Travaglio: Lettera al presidente del Senato

Lettera al presidente del Senato
di Marco Travaglio
l'Unità
Gentile Presidente del Senato, avv. sen. Renato Schifani, chi Le scrive è un
modesto giornalista che ha avuto la ventura di occuparsi talvolta di Lei per
motivi professionali. L'ultima - forse lo ricorderà - fu nel mese di maggio,
quando Lei ascese alla seconda carica dello Stato e io pubblicai una sua
breve biografia sull'Unità e nel libro "Se li conosci li eviti" (scritto con
Peter Gomez) che poi presentai su Rai3 a "Che tempo che fa". Anzitutto mi
consenta di congratularmi con Lei per la Sua recentissima invulnerabilità
penale, in virtù del Lodo Alfano, figlio legittimo del Lodo Schifani già
dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004 e prontamente replicato
in questa legislatura, anche grazie alla fulminante solerzia con cui Lei l'ha
messo all'ordine del giorno di Palazzo Madama. E' davvero consolante, per un
cittadino comune, apprendere che da un paio di giorni l'articolo 3 della
Costituzione è sospeso con legge ordinaria approvata in 25 giorni, e che
dall'altroieri esistono quattro cittadini più uguali degli altri dinanzi
alla legge, come i maiali della "Fattoria degli animali" di George Orwell.
Il fatto poi che Lei faccia parte del quartetto degli auto-immuni è per
tutti noi motivo di ulteriore soddisfazione.
Si dà il caso, però, che Lei mi abbia recentemente fatto recapitare in busta
verde, da ben tre avvocati (uno dei quali pare sia un Suo socio di studio),
un atto di citazione presso il Tribunale civile di Torino affinchè io vi
compaia per essere condannato a risarcirLa dei presunti danni, patrimoniali
e non, da Lei patiti a causa del mio articolo sull'Unità e della mia
partecipazione al programma di Fabio Fazio. Danni che Lei ha voluto
gentilmente quantificare in appena 1,3 milioni di euro. A carico mio, s'intende.
Tutto ruota, lo ricorderà, intorno al fatto che avevo osato ricordare come
Lei, alla fine degli anni 70, fosse socio nella Sicula Broker di due
personaggi poi condannati e arrestati per mafia, Benny D'Agostino e Nino
Mandalà; e che negli anni 90 Lei abbia prestato una consulenza in materia
urbanistica per il Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia in
quanto ritenuto nelle mani dello stesso boss Mandalà. Circostanze che Lei
non ha potuto negare neppure nel suo fantasioso e spiritoso atto di
citazione (ho molto apprezzato i passaggi nei quali Lei fa rientrare quei
fatti nell'ambito dei "commenti sulla vita privata delle persone"; e mi
rimprovera di non aver rammentato come Lei sia stato socio non solo di
persone poi risultate mafiose, ma anche di altri "noti imprenditori mai
coinvolti in episodi giudiziari", e come Lei abbia prestato consulenze non
solo per comuni poi sciolti per mafia, ma anche per altri enti locali mai
sciolti per mafia).
Ora, sul merito della controversia, decideranno i giudici. Ma non Le
sfuggirà la sproporzione delle forze in campo, sulla bilancia della
Giustizia, fra la seconda carica dello Stato e un umile cronista: i giudici,
già abbondantemente vilipesi e intimiditi negli ultimi anni da Lei e dai
Suoi sodali, sapranno che dar torto a Lei significa dar torto al secondo
politico più importante del Paese, mentre dar torto a me è davvero poca
cosa. E' questo oggettivo squilibro che, in tempi e in paesi normali,
consiglia a chi ricopre importanti cariche pubbliche di spogliarsi delle
proprie liti private, per dedicarsi in esclusiva agli interessi di tutti i
cittadini. Lei invece non solo non si è spogliato delle Sue liti private, ma
ne ha addirittura ingaggiata una nuova (con me) dopo aver assunto la
presidenza del Senato. Ora però quello squilibrio diventa davvero abissale
in conseguenza della Sua sopraggiunta invulnerabilità. In pratica, se io
volessi querelarLa per le infamanti accuse che Lei mi muove nel Suo atto di
citazione, non avrei alcuna speranza di ottenere giustizia in tempi
ragionevoli, perché il Lodo Alfano La mette al riparo da qualunque
conseguenza penale delle Sue parole e azioni, imponendo la sospensione degli
eventuali processi a Suo carico. Lei può dire e fare ciò che vuole, e io no.
Riconoscerà che, dal mio punto di vista, la situazione è quantomai
inquietante.
