri Polese, 18 ottobre 2008
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Re: Saviano: "Io, prigioniero di Gomorra, lascio l'Italia ...

Messaggioda Gab il 29/10/2008, 23:48

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