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dossier-telecom/verita-tavaroli

Garantire insieme: sicurezza e giustizia uguale per tutti; privacy e diritto del cittadino all'informazione

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Messaggioda franz il 23/07/2008, 9:43

Tavaroli: "Tronchetti mi ordinò
un dossier sui soldi ai ds"

di GIUSEPPE D'AVANZO

GIULIANO Tavaroli dice: "Quando Pirelli acquisisce Telecom Italia, agosto 2001, Marco Tronchetti Provera mi annuncia: "Lei verrà con me a Roma". Poi mi chiama Carlo Buora. Lo incontro a Milano in trasferimento dalla montagna al mare - ero in vacanza con i miei - e quello mi dice che non se ne fa più nulla. Mi spiega: "Contrordine, lei resterà in Pirelli, Enrico Bondi (all'epoca, amministratore delegato) vuole con sé in Telecom un altro. Naturalmente ne parlo con Tronchetti Provera che mi rassicura: "Lei si occuperà delle mie cose romane". Le sue "cose romane" erano i suoi guai romani. E c'erano guai dappertutto, in quel momento".

"Gasparri (il ministro delle Telecomunicazioni) non gli piaceva e Tronchetti non piaceva a Gasparri. In estate, al festival dell'Unità di Rimini, Massimo D'Alema lo attacca a testa bassa...
Ho già detto che una concezione moderna della sicurezza (che è reputazione, soprattutto) deve fronteggiare anche - o soprattutto - quella roba lì, gli attacchi politici, le ostilità di parte, i pregiudizi, i veleni. Deve saper leggere e anticipare le iniziative avverse, condizionare le mosse dei rivali o ridurli al silenzio. E' un lavoro che si nutre di conoscenza. Conoscenza dell'avversario, delle sue ragioni più autentiche e nascoste, ma è anche "sapere" e dunque capacità di adattarsi a quella "emergenza" o sventandola o ridimensionandola. In gergo, le chiamiamo "analisi del rischio" e "analisi di scenario". In quell'avvio di gestione della Telecom, ne avevamo bisogno come dell'aria. Il momento intorno a noi era sconfortante. Non c'era stato soltanto l'11 settembre, c'erano ancora le macerie dello sgonfiamento della bolla speculativa, la catastrofe dei bond argentini".

(Tavaroli qui svela - e nemmeno troppo velatamente - il lavoro di spionaggio a cui, sostiene, "nessuna azienda rinuncia". Lo riduce a raccolta di informazioni, a "mappatura" - diciamo così - dei caratteri, delle opinioni, delle forze e delle debolezze dei potenti, vecchi e nuovi, che, di volta in volta, Tronchetti deve fronteggiare, rassicurare, tenere alla larga. La "conoscenza", come la definisce, è soltanto il punto di partenza del suo lavoro. Per questi giocatori, per questo gioco, è la mossa d'apertura, il livello minimo richiesto per poter entrare in campo. La differenza vera la fa il "sapere", la combinazione di competenze multiple che rende possibili scambi, pratiche, compatibili assunzioni di rischi, la creazione di qualche minacciosa favola da diffondere. Tavaroli adopera un altro vocabolario, un'altra sintassi. Parla di "analisi delle forze in campo", di "amici/nemici" ma, in soldoni, non è che l'esito sia diverso. Sempre di spionaggio si parla. La scena pare questa. Marco Tronchetti Provera, arrivato in Telecom, è consapevole di essere uno "straniero" nella geografia del potere. Le leve del comando - i primi governi Berlusconi hanno un peso politico debole, frammentato, privi di una strategia di lungo periodo, stretti intorno a un uomo solo interessato esclusivamente al proprio destino personale e imprenditoriale - sono custodite e sostenute da uno schema "antico" che Tavaroli, come ambasciatore di Tronchetti, ha incontrato nel giro delle sette chiese romane. "Un network eversivo", lo definisce. Ne indica qualche nome: Letta, Bisignani, Cossiga, Scaroni, Elia Valori, Pollari, Speciale, Corigliano. E' un'area di potere che costringe un estraneo come Tronchetti in un disequilibrio informativo che lo condanna a subire, sopportare; a essere condizionato. Essere consapevoli di quell'asimmetricità è il punto di partenza. Sapere è allora il terreno della risposta. Come affrontare l'avversario? Come rendergli conveniente venire a patti o rinunciare a ogni ostilità? Come guadagnare un margine di inviolabilità? E' un confronto sotterraneo e senza esclusione di colpi. A sentire Tavaroli - che va ripetuto non è un testimone neutro, ma il principale indagato dell'affaire - è questo il mestiere che Marco Tronchetti Provera gli affida).

"Di volta in volta bisogna adattare le proprie iniziative all'avversario. D'Alema, per esempio. Penso di contattare Lucia Annunziata, allora direttore dell'agenzia Apcom. Ha buoni rapporti con D'Alema. Scelgo lei come canale per entrare in contatto con il presidente dei Ds. Con Lucia si parla anche di futuro. Lei mi prospetta l'acquisizione dell'agenzia, me ne mostra i vantaggi e le opportunità. Non era una cattiva idea, in fondo. Non avevamo in pancia contenuti e ne avevamo bisogno. Peraltro, saremmo entrati in contatto con il mondo Associated Press, il meglio. L'affare poi si fece, come si sa. Comunque, l'incontro D'Alema/Tronchetti si organizzò e Lucia divenne consulente della Telecom.