Ma c'è di più e di peggio. L'anno scorso l'ex presidente del consiglio
comunale di Villabate, Francesco Campanella, indagato per mafia a causa dei
suoi rapporti con la cosca Mandalà e con Bernardo Provenzano, ha raccontato
ai giudici antimafia di Palermo che il nuovo piano regolatore di Villabate
era stato addirittura "concordato" da lei e dal senatore La Loggia con il
solito Mandalà. Lei e La Loggia annunciaste subito querela. E da allora i
magistrati antimafia stanno verificando se Campanella si sia inventato tutto
o magari dica la verità. Io Le auguro e mi auguro, visto che Lei ora
rappresenta l'Italia ai massimi livelli, che prevalga la prima ipotesi. Ma,
nella malaugurata evenienza che prevalesse la seconda, il Lodo Alfano
impedirebbe alla magistratura di processarLa, almeno per i prossimi cinque
anni, finchè terminerà la legislatura e, con essa, svanirà il Suo
preziosissimo scudo spaziale. Converrà con me, Signor Presidente, che nella
causa civile che Lei mi ha intentato la conclusione di quelle indagini
sarebbe comunque decisiva per valutare la mia posizione: sia che le accuse
di Campanella trovino conferma, sia che trovino smentita, sarebbe difficile
sostenere che io non abbia esercitato il mio diritto-dovere di cronaca,
segnalando ai cittadini una vicenda di così bruciante attualità e interesse
pubblico. Detta in altri termini: non vorrei che la causa civile da Lei
intentatami si concludesse prima delle indagini sul caso
Campanella-Villabate, magari in conseguenza del blocco di quel procedimento
per via del Lodo Alfano. Essere condannato a versarle 1 milione o anche 1
euro, e poi scoprire a cose fatte di aver avuto ragione, sarebbe per me
estremamente seccante.
L'altro giorno, con nobile gesto, il presidente della Camera Gianfranco Fini
ha rinunciato preventivamente al Lodo, dando il via libera al processo che
lo vede imputato per diffamazione ai danni del pm Henry John Woodcock. Mi
rivolgo dunque a Lei, e alla prima carica dello Stato che quel Lodo ha così
rapidamente promulgato, affinchè rassicuriate noi cittadini su un punto
fondamentale: o ritirate le vostre denunce penali e civili finchè sarete
protetti dallo scudo spaziale, oppure rinunciate preventivamente al Lodo in
ogni eventuale processo che potesse eventualmente influenzare, direttamente
o indirettamente, l'esito di quelle cause. In attesa di un Suo cortese
riscontro, porgo i miei più deferenti saluti.
di Marco Travaglio
l'Unità
Gentile Presidente del Senato, avv. sen. Renato Schifani, chi Le scrive è un
modesto giornalista che ha avuto la ventura di occuparsi talvolta di Lei per
motivi professionali. L'ultima - forse lo ricorderà - fu nel mese di maggio,
quando Lei ascese alla seconda carica dello Stato e io pubblicai una sua
breve biografia sull'Unità e nel libro "Se li conosci li eviti" (scritto con
Peter Gomez) che poi presentai su Rai3 a "Che tempo che fa". Anzitutto mi
consenta di congratularmi con Lei per la Sua recentissima invulnerabilità
penale, in virtù del Lodo Alfano, figlio legittimo del Lodo Schifani già
dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004 e prontamente replicato
in questa legislatura, anche grazie alla fulminante solerzia con cui Lei l'ha
messo all'ordine del giorno di Palazzo Madama. E' davvero consolante, per un
cittadino comune, apprendere che da un paio di giorni l'articolo 3 della
Costituzione è sospeso con legge ordinaria approvata in 25 giorni, e che
dall'altroieri esistono quattro cittadini più uguali degli altri dinanzi
alla legge, come i maiali della "Fattoria degli animali" di George Orwell.
Il fatto poi che Lei faccia parte del quartetto degli auto-immuni è per
tutti noi motivo di ulteriore soddisfazione.
Si dà il caso, però, che Lei mi abbia recentemente fatto recapitare in busta
verde, da ben tre avvocati (uno dei quali pare sia un Suo socio di studio),
un atto di citazione presso il Tribunale civile di Torino affinchè io vi
compaia per essere condannato a risarcirLa dei presunti danni, patrimoniali
e non, da Lei patiti a causa del mio articolo sull'Unità e della mia
partecipazione al programma di Fabio Fazio. Danni che Lei ha voluto
gentilmente quantificare in appena 1,3 milioni di euro. A carico mio, s'intende.
