Editoriali a confronto. Panebianco versus Travaglio

"Il bipolarismo senza equilibrio
La nostra vita pubblica, apparentemente immobile, sembra vivere in realtà di oscillazioni radicali, sembra evolvere passando da uno squilibrio all’altro. Da noi, si tratti di rapporti fra politica e giustizia, fra pubblico e privato, o fra maggioranze e opposizioni entro il sistema dei partiti, non si trovano mai o quasi mai «punti di equilibrio» soddisfacenti. Nei rapporti fra politica e magistratura, ad esempio, siamo passati dal dominio della politica con debole o nulla indipendenza dei magistrati (nei primi decenni della Prima Repubblica) alla situazione opposta del predominio giudiziario sulla politica. Forse, l’episodio emblematico che consacrò la svolta fu, nel 1993, il proclama televisivo con cui l’allora pool di Mani Pulite affossò il decreto Conso sulla questione della corruzione. Da uno squilibrio all’altro, insomma.
La stessa cosa vale per i rapporti fra pubblico e privato. O è il pubblico (che poi significa sempre politica, partiti) a dominare il privato oppure è il privato che si appropria del pubblico. Anche qui, si danno, per lo più, oscillazioni da un estremo all’altro.
Anche se guardiamo ai rapporti fra i partiti, fra le maggioranze e le opposizioni, la situazione non è diversa. In Italia sembra esserci spazio solo per le alleanze formali, cementate dalla comune gestione del potere, e per le contrapposizioni totali alimentate da linguaggi e toni da scontro di civiltà (ma anche accompagnate, come è inevitabile perché il sistema non crolli, da frequenti accordi sottobanco).
Guardiamo all’oggi. Il bipolarismo richiederebbe una prevalenza della moderazione sull’estremismo, una convergenza al centro. Non è necessario che ciò accada continuamente (anche nei sistemi bipolari più stabili si danno inevitabilmente momenti o episodi di lotta feroce) ma è necessario, perché il sistema duri, che moderazione e convergenza al centro siano, almeno, le tendenze prevalenti. In Italia non è così. La caratteristica italiana è che mentre i fautori della moderazione sono per lo più contrari al sistema bipolare, i difensori del bipolarismo sono contrari alla moderazione.
Lo si vede in ogni zona del sistema partitico. Nel centrodestra le cose appaiono solo un po’ più confuse e complesse a causa degli effetti dell’esercizio del potere, del ruolo di Berlusconi, e della presenza della Lega (un partito di rappresentanza territoriale che, in quanto tale, ha un rapporto solo strumentale con il bipolarismo)
La tendenza— che però, ripeto, riguarda l’intero sistema politico— è invece visibilissima nel caso del maggior partito di opposizione, il Partito democratico. Qui, spingono chiaramente per la moderazione coloro che vorrebbero far saltare il bipolarismo mentre i difensori del bipolarismo cavalcano l’estremismo. Lo si è visto, qualche mese fa, nella gara per la segreteria nazionale. Il segretario uscente, Dario Franceschini, difendeva il bipolarismo usando però i toni e gli argomenti dell’estremismo giustizialista. Lo sfidante Pier Luigi Bersani sceglieva invece una linea assai più moderata (opposizione ferma sì ma senza massimalismi) mentre i dalemiani che lo sostenevano non facevano mistero della loro crescente insofferenza per l’alleanza con Di Pietro.
Questa moderazione, però, non era funzionale all’idea di fare del Pd una componente stabile del gioco bipolare. Ciò che si intravedeva era un diverso disegno. Il progetto era quello di sacrificare il bipolarismo sull’altare di una alleanza con i centristi di Casini (in attesa del botto finale: la disgregazione del centrodestra dopo l’eventuale uscita di scena di Berlusconi).
Fra il bipolarismo massimalista (Franceschini) e l’anti-bipolarismo moderato (Bersani) il «popolo democratico» scelse allora il secondo.