Racconto un altro episodio dello stesso tipo. Un giorno mi chiama Buora. Nel suo ufficio ci sono tutti quelli che contano e sembrano sull'orlo di una crisi di nervi. Buora mi dice che Giulio Tremonti (ministro dell'Economia), soffia ai banchieri, in ogni occasione, che Telecom è prossima al fallimento. La voce diffusa in ambienti qualificati da una fonte così autorevole è per noi una sciagura. Mi metto al lavoro. Tra Tremonti e Tronchetti non ci sono rapporti. Ho come la sensazione che Tremonti, da sempre consulente dei maggiori imprenditori italiani, diventato ministro, stia scaricando sui suoi antichi assistiti una ruggine velenosa. Decido di mettermi in contatto con il capo della sua segreteria, un ufficiale della Guardia di Finanza, Marco Milanese, che poi lascerà le Fiamme Gialle per lavorare direttamente nello studio di Tremonti. Contattare Milanese, proprio lui e non altri, è un modo per dire a Tremonti: conosco i tuoi metodi, conosco il tuo sistema, chi lo agisce e interpreta, da dove possono venirti le informazioni - vere o false - che possono danneggiare la mia azienda. Non c'è bisogno di molte parole. Quelle cose lì, si capiscono al volo nel nostro mondo. I due - Tronchetti e Tremonti - si incontrano. I problemi si risolvono. Nessuno parlerà più di fallimento con i banchieri.

Altro episodio. Il Dottore (Tronchetti) mi chiede di dare uno sguardo a Finsiel, allora amministrata da suo cugino Nino Tronchetti Provera. Perché non si vince una gara, perché si perde sempre? Gli appronto una rete di relazioni e qualche "analisi". Ancora. La Kroll, la maggiore agenzia d'investigazione del mondo, riceve da Gianni Letta (sottosegretario alla presidenza del Consiglio) l'incarico di rintracciare il tesoro segreto di Calisto Tanzi (Parmalat). Nell'autunno del 2004, l'uomo in Italia della Kroll, un belga d'origine italiana che si chiama Nunzio Rizzi, incontra Gianni Letta e gli chiede "se il governo ha nulla in contrario che l'agenzia organizzi un'azione di discredito contro Marco Tronchetti Provera". Sorprendentemente, invece di metterlo alla porta, Letta (ha anche la delega ai servizi segreti) prende tempo: "Le farò sapere!". Letta avverte Tronchetti. Che, allarmatissimo, mi spedisce a Roma in tutta fretta. E' il mio primo incontro con Gianni Letta. Mi tiene lì per quaranta minuti. Beviamo un caffè. Mi dice: noi abbiamo un amico in comune, "il nostro Marco" (Mancini). Letta mi spiega le intenzioni di Rizzi. Organizzo una contro-operazione di discredito ai danni della Kroll. Il 6 novembre 2004, faccio pubblicare che c'è "un mandato d'arresto per l'uomo della Kroll, Nunzio Rizzi". La notizia è del tutto falsa, ma alla Kroll capiscono che gli è andata male. E noi, in Telecom, capiamo il senso di quella storia: hanno mandato a dire a Tronchetti che non si fidano di lui, che la sua reputazione può essere sporcata se gli ambienti politici non fanno barriera e quindi è meglio andare d'accordo".

(Tavaroli chiarisce che dal suo orizzonte di lavoro - e intende la rete di rapporti e liaison che possono rendere trasparenti o protette le intenzioni di Tronchetti - nessuno è escluso. Nemmeno la magistratura).

"Era più o meno il settembre del 2001. Mi chiama Armando Spataro, allora membro del Consiglio superiore della magistratura. Mi dice: "Il tuo capo ha risolto i problemi di Berlusconi". Era accaduto che Pirelli Real Estate avesse rilevato Edilnord di Berlusconi che navigava in cattive acque. Per Pirelli era un affare, per Spataro un favore. Nel 2003 Armando ritorna a Milano come procuratore aggiunto. Ho l'idea di farlo incontrare con Tronchetti. Organizzo il meeting. Ma, quel giorno, commetto un errore grave. Invece di andare via, come facevo sempre, rimango nella stanza e sono testimone della loro conversazione. Che non va per nulla bene. Quasi al termine, Tronchetti chiarisce che magistratura e politica devono reciprocamente rispettarsi e che il lavoro dei giudici non può pregiudicare le responsabilità della politica. E' più o meno una banalità, ma detta in quel momento suonò alle orecchie di Armando come una difesa pregiudiziale di Berlusconi e una censura per le iniziative della magistratura. Spataro ne ricava la convinzione di avere di fronte un uomo piegato agli interessi di Berlusconi. Nessuno gli ha tolto più quell'idea dalla testa.

