Amici della rete, occhio a quel che succede a Dubai dal 3 al 14 dicembre. L’ITU, Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, riunisce in sessione i suoi 193 Paesi membri, e tra le mille altre cose ha all’ordine del giorno un paio di proposte che potrebbero scardinare alcune delle regole che sin qui hanno presieduto alla libertà della rete. In teoria tutto il mondo libero dovrebbe fare blocco comune, contro le proposte dei “cattivi”. Ma il diavolo vuole che a fianco dei maggiori controlli nazionali sulla libertà di traffico ci sia anche una proposta che fa gola alle grandi telcos europee, e cioè che gli Over the Top paghino nazionalmente per il traffico che originano dagli USA. Vedremo se la libertà occidentale farà fronte comune, oppure se le grandi compagnie telefoniche romperanno la linea, in nome dei propri bilanci.
È la Russia, insieme ai Paesi africani e a quelli arabi e musulmani, ad avanzare la richiesta che unisce la tracciabilità delle attività degli utenti a un prelievo sul traffico Internet. Secondo le dichiarazioni ufficiali ribadite dal commissario europeo Neelie Kroes, l’UE dei 27 è fermamente contraria a piani radicali per regolare Internet. “La rete funziona, ed è la massima garanzia di libera trasmissione di dati e informazioni – ha detto la Kroes – ergo non si ripara ciò che non è guasto”. Gli Stati Uniti, che svolgono un ruolo dominante in rete tramite ICANN, l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, si oppongono fermamente a nuove restrizioni, che limitino l’innovazione e il commercio. Al loro fianco Canada, Australia, Nuova Zelanda, Messico e una quarantina di paesi terzi. Ma se Russia, Islam e Africa avranno il sostegno della Cina, potrebbero essere dolori.
Bozze trapelate di una proposta dalla Russia attestano che vorrebbe avere più voce in capitolo sul traffico entrante sulle sue reti. “Gli Stati membri hanno il diritto sovrano di regolare il segmento nazionale di Internet”, recita la proposta. Dura la reazione preventiva di Terry Kramer, l’ambasciatore USA presso l’ITU. I piani di Mosca darebbero ai governi “il diritto di instradare il traffico e di rivedere i contenuti, affermando che è tutta una questione meramente nazionale, ma sarebbe una limitazione potenzialmente profonda alla libertà di parola e di commercio”.
Accordi che consentissero ai governi un pastore nazionale sulle greggi Internet attenterebbero agli interessi commerciali di Washington perché la maggior parte dei contenuti su Internet proviene dagli USA, è memorizzato o instradato attraverso gli Stati Uniti. Da Google a Facebook, da Twitter a Yahoo!, tutti in America stanno. Però su questo secondo aspetto ci sono anche appetiti europei, volti a limitare gli enormi profitti che i fornitori di contenuti realizzano senza pagare sui loro servizi forniti all’estero. Sono le grandi telcos europee a chiedere ormai apertamente che Google, Skype e Facebook paghino per il loro traffico che satura le reti, realizzate e ampliate dalle telcos senza alcun contributo. Il party sender pays, il principio per cui l’OTT deve contribuire come fonte originatrice del traffico a vantaggio proprio, sia in termini di revenues a pagamento sia come storage dei dati e profili di consumo dei fruitori, non è più solo sostenuto dal Camerun, il primo Paese ad aver avanzato tale proposta. Deutsche Telekom ha chiesto la stessa cosa. Idem ha fatto recentemente il capoazienda di Telecom Italia, Franco Bernabè.
In termini pratici, chi paragona il traffico Internet al francobollo pagato all’origine per la consegna postale internazionale dimentica però che il traffico in rete attraversa di solito una mezza dozzina di reti in diversi Paesi, prima di manifestarsi nel browser di un utente. “È un’idea ridicola”, dicono alla Computer and Communications Industry Association, la lobby di cui fanno parte Facebook e Microsoft.
La questione è delicata. È ovvio, almeno per me, che la balcanizzazione di Internet con barriere ufficiali nazionali debba essere duramente contrastata, in nome della libertà dei Paesi più poveri e a regimi autoritari. È scontato che se passa il principio che si paga per fornire contenuti, a farlo saranno solo i giganti, perché ciò costituice una barriera all’entrata. In termini economici, per i Paesi in via di sviluppo significherebbe darsi la zappa sui piedi, perché un minore accesso a Internet significa minor produttività a basso costo. Ma è anche vero che il problema di accordi che introducano il principio del cofinanziamento alle infrastrutture che si attraversano e si saturano non è campato in aria, dal punto di vista economico. L’Europa dovrebbe negoziarlo però con gli Usa direttamente, escludendo ogni appoggio alle sbarre illiberali anti Internet di Cina, Russia e islamisti.
Oscar Giannino http://www.chicago-blog.it/2012/12/03/i ... rta-e-ott/