Il progetto di Bersani e D’Alema è ora stato sconfitto in Puglia. Se è vera l’ipotesi che da noi si procede solo passando da uno squilibrio all’altro, nel caso del Pd il pendolo dovrebbe ora di nuovo spostarsi verso l’irrigidimento massimalista. È probabile che assisteremo a una progressiva chiusura anche di quei piccoli spiragli di dialogo sulle riforme che si erano recentemente aperti. A maggior ragione se, come è possibile, le elezioni regionali andranno male per il Partito democratico. Ed è anche molto probabile che una nuova svolta massimalista del Pd non dispiaccia a Berlusconi. Nel breve termine, essa darebbe infatti ulteriori vantaggi al centrodestra.
A destra come a sinistra sono deboli le forze disponibili a far funzionare il sistema bipolare tramite moderazione e convergenze al centro. Le forze contrarie sono più consistenti.
Ricorrere a espressioni come « punto di equilibrio » , «equilibrio fra i poteri» (e ad altre espressioni ancora in cui figuri la parola «equilibrio») significa affidarsi a un linguaggio metaforico. Si vuole indicare, semplicemente, il consolidamento di prassi, di comportamenti, che raccolgano l’approvazione, se non di tutti, quanto meno dei più. Perché, si tratti di rapporti fra politica e magistratura, fra pubblico e privato, o fra maggioranze e opposizioni, non si riesce quasi mai a creare sufficiente consenso diffuso non sui contenuti (dove il dissenso e il conflitto sono legittimi e necessari) ma sul modo in cui quei rapporti dovrebbero correttamente svilupparsi? Perché queste oscillazioni fra estremi opposti? Le ragioni sono complesse e ciascuno può scegliere le risposte che preferisce. La più semplice è che, a tutte le latitudini, in alto e in basso, fra le élite come fra i cittadini comuni, mentalità, cultura e sensibilità liberali siano tuttora pressoché introvabili.
Angelo Panebianco
28 gennaio 2010"
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2)
"Dominque De Painblanc
Proseguono, per la saga “Balle spaziali”, gli editoriali di Angelo Panebianco. Il quale ieri, alla tremillesima riga, lamentava sul Pompiere della Sera che in Italia “mentalità, cultura e sensibilità liberali sono tuttora pressoché introvabili”.
Infatti lui scrive sul Pompiere della Sera.
Ciò che lo angustia, tanto per cambiare, non sono gli scandali, ma “lo squilibrio nei rapporti fra politica”, “il predominio giudiziario sulla politica”.
Di quale predominio stia cianciando non è dato sapere, visto che in quindici anni i politici hanno approvato una trentina di leggi per farla franca, si coprono a vicenda con ogni sorta di insindacabilità e intoccabilità e stanno pure provvedendo a blindarsi vieppiù con altre quattro porcate.
Ma lui, impermeabile ai fatti, parla d’altro: “L’episodio emblematico che consacrò la svolta fu, nel 1993, il proclama televisivo con cui l’allora pool di Mani Pulite affossò il decreto Conso sulla questione della corruzione”.
Ne avesse azzeccata una.
Nel 1993 non ci fu nessun proclama televisivo dell’allora pool di Mani Pulite, ma un comunicato letto dal solo Borrelli a proposito del decreto Conso, che non riguardava minimamente la corruzione, ma depenalizzava il finanziamento illecito.
Il comunicato non “affossò” un bel nulla.
Scalfaro non firmò il decreto per due motivi: 1) era un colpo di spugna incostituzionale sulle inchieste di Mani Pulite, fra l’altro a costo zero, perché l’ineleggibilità per 5 anni dei condannati (inizialmente prevista nel testo sottoposto al Quirinale) fu sfilata all’ultimo momento dal provvedimento; 2) gl’italiani stavano per votare un referendum proprio sul finanziamento ai partiti.
L’articolessa panebianca prosegue con una copiosa lacrimazione per l’accordo Bersani-Di Pietro che trascinerà il Pd verso “toni e argomenti dell’estremismo giustizialista” tipici – pensate un po’ – del mite Dario Franceschini. Insomma il Pd avrebbe imboccato una deriva di “irrigidimento massimalista”: infatti Bersani, novello Felice Cavallotti, e quella Rosa Luxemburg rediviva che è la Finocchiaro saltano da un banco all’altro del Parlamento per rodere il cranio ormai implume del povero Silvio.