Questo era il mio lavoro: creare una rete di protezione personale intorno a Tronchetti e di sicurezza per l'azienda, rimuovere le inimicizie preconcette, le ostilità, il malanimo, le presunte incompatibilità. Non è sempre affare per deboli di stomaco. Ecco che cosa intendo quando dico che il perimetro della security si era di molto allargato. Ecco che cosa intendeva Marco Tronchetti Provera quando mi diceva: "Le abbiamo chiesto troppo". Se avevo bisogno di informazioni sugli antagonisti mi rivolgevo a Emanuele Cipriani (investigatore privato della Polis d'Istinto). Che me le procurava. Sono pronto ad ammettere che ci sono state - ma questi sono affari di Cipriani - indagini illegali. Ammetto che bisognerà spiegare le intrusioni informatiche ai danni di Massimo Mucchetti e Vittorio Colao (vicedirettore del Corriere e amministratore delegato di Rcs). Ma non ci sono state intercettazioni abusive né ricatti. Nell'indagine della procura di Milano, non ce n'è traccia. Il mio lavoro non si è mai arricchito di quella roba lì. Le cose andavano così. Fino a quando sono stato in Pirelli, sono stato più o meno un "centro di servizi". Tronchetti Provera, da Telecom, aveva bisogno di informazioni. Mi chiamava e io provvedevo a raccoglierle. Nessuno si dovrebbe meravigliare. Le aziende vivono di informazioni fino alla raffinatezza delle "analisi predittive". E non esitano a sporcarsi le mani. Un esempio? Per quel che so, l'"Operazione Quattro Gatti", lo sganciamento di Mastella dal centro-destra organizzato nel 1998 da Cossiga, fu finanziato per intero dai gestori della telefonia: Sentinelli (Tim), Novari (3), Pompei (Wind), con il sostegno della Ericsson.

Quando arrivo in Telecom, il lavoro cambia. Agisco "di iniziativa" sulle analisi tipiche della sicurezza. Attenzione, però, il "sistema Tavaroli" non era e non è mai stato il "sistema Cipriani"".

(Tavaroli non ammette che l'uno integrava l'altro, che l'uno sosteneva l'altro e mai parla del ruolo di Marco Mancini, il capo del controspionaggio. Lo ripetiamo ancora: questa è soltanto la verità di un indagato).

"E' a questo punto che arrivano i primi segnali dal "network eversivo". Si fanno sotto quelli che io chiamo "i massoni". Cominciano a scorgere, avvertendole come una minaccia, tutte le potenzialità di quel lavoro, della mia presenza a Telecom, del mio legame con Marco Mancini in ascesa nel Sismi, delle opportunità di integrazione in un unico "nastro" delle informazioni in possesso per motivi istituzionali di una grande azienda di telecomunicazioni e di un servizio segreto. Lo avevate capito anche voi a Repubblica, ma immaginavate che Telecom fosse il centro del "sistema" e non solo un segmento, il più fragile. Arriva il primo segnale e non faccio fatica a "leggerlo". Le manovre compromettenti (è sospettato di essere coinvolto in un traffico d'armi) di Slaedine Jnifen, fratello di Afef (la moglie di Tronchetti) con uno dei figli di Gheddafi mi sono segnalate prima da Nicolò Pollari. Mi dice: i servizi libici minacciano di ucciderlo. Poi da Luigi Bisignani che aveva avuto l'informazione dalla Guardia di Finanza. Capii la musica. Anche Afef parve a rischio".

(Tavaroli non dice né vuole dire se il dossier raccolto anche sulla moglie di Tronchetti sia stato una sua personale iniziativa o un'operazione commissionata da altri o addirittura concordata con il presidente della Telecom).

"E' un fatto che Afef si porta dietro tutte le amicizie romane del primo marito, Marco Squatriti (Andreotti, Bisignani, Letta). Ricordo che, quando Squatriti finisce in carcere, il primo che gli va a fare visita, come avvocato anche se non era il suo avvocato, è Cesare Previti. L'uomo deve essere finito al centro di una faccenda molto seria. Perché nessuno s'incuriosisce al finale della storia di Italsanità (era la società dell'Iri che aveva affittato dai privati 28 immobili da destinare a residenze per anziani, impegnandosi a pagare affitti per 1.000 miliardi in nove anni, di cui 572 a Squatriti, titolare degli 11 contratti più consistenti)? Sono stati rimborsati a Squatriti un centinaio di miliardi di lire. Oggi Squatriti non ha più un soldo. Dove sono finiti i denari? E, soprattutto, di chi erano? Forse per tenersi buono questo giro, il Dottore ingaggia Maurizio Costanzo (P2, tessera Roma 152), tutt'uno con Previti, Squatriti, Gianfranco Rossi (il faccendiere romano, arrestato nel giugno 1994, è l'intestatario del conto corrente "coperto" FF 2927 presso la Trade Development Bank di Ginevra, conto sul quale sono affluiti 2 milioni e 200 mila dollari fornitigli da Bisignani e parte della maxitangente pagata dall'Enimont ai partiti di governo), Luigi Bisignani (P2, tessera Roma 203).

Tronchetti retribuisce Costanzo con 3 milioni di euro all'anno soltanto, in definitiva, per costruire l'immagine di Afef. Ma, in realtà, Tronchetti vuole tenerlo buono e, nel contempo, alla larga. Costanzo non aveva nemmeno il numero diretto del suo cellulare. Si ripetono i segnali negativi.