Tutto ruota, lo ricorderà, intorno al fatto che avevo osato ricordare come
Lei, alla fine degli anni 70, fosse socio nella Sicula Broker di due
personaggi poi condannati e arrestati per mafia, Benny D'Agostino e Nino
Mandalà; e che negli anni 90 Lei abbia prestato una consulenza in materia
urbanistica per il Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia in
quanto ritenuto nelle mani dello stesso boss Mandalà. Circostanze che Lei
non ha potuto negare neppure nel suo fantasioso e spiritoso atto di
citazione (ho molto apprezzato i passaggi nei quali Lei fa rientrare quei
fatti nell'ambito dei "commenti sulla vita privata delle persone"; e mi
rimprovera di non aver rammentato come Lei sia stato socio non solo di
persone poi risultate mafiose, ma anche di altri "noti imprenditori mai
coinvolti in episodi giudiziari", e come Lei abbia prestato consulenze non
solo per comuni poi sciolti per mafia, ma anche per altri enti locali mai
sciolti per mafia).
Ora, sul merito della controversia, decideranno i giudici. Ma non Le
sfuggirà la sproporzione delle forze in campo, sulla bilancia della
Giustizia, fra la seconda carica dello Stato e un umile cronista: i giudici,
già abbondantemente vilipesi e intimiditi negli ultimi anni da Lei e dai
Suoi sodali, sapranno che dar torto a Lei significa dar torto al secondo
politico più importante del Paese, mentre dar torto a me è davvero poca
cosa. E' questo oggettivo squilibro che, in tempi e in paesi normali,
consiglia a chi ricopre importanti cariche pubbliche di spogliarsi delle
proprie liti private, per dedicarsi in esclusiva agli interessi di tutti i
cittadini. Lei invece non solo non si è spogliato delle Sue liti private, ma
ne ha addirittura ingaggiata una nuova (con me) dopo aver assunto la
presidenza del Senato. Ora però quello squilibrio diventa davvero abissale
in conseguenza della Sua sopraggiunta invulnerabilità. In pratica, se io
volessi querelarLa per le infamanti accuse che Lei mi muove nel Suo atto di
citazione, non avrei alcuna speranza di ottenere giustizia in tempi
ragionevoli, perché il Lodo Alfano La mette al riparo da qualunque
conseguenza penale delle Sue parole e azioni, imponendo la sospensione degli
eventuali processi a Suo carico. Lei può dire e fare ciò che vuole, e io no.
Riconoscerà che, dal mio punto di vista, la situazione è quantomai
inquietante.
Ma c'è di più e di peggio. L'anno scorso l'ex presidente del consiglio
comunale di Villabate, Francesco Campanella, indagato per mafia a causa dei
suoi rapporti con la cosca Mandalà e con Bernardo Provenzano, ha raccontato
ai giudici antimafia di Palermo che il nuovo piano regolatore di Villabate
era stato addirittura "concordato" da lei e dal senatore La Loggia con il
solito Mandalà. Lei e La Loggia annunciaste subito querela. E da allora i
magistrati antimafia stanno verificando se Campanella si sia inventato tutto
o magari dica la verità. Io Le auguro e mi auguro, visto che Lei ora
rappresenta l'Italia ai massimi livelli, che prevalga la prima ipotesi. Ma,
nella malaugurata evenienza che prevalesse la seconda, il Lodo Alfano
impedirebbe alla magistratura di processarLa, almeno per i prossimi cinque
anni, finchè terminerà la legislatura e, con essa, svanirà il Suo
preziosissimo scudo spaziale. Converrà con me, Signor Presidente, che nella
causa civile che Lei mi ha intentato la conclusione di quelle indagini
sarebbe comunque decisiva per valutare la mia posizione: sia che le accuse
di Campanella trovino conferma, sia che trovino smentita, sarebbe difficile
sostenere che io non abbia esercitato il mio diritto-dovere di cronaca,
segnalando ai cittadini una vicenda di così bruciante attualità e interesse
pubblico. Detta in altri termini: non vorrei che la causa civile da Lei
intentatami si concludesse prima delle indagini sul caso
Campanella-Villabate, magari in conseguenza del blocco di quel procedimento
per via del Lodo Alfano. Essere condannato a versarle 1 milione o anche 1
euro, e poi scoprire a cose fatte di aver avuto ragione, sarebbe per me
estremamente seccante.
L'altro giorno, con nobile gesto, il presidente della Camera Gianfranco Fini
ha rinunciato preventivamente al Lodo, dando il via libera al processo che
lo vede imputato per diffamazione ai danni del pm Henry John Woodcock. Mi
rivolgo dunque a Lei, e alla prima carica dello Stato che quel Lodo ha così
rapidamente promulgato, affinchè rassicuriate noi cittadini su un punto
fondamentale: o ritirate le vostre denunce penali e civili finchè sarete
protetti dallo scudo spaziale, oppure rinunciate preventivamente al Lodo in
ogni eventuale processo che potesse eventualmente influenzare, direttamente
o indirettamente, l'esito di quelle cause. In attesa di un Suo cortese
riscontro, porgo i miei più deferenti saluti.