Uno spettacolo raccapricciante.
La lacrimazione sanguinolenta del madonno di Civitavecchia si conclude con una drammatica previsione: “Assisteremo a una progressiva chiusura anche di quei piccoli spiragli di dialogo sulle riforme che si erano aperti”. Una prospettiva che non può non addolorare un liberale autentico come lui.
Quali siano le “riforme” su cui “dialogare” le spiega il Pompiere qualche pagina più avanti: oltre al processo morto, c’è il legittimo impedimento che per un anno e mezzo consentirà al premier (ma anche ai ministri e forse ai sottosegretari: il governo è pieno di bisognosi) di inventarsi per un anno e mezzo le scuse più inaudite per sfuggire ai processi, in attesa che vi cali la pietra tombale del lodo Alfano turbodiesel a trazione integrale.
Proprio in extremis, i suoi Azzeccagarbugli si sono accorti che col legittimo impedimento il Banana non avrebbe potuto partecipare ai processi che lui intenta agli altri denunciandoli: ecco dunque un emendamento che gli consentirà di portare in tribunale gli altri, ma vieterà agli altri di portare in tribunale lui.
Tutte leggi tipiche di una democrazia liberale.
Ora sarebbe interessante conoscere il pensiero del liberale Panebianco dell’assoluzione di Dominique de Villepin dal processo Clearstream, dov’era accusato da Sarkozy di aver indotto i servizi segreti a dossierare per screditarlo. Due anni fa, essendo imputato, Villepin lasciò la politica e rinunciò alla corsa all’Eliseo per difendersi nel processo. Ora che l’hanno assolto, anziché attaccare i giudici e gridare al complotto (anche se ne avrebbe di che), il gentiluomo parigino s’è detto pronto a “servire ancora i francesi senza rancore”. Nessun lodo, nessun legittimo impedimento, immunità e nessun Panebianco che tromboneggia sullo squilibrio nei rapporti fra politica e magistratura.
Sono pazzi questi francesi.
Marco Travaglio - Il Fatto del 29 gennaio 2010"
Dopo attenta lettura ho deciso: preferisco il secondo articolo.
(!)
La nostra vita pubblica, apparentemente immobile, sembra vivere in realtà di oscillazioni radicali, sembra evolvere passando da uno squilibrio all’altro. Da noi, si tratti di rapporti fra politica e giustizia, fra pubblico e privato, o fra maggioranze e opposizioni entro il sistema dei partiti, non si trovano mai o quasi mai «punti di equilibrio» soddisfacenti. Nei rapporti fra politica e magistratura, ad esempio, siamo passati dal dominio della politica con debole o nulla indipendenza dei magistrati (nei primi decenni della Prima Repubblica) alla situazione opposta del predominio giudiziario sulla politica. Forse, l’episodio emblematico che consacrò la svolta fu, nel 1993, il proclama televisivo con cui l’allora pool di Mani Pulite affossò il decreto Conso sulla questione della corruzione. Da uno squilibrio all’altro, insomma.
La stessa cosa vale per i rapporti fra pubblico e privato. O è il pubblico (che poi significa sempre politica, partiti) a dominare il privato oppure è il privato che si appropria del pubblico. Anche qui, si danno, per lo più, oscillazioni da un estremo all’altro.
Anche se guardiamo ai rapporti fra i partiti, fra le maggioranze e le opposizioni, la situazione non è diversa. In Italia sembra esserci spazio solo per le alleanze formali, cementate dalla comune gestione del potere, e per le contrapposizioni totali alimentate da linguaggi e toni da scontro di civiltà (ma anche accompagnate, come è inevitabile perché il sistema non crolli, da frequenti accordi sottobanco).
Guardiamo all’oggi. Il bipolarismo richiederebbe una prevalenza della moderazione sull’estremismo, una convergenza al centro. Non è necessario che ciò accada continuamente (anche nei sistemi bipolari più stabili si danno inevitabilmente momenti o episodi di lotta feroce) ma è necessario, perché il sistema duri, che moderazione e convergenza al centro siano, almeno, le tendenze prevalenti. In Italia non è così. La caratteristica italiana è che mentre i fautori della moderazione sono per lo più contrari al sistema bipolare, i difensori del bipolarismo sono contrari alla moderazione.