Salvatore Cirafici, capo della sicurezza di Wind, un massone, mi racconta che è stato interpellato da un giornalista del Giornale che sta preparando un articolo contro di me, ispirato da Luigi Bisignani. Che ci fossero fibrillazioni in corso, lo deduco anche da altri episodi. Poco dopo il Natale del 2002, diciamo nel gennaio del 2003, Berlusconi convoca Pollari a Palazzo Chigi e gli chiede a brutto muso: "Chi è questo Tavaroli?", "E' vero che Mancini è un comunista"? Pollari replica, difende Mancini e comunica che sta per nominarlo capo della 1° Divisione. Berlusconi abbozza. Non poteva dire di no a Pollari. Come non glielo ha potuto dire poi, con il governo successivo, Romano Prodi, che ha sempre difeso il direttore del Sismi.

La faccio breve, nel 2004 fonti della Guardia di Finanza fanno sapere in Telecom che "Tavaroli, da punto di forza, è diventato un punto di debolezza". A maggio mi convoca Tronchetti e, alla presenza di Buora, mi consiglia di accettare una aspettativa di tre mesi per far calare il polverone su di me e la società. Accetto, non ho alternative. Per tre mesi, il telefono si fa muto. Non mi chiama più nessuno, se si esclude Adamo Bove (il dirigente della security governance della Telecom precipitato il 21 luglio 2006 da un cavalcavia della tangenziale di Napoli: suicidio o istigazione al suicidio?). Vado in Romania. Mi richiamano in Italia dopo l'attentato al Tube di Londra del 7 luglio 2005. Tronchetti chiede a Letta se può darmi una consulenza antiterrorismo. Letta si dice d'accordo "nell'interesse del Paese". A fine anno, il Dottore mi dice: devi rientrare.

Nel gennaio 2006, quando sono pronto a rientrare, Cipriani si fa abbindolare dai carabinieri di Firenze che non hanno mai smesso di blandirlo: "Vuota il sacco e le tue responsabilità saranno ridotte al minimo...".

Quello ci casca e trovano il dvd con i file illegali, peraltro già in possesso di Emilio Ricci, avvocato, romano, comunista, amico mio, di Pollari, di D'Alema. Cipriani consegna la password ai pm. In tempo reale la notizia arriva a Tronchetti - penso attraverso l'avvocato Mucciarelli. Il Dottore mi convoca. Mi dice: hanno il dvd; l'hanno aperto; lei non può più tornare in azienda. Io mi mostro preoccupato. Gli dico: su quel dvd ci sono i file di Brancher, e di Cesa, e la faccenda di D'Alema e dell'Oak Fund. Inizialmente, Tronchetti finge di non ricordare. "D'Alema? - dice - e che c'entra, io non so nulla...". Poi, qualche giorno dopo, gli torna la memoria e ammetterà che era stato lui a commissionarmi quel lavoro per verificare se, nell'acquisizione di Colaninno, fossero state pagate tangenti. Qualche mese dopo, in maggio, Tronchetti alla presenza del solito Buora mi chiede le dimissioni. Fu un lavoraccio, l'inchiesta "Oak Fund". Per quel che poi ha scritto Cipriani nel dossier chiamato "Baffino", ora nelle mani della procura di Milano, i soldi hanno viaggiato nella pancia di trecento società in giro per l'Europa per poi approdare a Londra nel conto dell'Oak Fund, a cui erano interessati i fratelli Magnoni (Giorgio, Aldo e Ruggiero, vicepresidente della Lehman Brothers Europe) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino.

Queste cose le ho dette anche ai pm che mi hanno interrogato. Loro mi dicevano: non scriviamo i nomi nel verbale, diciamo "esponenti politici...".

Formalmente perché è necessario attendere la sentenza della Corte Costituzionale per sapere se quei dossier raccolti illegalmente sono utilizzabili nel giudizio. Ma, dico io, se mi prendi a verbale non hai più bisogno della Corte Costituzionale, hai il mio verbale che contiene la notizia di reato. E allora?

Sono assolutamente convinto che Tronchetti sapesse in tempo reale quali fossero le intenzioni e le mosse della procura. Credo che egli abbia lasciato esplodere il "caso Rovati" al solo scopo di anticipare il governo e trovare una dignitosa e sdegnata via d'uscita. Con quel che sarebbe successo di lì a un paio di mesi, il governo avrebbe potuto dirgli: non hai l'autorità né la credibilità per governare le reti. Ora Tronchetti Provera lascia dire e scrivere che sono stati Romano Prodi, Giovanni Bazoli e Guido Rossi a sottrargli la Telecom senza dire una parola su quel network di potere, eversivo che io, nel suo interesse e su sua richiesta, ho fronteggiato e da cui sono stato distrutto; quell'area di potere che decide le nomine che contano, che in apparenza non chiede e, invece, ordina con messaggi traversi che è bene cogliere al volo per non dare l'idea che la si stia sfidando. Genio dell'opportunismo qual è, Tronchetti vuole ritornare sulla scena forte della liquidità incassata in uscita dalla Telecom, candido e senza un'ombra. Solo io dovrei pagarne il prezzo, ma gli è capitato il peggiore cliente possibile. Non ho nulla da perdere. Mi hanno già tolto tutto. Devo soltanto dimostrare ai miei cinque figli che il loro papà non è il mascalzone che raccontano, che il loro papà ha concesso soltanto fiducia a chi non la meritava. Per questo ripeto: non accetterò mai di essere il capro espiatorio di questo affare".
http://www.repubblica.it/2008/07/sezion ... oli-2.html
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Re: dossier-telecom/verita-tavaroli

Messaggioda franz il 23/07/2008, 9:46

LA LETTERA
Fassino: "Mai avuto conti esteri
Una vigliaccata che mi offende"

di PIERO FASSINO

Egregio direttore, leggo su Repubblica, nell'intervista di Giuseppe D'Avanzo al signor Tavaroli, che non meglio precisate tangenti sarebbero "approdate a Londra nel conto dell'Oak Fund a cui erano interessati i fratelli Magnoni e dove avevano la firma Nicola Rossi e ".