Lo si vede in ogni zona del sistema partitico. Nel centrodestra le cose appaiono solo un po’ più confuse e complesse a causa degli effetti dell’esercizio del potere, del ruolo di Berlusconi, e della presenza della Lega (un partito di rappresentanza territoriale che, in quanto tale, ha un rapporto solo strumentale con il bipolarismo)
La tendenza— che però, ripeto, riguarda l’intero sistema politico— è invece visibilissima nel caso del maggior partito di opposizione, il Partito democratico. Qui, spingono chiaramente per la moderazione coloro che vorrebbero far saltare il bipolarismo mentre i difensori del bipolarismo cavalcano l’estremismo. Lo si è visto, qualche mese fa, nella gara per la segreteria nazionale. Il segretario uscente, Dario Franceschini, difendeva il bipolarismo usando però i toni e gli argomenti dell’estremismo giustizialista. Lo sfidante Pier Luigi Bersani sceglieva invece una linea assai più moderata (opposizione ferma sì ma senza massimalismi) mentre i dalemiani che lo sostenevano non facevano mistero della loro crescente insofferenza per l’alleanza con Di Pietro.
Questa moderazione, però, non era funzionale all’idea di fare del Pd una componente stabile del gioco bipolare. Ciò che si intravedeva era un diverso disegno. Il progetto era quello di sacrificare il bipolarismo sull’altare di una alleanza con i centristi di Casini (in attesa del botto finale: la disgregazione del centrodestra dopo l’eventuale uscita di scena di Berlusconi).
Fra il bipolarismo massimalista (Franceschini) e l’anti-bipolarismo moderato (Bersani) il «popolo democratico» scelse allora il secondo.
Il progetto di Bersani e D’Alema è ora stato sconfitto in Puglia. Se è vera l’ipotesi che da noi si procede solo passando da uno squilibrio all’altro, nel caso del Pd il pendolo dovrebbe ora di nuovo spostarsi verso l’irrigidimento massimalista. È probabile che assisteremo a una progressiva chiusura anche di quei piccoli spiragli di dialogo sulle riforme che si erano recentemente aperti. A maggior ragione se, come è possibile, le elezioni regionali andranno male per il Partito democratico. Ed è anche molto probabile che una nuova svolta massimalista del Pd non dispiaccia a Berlusconi. Nel breve termine, essa darebbe infatti ulteriori vantaggi al centrodestra.
A destra come a sinistra sono deboli le forze disponibili a far funzionare il sistema bipolare tramite moderazione e convergenze al centro. Le forze contrarie sono più consistenti.
Ricorrere a espressioni come « punto di equilibrio » , «equilibrio fra i poteri» (e ad altre espressioni ancora in cui figuri la parola «equilibrio») significa affidarsi a un linguaggio metaforico. Si vuole indicare, semplicemente, il consolidamento di prassi, di comportamenti, che raccolgano l’approvazione, se non di tutti, quanto meno dei più. Perché, si tratti di rapporti fra politica e magistratura, fra pubblico e privato, o fra maggioranze e opposizioni, non si riesce quasi mai a creare sufficiente consenso diffuso non sui contenuti (dove il dissenso e il conflitto sono legittimi e necessari) ma sul modo in cui quei rapporti dovrebbero correttamente svilupparsi? Perché queste oscillazioni fra estremi opposti? Le ragioni sono complesse e ciascuno può scegliere le risposte che preferisce. La più semplice è che, a tutte le latitudini, in alto e in basso, fra le élite come fra i cittadini comuni, mentalità, cultura e sensibilità liberali siano tuttora pressoché introvabili.
Angelo Panebianco
28 gennaio 2010"
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2)
"Dominque De Painblanc
Proseguono, per la saga “Balle spaziali”, gli editoriali di Angelo Panebianco. Il quale ieri, alla tremillesima riga, lamentava sul Pompiere della Sera che in Italia “mentalità, cultura e sensibilità liberali sono tuttora pressoché introvabili”.
Infatti lui scrive sul Pompiere della Sera.