E' una pura falsità, inventata di sana pianta. Non conosco i fratelli Magnoni. Non ho mai avuto firme su conti esteri né a Londra, né altrove. Non so neanche cosa sia l'Oak Fund.

Per queste ragioni ho immediatamente dato mandato ai miei legali di tutelarmi contro Tavaroli, D'Avanzo e chiunque altro sia responsabile di questa vigliaccata, nonché contro chiunque continuasse a diffonderla.

Mi lasci aggiungere che trovo inconcepibile che la Repubblica pubblichi - e per di più richiamandola con titoli di prima e seconda pagina e una mia fotografia - una notizia del tutto falsa senza neanche verificarne non dico la fondatezza, ma la minima attendibilità.
Non si invochi il diritto di cronaca o la libertà di stampa, che non c'entrano niente. Qui si sputtana una persona onesta e pulita ledendone la onorabilità e la dignità. E questo è inaccettabile.

E mi lasci aggiungere anche che mi ferisce particolarmente che questa incredibile aggressione avvenga sotto la sua direzione. Conoscendoci da ben 30 anni e avendo consuetudine di frequentazione, Lei poteva facilmente capire che le affermazioni di Tavaroli sono una bufala inventata per non so quali oscuri disegni. E invece in nome non della libertà di stampa, ma di una nevrotica ricerca di scoop, lei non esita a travolgere ogni e qualsiasi rispetto di una persona per bene.

Le chiedo di pubblicare questa mia lettera, con l'evidenza che la gravità del caso comporta.

(23 luglio 2008)
www.repubblica.it
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Caso Tavaroli, Fassino: "Falsità"

Messaggioda franz il 23/07/2008, 9:48

L'ex segretario dei Ds: "Ho chiesto ai miei legali di tutelarmi contro questa vigliaccata"
Il Pd fa quadrato. Veltroni rinnova "fiducia e stima personale e politica"

Caso Tavaroli, Fassino: "Falsità"
Colaninno annuncia querela
Smentisce anche Nicola Rossi: "Dichiarazioni destituite di ogni fondamento"


ROMA - L'ex segretario dei Ds Piero Fassino smentisce le affermazioni di Tavaroli pubblicate oggi da Repubblica. "Ho dato mandato ai miei legali di tutelarmi contro questa vigliaccata. L'affermazione pubblicata, nell'intervista di Giuseppe D'Avanzo al sig. Tavaroli secondo cui non meglio precisate tangenti sarebbero "approdate a Londra nel conto dell'Oak Fund a cui erano interessati i fratelli Magnoni e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino" è una pura falsità, inventata di sana pianta. Non conosco i fratelli Magnoni. Non ho mai avuto firme su conti esteri né a Londra, né altrove. Non so neanche cosa sia l'Oak Fund. Per queste ragioni ho immediatamente dato mandato ai miei legali di tutelarmi contro Tavaroli, D'Avanzo e chiunque altro sia responsabile di questa vigliaccata, nonché contro chiunque continuasse a diffonderla. Trovo inconcepibile che La Repubblica pubblichi, e per di più richiamandola con titoli di prima e seconda pagina e mia fotografia, una notizia del tutto falsa senza neanche verificarne non dico la fondatezza, ma la minima attendibilità. Non si invochi il diritto di cronaca o la libertà di stampa, che non c'entrano niente. Qui si sputtana una persona onesta e pulita ledendone la onorabilità e la dignità. E questo è inaccettabile".

A Fassino arriva la solidarietà di tutto il Partito Democratico, a cominciare dal segretario, Walter Veltroni: "Condivido integralmente la sua dichiarazione e voglio confermargli la mia grande fiducia e stima personale e politica". E Veltroni torna sulla questione in serata, parlando alla Festa dell'Unità a Roma: "Solo chi non conosce Piero Fassino e Nicola Rossi può pensare una cosa del genere. Purtroppo qualcuno lo ha fatto perché ancora una volta siamo tornati in questo clima ed il motivo è che c'è un male istituzionale e politico di una democrazia che è in crisi".

Ma è tutto il partito a schierarsi compatto al fianco di Piero Fassino, indicato dallo 007 della Telecom come uno dei due possessori di un presunto fondo estero a Londra: "Nessun dubbio sull'onestà di Piero Fassino. Piuttosto la pubblicazione delle 'confessioni' di Tavaroli è un'operazione indecente, da democrazia malata", sostengono i principali esponenti del partito, riuniti subito in coordinamento da Veltroni. "Un'operazione indecente - si ripete al Nazareno - perché non si pubblicano atti di un'inchiesta, ma parole di un indagato che parla senza l'onere della prova e ammette di non avere nulla da perdere. E' chiaro che Tavaroli spara sul mucchio".