Ciò che lo angustia, tanto per cambiare, non sono gli scandali, ma “lo squilibrio nei rapporti fra politica”, “il predominio giudiziario sulla politica”.
Di quale predominio stia cianciando non è dato sapere, visto che in quindici anni i politici hanno approvato una trentina di leggi per farla franca, si coprono a vicenda con ogni sorta di insindacabilità e intoccabilità e stanno pure provvedendo a blindarsi vieppiù con altre quattro porcate.
Ma lui, impermeabile ai fatti, parla d’altro: “L’episodio emblematico che consacrò la svolta fu, nel 1993, il proclama televisivo con cui l’allora pool di Mani Pulite affossò il decreto Conso sulla questione della corruzione”.
Ne avesse azzeccata una.
Nel 1993 non ci fu nessun proclama televisivo dell’allora pool di Mani Pulite, ma un comunicato letto dal solo Borrelli a proposito del decreto Conso, che non riguardava minimamente la corruzione, ma depenalizzava il finanziamento illecito.
Il comunicato non “affossò” un bel nulla.
Scalfaro non firmò il decreto per due motivi: 1) era un colpo di spugna incostituzionale sulle inchieste di Mani Pulite, fra l’altro a costo zero, perché l’ineleggibilità per 5 anni dei condannati (inizialmente prevista nel testo sottoposto al Quirinale) fu sfilata all’ultimo momento dal provvedimento; 2) gl’italiani stavano per votare un referendum proprio sul finanziamento ai partiti.
L’articolessa panebianca prosegue con una copiosa lacrimazione per l’accordo Bersani-Di Pietro che trascinerà il Pd verso “toni e argomenti dell’estremismo giustizialista” tipici – pensate un po’ – del mite Dario Franceschini. Insomma il Pd avrebbe imboccato una deriva di “irrigidimento massimalista”: infatti Bersani, novello Felice Cavallotti, e quella Rosa Luxemburg rediviva che è la Finocchiaro saltano da un banco all’altro del Parlamento per rodere il cranio ormai implume del povero Silvio.
Uno spettacolo raccapricciante.
La lacrimazione sanguinolenta del madonno di Civitavecchia si conclude con una drammatica previsione: “Assisteremo a una progressiva chiusura anche di quei piccoli spiragli di dialogo sulle riforme che si erano aperti”. Una prospettiva che non può non addolorare un liberale autentico come lui.
Quali siano le “riforme” su cui “dialogare” le spiega il Pompiere qualche pagina più avanti: oltre al processo morto, c’è il legittimo impedimento che per un anno e mezzo consentirà al premier (ma anche ai ministri e forse ai sottosegretari: il governo è pieno di bisognosi) di inventarsi per un anno e mezzo le scuse più inaudite per sfuggire ai processi, in attesa che vi cali la pietra tombale del lodo Alfano turbodiesel a trazione integrale.
Proprio in extremis, i suoi Azzeccagarbugli si sono accorti che col legittimo impedimento il Banana non avrebbe potuto partecipare ai processi che lui intenta agli altri denunciandoli: ecco dunque un emendamento che gli consentirà di portare in tribunale gli altri, ma vieterà agli altri di portare in tribunale lui.
Tutte leggi tipiche di una democrazia liberale.
Ora sarebbe interessante conoscere il pensiero del liberale Panebianco dell’assoluzione di Dominique de Villepin dal processo Clearstream, dov’era accusato da Sarkozy di aver indotto i servizi segreti a dossierare per screditarlo. Due anni fa, essendo imputato, Villepin lasciò la politica e rinunciò alla corsa all’Eliseo per difendersi nel processo. Ora che l’hanno assolto, anziché attaccare i giudici e gridare al complotto (anche se ne avrebbe di che), il gentiluomo parigino s’è detto pronto a “servire ancora i francesi senza rancore”. Nessun lodo, nessun legittimo impedimento, immunità e nessun Panebianco che tromboneggia sullo squilibrio nei rapporti fra politica e magistratura.
Sono pazzi questi francesi.
Marco Travaglio - Il Fatto del 29 gennaio 2010"
Dopo attenta lettura ho deciso: preferisco il secondo articolo.
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