Respingono le accuse anche gli altri esponenti politici tirati in ballo dalle dichiarazioni di Tavaroli. Anche Roberto Colaninno le definisce "prive di qualunque fondamento e del tutto contrarie al vero". Per questo, si legge in una nota, il numero uno della Piaggio ha "conferito mandato ai propri legali per tutelare la propria reputazione nelle sedi a ciò preposte".

"Quanto riportato oggi da alcuni organi di stampa è destituito di ogni fondamento", afferma Nicola Rossi, senatore Pd, che ha dato ampio mandato ai suoi legali di tutelarlo in tutte le sedi opportune e in tutte le forme consentite dall'ordinamento. A Rossi è andata anche la solidarietà di Veltroni, che stamane gli ha telefonato per ribadirgli il suo sostegno e la sua stima.

La polemica non è limitata agli esponenti del Pd. Annuncia una querela nei confronti di Tavaroli anche il segretario dei Popolari-Udeur, Clemente Mastella: "Quelle del signor Tavaroli sono soltanto illazioni, destituite di ogni fondamento e delle quali risponderà in tribunale".

Il sottosegretario alle Infrastrutture Roberto Castelli critica anche lo stile adottato da Repubblica, oltre al contenuto dell'articolo: "Quantomeno curioso lo stile adottato da Repubblica-D'Avanzo per le esplosive dichiarazioni di Tavaroli, esplosive soprattutto per una certa parte degli allora Ds, visto che vanno a toccare il nervo più sensibile che è quello delle vicende Telecom". Cauto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri: "Bisogna verificare le affermazioni apparse oggi sulla stampa, perché le fonti vanno prese con le pinze".

(22 luglio 2008)
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Di Pietro sul caso Tavaroli

Messaggioda franz il 23/07/2008, 9:49

dal suo sito:
http://www.antoniodipietro.com/2008/07/ ... i_par.html

Telecom: la doppia verita' ( I parte )

L’inchiesta della Procura di Milano sull’attività di dossieraggio e spionaggio messa in piedi dalla Telecom è terminata con ben 41 capi di imputazione a carico di 34 persone: funzionari di sicurezza della Telecom stessa, prezzolati investigatori privati,qualificati esponenti dei servizi segreti, da ufficiali e sottufficiali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Sono 371 pagine che illustrano uno spaccato d’Italia fatta di spioni e maneggioni che hanno lavorato alle nostre spalle e sulle nostre teste per raccattare informazioni e ricattare personalità e istituzioni. Chi volesse leggere tutto l’atto di accusa integrale clicchi qui.
Fin qui nulla di nuovo sotto il sole: è la solita Italietta dei servizi segreti deviati, delle centrali di disinformazione, dei centri di potere occulti, delle tante piccole e grandi “P2” di ritorno.

C’è però un “ma”, una discrepanza che impedisce la chiusura del cerchio: chi era – anzi, chi è - il beneficiario delle loro attività di spionaggio e dossieraggio? Si badi bene, sul piano strettamente penale, il “beneficiario” non può che essere – per geometrica sovrapposizione - anche il mandante dei delitti commessi.
L’ordinanza non lo dice, o meglio lo dice ma – almeno allo stato - non lo identifica come una “persona fisica” bensì come “due persone giuridiche”: Telecom Italia Spa e Pirelli Spa.
Se non conoscessi come lavora la Procura di Milano e non avessi certezza dell’altissima professionalità dei magistrati inquirenti che hanno operato le indagini, sarei portato a pensare che si sono nascosti dietro ad un pannicello caldo per non mettere per il momento il nome e cognome del mandante “fisico”, giacchè – per definizione e per natura – nessun crimine può essere commesso da un soggetto inanimato, come sono appunto le persone giuridiche Telecom e Pirelli, ma sempre e solo da persone che hanno occhi, mani e soprattutto “testa”.
Siccome, però, conosco come funzionano le indagini, sono pronto a scommettere che l’avviso di chiusura indagini di oggi in realtà non è una “chiusura”, ma solo una “nuova apertura”. Una nuova fase della “partita a scacchi”, ancora tutta da giocare e che la Procura di Milano si appresta a farla a tutto campo, utilizzando la fase dibattimentale come “grimaldello” investigativo per superare la cerchia di omertà e coperture che potrebbe essersi formata attorno alle dichiarazioni di Giuliano Tavaroli, organizzatore della centrale di depistaggio. Una tecnica già sperimentata da tanti altri investigatori ed anche da me all’epoca di Mani Pulite, allorché nel processo ENIMONT chiesi il rinvio a giudizio inizialmente solo di Sergio Cusani, per poi utilizzare la fase dibattimentale per mettere una di fronte all’altra le varie versioni di comodo che i protagonisti della vicenda stavano recitando.

Pure nella vicenda Telecom penso che succederà così perché è impensabile (e per Armando Spataro impossibile solo pensarlo) che la Procura di Milano abbia rinunciato a cercare il “mandante”. Tavaroli - che tanto ha fatto per la sua azienda e nell’interesse della quale lavorava - si sentirà scaricato e si vendicherà vomitando addosso ai suoi “mandanti” tutti i fatti e misfatti di cui è a conoscenza (o più semplicemente di cui dice di essere a conoscenza).
Quello sarà il momento più delicato per il lavoro dei magistrati perché dovranno distinguere i fatti dalle opinioni, il vero dal verosimile, le certezze dalle illazioni, le conoscenze dirette da quelle riferite, la verità dalle vendette.
Un assaggio della delicatezza della partita che si giocherà nei prossimi mesi è stato fornito – tra oggi e ieri – dallo stesso Tavaroli con due “messaggi cifrati” mandati attraverso interviste esclusive riferite dal quotidiano Repubblica che, intendiamoci, se da una parte ha fatto bene a pubblicarle, dall’altra deve ora stare attenta a non prestare la voce e la penna a chi “parla a nuora per far capire a suocera”: a chi, cioè, come potrebbe aver fatto Tavaroli, ha rilasciato le interviste che abbiamo letto, non tanto per far sapere ciò che abbiamo letto tutti ma per far sapere alle persone di cui non ha parlato che – prima o poi – potrebbe farlo anche nei loro riguardi se non dovessero tutelarlo a sufficienza.
Insomma un “assaggio”, o meglio un “messaggio”.

E i fatti che racconta a Repubblica – tutti ben imbastiti da una analisi storica nient’affatto peregrina – sono come fiammiferi accessi all’interno di una polveriera. Accenna a conti esteri a Montecarlo di Tronchetti Provera, butta lì i nomi dell’on.le Brancher (già condannato durante Mani Pulite) di tal Luigi Bisignani (pure lui figura di rilievo nelle stesse indagini) e così via, fino ad arrivare al conto londinese Oak Fund che egli attribuisce addirittura nella disponibilità di altissimi dirigenti DS (Fassino) e riferisce che sarebbe stato alimentato per conto di Colaninno, all’epoca della prima scalata Telecom.
E qui sta il primo inghippo: Tavaroli in questo caso non riferisce fatti di cui si dichiara a conoscenza diretta ma dice che questi risulterebbero da “…quel che ha scritto Cipriani (investigatore privato a libro paga Telecom a cui avrebbe commissionato il lavoro di accertamento, ora indagato pure lui) nel dossier chiamato “Baffino”, ora nelle mani della Procura di Milano…”.

Il “distinguo” di Tavaroli è sopraffino: egli riferisce un fatto di portata esplosiva ma di cui – almeno per ora - non si attribuisce la paternità della conoscenza ed inoltre fa riferimento ad un dossier che potrà pure esserci ma che nessuno – se non Cipriani – potrà dire che è vero. Il “messaggio” è bello che confezionato: innanzitutto per Cipriani, di cui cerca la complicità all’occorrenza (e solo Cipriani “sa” fino a che punto potrà smentirlo dato i mille rivoli di rapporti ed affari che sono intercorsi fra loro); ma anche per tutti gli altri che hanno avuto a che fare con la “centrale di informazione e controinformazione” che Tavaroli aveva architettato e messo in piedi (sembra di sentirlo: “vedete, se posso permettermi di fare addirittura il nome di una persona al di sopra di ogni sospetto come Fassino, immaginate cosa posso dire di ognuno di voi altri che invece con me avete avuto a che fare tutti i giorni).
La partita è appena cominciata e noi – da questo sito - vi terremo costantemente informati. Per ora non ci resta che prendere atto che Piero Fassino è soltanto un’esca dentro una palude di pescecani.

Alla prossima puntata.
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Re: Di Pietro sul caso Tavaroli

Messaggioda franz il 23/07/2008, 9:55

Di Pietro sul suo sito ha scritto:E qui sta il primo inghippo: Tavaroli in questo caso non riferisce fatti di cui si dichiara a conoscenza diretta ma dice che questi risulterebbero da “…quel che ha scritto Cipriani (investigatore privato a libro paga Telecom a cui avrebbe commissionato il lavoro di accertamento, ora indagato pure lui) nel dossier chiamato “Baffino”, ora nelle mani della Procura di Milano…”.

Il “distinguo” di Tavaroli è sopraffino: egli riferisce un fatto di portata esplosiva ma di cui – almeno per ora - non si attribuisce la paternità della conoscenza ed inoltre fa riferimento ad un dossier che potrà pure esserci ma che nessuno – se non Cipriani – potrà dire che è vero. Il “messaggio” è bello che confezionato: innanzitutto per Cipriani, di cui cerca la complicità all’occorrenza (e solo Cipriani “sa” fino a che punto potrà smentirlo dato i mille rivoli di rapporti ed affari che sono intercorsi fra loro); ma anche per tutti gli altri che hanno avuto a che fare con la “centrale di informazione e controinformazione” che Tavaroli aveva architettato e messo in piedi (sembra di sentirlo: “vedete, se posso permettermi di fare addirittura il nome di una persona al di sopra di ogni sospetto come Fassino, immaginate cosa posso dire di ognuno di voi altri che invece con me avete avuto a che fare tutti i giorni).
La partita è appena cominciata e noi – da questo sito - vi terremo costantemente informati. Per ora non ci resta che prendere atto che Piero Fassino è soltanto un’esca dentro una palude di pescecani.

Alla prossima puntata.


Qui bisogna ammettere che Antonio di Pietro è formidabile nella sua abilità di saper leggere le carte e compredere le mosse processuali. Dimostra la massima competenza possibile e mi induce a pensare che come magistrato poteva ancora fare tantissimo per la giustizia. Tace pero' sul tema della pubblicazione di Repubblica e della critica di Fassino al quel quotidiano.
Chi ha ragione?

Franz
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Re: dossier-telecom/verita-tavaroli

Messaggioda Paolo65 il 23/07/2008, 13:59

Di Pietro sarebbe stato ancora un ottimo PM e forse anche un buon ministro tecnico della giustizia.

Purtroppo ha cambiato mestiere ed oggi abbiamo una persona fondamentalmente onesta, ma non un gran politico.

Paolo
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Di Pietro: Telecom / la doppia verita' ( II parte )

Messaggioda franz il 23/07/2008, 20:57

E’ passato solo un giorno dal deposito delle carte processuali da parte della Procura di Milano e già la matassa comincia a dipanarsi.

Innanzitutto ora cominciano ad essere note le dichiarazioni rese ai P.M. dal diretto interessato Marco Tronchetti Provera. Al di là delle formali prese di distanza dal suo accusatore – nella sostanza Tronchetti riconosce quel che sostiene Giuliano Tavaroli: l’essersi costui adoperato per fissargli appuntamenti con varie personalità politiche. Certo, Tronchetti Provera si dice ora “…convinto ex post che lui, Tavaroli, mi ha usato molto per accreditare se stesso…”. Ma resta il fatto che fino al 2006 glielo ha lasciato fare. Quindi Tronchetti a Tavaroli nel suo Ufficio lo riceveva eccome e da lui – volente o nolente – riceveva informazioni. Certo, dice che Tavaroli “…non è mai stato mio riporto diretto…” ma ammette che non era uno qualsiasi all’interno di Telecom in quanto “…ha iniziato a dipendere direttamente dal dr. Buora…” (che era il n. 2 dell’azienda, subito dopo Tronchetti stesso) e comunque “..in casi specifici, se era una cosa di importanza generale dell’azienda che mi riguardava direttamente come presidente della società, il sig. Tavaroli si rivolgeva direttamente a me…”.

Insomma, Tavaroli, in azienda si comportava proprio come si doveva comportare un riconosciuto ed accreditato Responsabile della Sicurezza: riferiva di regola all’amministratore delegato ed all’occorrenza direttamente al Presidente.

Quindi, quando Tavaroli riferisce fatti e circostanze, queste non possono essere, sic et sempliciter, cestinate ma bisogna andare a ricostruire il contesto ed a andare a “ripulire” le sua affermazioni per cercare di dipanare la matassa della verità da quella delle possibili dicerie, del millantato credito o della calunnia.

Sempre dalle carte, però emerge un’altra circostanza che retrodata nel tempo, al 2001 (e cioè in epoca incompatibile con l’arrivo dello stesso Tronchetti in azienda) l’operazione “OAK FUND”, ovvero l’operazione spionistica messa in piedi da Tavaroli e Cipriani (investigatore privato a libro paga Telecom, ora indagato pure lui) conclusasi con l’attribuzione ad esponenti del partito D.S. di un conto estero a Londra ove sarebbero stati fatti affluire somme di denaro per conto di Colaninno, che per prima si interessò all’operazione Telecom.

Se ciò è vero - questo vuol dire che – indipendentemente dalla verità o meno dell’operazione OAK FUND – Tronchetti Provera non può essere accusato di alcunché di penalmente rilevante rispetto ad essa. Nemmeno se - successivamente al suo arrivo in Telecom – ciò gli fosse stato riferito da Tavaroli (come quest’ultimo sostiene e come Tronchetti un po’ pudicamente nega).

L’attenzione deve essere pertanto spostata altrove: chi aveva interesse a ricostruire l’operazione in questione? O meglio: chi aveva interesse a “costruirla”, ad imbastirla, cioè per calare un “abito di responsabilità” addosso all’allora segretario dei D.S. Fassino? E soprattutto proprio nello stesso periodo in cui un altro abito sporco si cercava do calare addosso a Fassino con un il falso scoop Mitrokin? E chi aveva dato l’ordine a Tavaroli di eseguirla? Ed ancora in modo più pregante: l’ordine era di scovare una tangente o di costruire false prove – anche attraverso compiacenti riscontri documentali – per fare apparire che ci fosse stata? E siamo sicuri che chi è andato alla ricerche delle “prove disseminate” lungo il tragitto che ha portato i soldi a Londra era a conoscenza della eventuale strumentalità con cui erano state predisposte apposta ed a comando? Da queste risposte potremo sapere se ci troviamo di fronte ad una madornale bugia ovvero a “due verità” che – nonostante la apparente contraddizione logica - possono invece convivere fra loro: quella di Tavaroli che riferisce del conto OAK FUND (di cui peraltro qualche riscontro documentale seppur poco leggibile sarebbe agli atti del fascicolo processuale) e quella di Fassino che si è visto cadere quest’altra tegola addosso dopo il fantomatico caso Mitrokin.

A noi non resta che seguire da vicino la vicenda, convinti come siamo che la partita è appena cominciata e che il vero “puparo” che muove i fili deve ancora venire fuori.

Alla prossima puntata.
http://www.antoniodipietro.com/2008/07/ ... ii_pa.html
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Re: Di Pietro: Telecom / la doppia verita' ( II parte )

Messaggioda Perrynic il 25/07/2008, 1:43

Che si fa. si ricomincia con le inchieste tipo, telekom Serbia e Mitrochin??

Saluti Perrynic
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