da pierodm il 06/02/2009, 3:43
Non si è mai visto tanto Di Pietro nei TG e nei talk-show politici, come adesso.
La risposta è semplice: gli àscari berlusconiani sguazzano nel conflitto interno all'opposizione, gli altri vedono nel conflitto l'unico motivo d'interesse di una scena politica sempre più piatta e scolorita.
L'ultima esternazione di DP riguarda il "nazismo" di Berlusconi.
Un ottimo argomento, quanto mai opportuno, ma speso molto male: questo è il motivo principale per cui è un delitto lasciare l'opposizione in mano al solo DP.
Perché speso male? Per diverse ragioni, che per semplicità cerco di ridurre a due.
Uno. Berlusconi ha tanti e insopportabili difetti, tra cui quello di non "essere" niente di politicamente rilevante: nemmeno filonazista, e in fondo nemmeno filofascista. E' sostanzialmente un affarista, che - come tutti gli affaristi, capitalisti e "imprenditori" italiani - si butta dove meglio capita e adotta divisa, fez e mostrine di chi gli procura vantaggi.
Certo, come premier è oggettivamente responsabile di qualunque provvedimento o atteggiamento del governo e degli alleati, ma la deriva che possiamo rappresentare in odore di "nazismo in pectore" non viene da lui, per il semplice fatto che degli immigrati, delle razze, dei colori delal gente e di tutta la faccenda non gliene frega niente.
Buttare là la questione, centrandola sul nome di Berlusconi, in una forma così semplificatoria, significa farla naufragare.
Due. Si sta sviluppando in Italia, da quasi vent'anni ormai, un'onda lunga che è riconducibile - come genesi, e come lenta aggregazione di contenuti e di linguaggio - all'emersione e al successo del partito nazionalsocialista tedesco negli anni '20. Un'onda lunga che ha un nome preciso, quello della Lega Nord.
Non c'è bisogno di farla lunga, se ci rcordiamo di quali e quanti siano stati i legami di certi personaggi della prima Lega - soprattutto veneti - con ideologie dichiaratamente nostalgiche della destra "nera" mitteleuropea. Certe radici non si cancellano, e hanno un significato.
Inoltre, mi sembra di aver già esposto in queste sedi telematiche qualche anno fa, un mio forte sospetto sull'adozione, da parte dei neofiti promotori leghisti, di un manuale politico tristemnte noto (ma poco letto), quale fu il Mein Kampf.
La mia non era e non è un'illazione dovuta al pregiudizio, ma al fatto molto semplice che mi ero letto diligentemente il libro già nei miei anni molto giovanili, e che l'azione, il linguaggio, le strategie, la forma stessa della Lega mi hanno fatto tornare alla mente quando ha cominciato a presentarsi su scala nazionale.
Ma, tutto sommato, non è nemmeno l'esistenza in Italia di un rigurgito di questo genere a meravigliare: era presente, sebbene sotterranea, nei decenni precedenti, ed è presente in molti paesi europei.
Quello che è davvero grave è il degrado generale che questa presenza ha imposto a tutta la politica italiana, e prima ancora all'opinione pubblica - la quale già di suo era già sufficientemente sconquassata.
Si subiscono oggi affermazioni, idee, prese di posizione che sarebbero state seppellite sotto una valanga di fischi (o forse di risate) quindici, venti, trent'anni fa - oltre che leggi e atti di governo, naturalmente, tutti o quasi ad opera della pressione leghista.
Naturalmente - poiché ogni fenomeno del genere non nasce solo dall'eclettismo perverso di un pugnetto di "compagni di merenda" che battono le campagne del bergamasco - contano molto le situazioni socio-politiche in cui tutto ciò nasce e cresce. In questo senso, per altro, le analogie tra la fine degli anni '20 e i nostri anni sono state individuate e ampiamente trattate - dalla dissoluzione di Weimar alla Grande Crisi economica, e per certi aspetti anche la fine di un grande Impero, allora quello austriaco, oggi quello sovietico, al quale possiamo aggiungere la progressiva sfiducia verso il modello americano.
Altrettanto naturalmente, il legame con il fenomeno nazionalsocialista finisce qui, ossia sul piano culturale e sociale, dato che manca nel nostro caso tutta la parte del nazionalismo germanico, del militarismo, della revanche sulla "pugnalata alla schiena": ma questo, se da un lato ci tranquillizza, dall'altro funziona da analgesico, ovvero da cortina di fumo ingannevole, che spinge a nascondere o a minimizzare la gravità di ciò che avviene su quel piano culturale e sociale che abbiamo detto.
Rifacendomi al titolo che ho scelto per questo post, mi viene istintivo un paragone con quella che un tempo chiamavamo la Bomba, ai tempi della guerra fredda: la grande paura della bomba atomica, o meglio della guerra atomica.
Passata quella paura, le bombe atomiche intanto continuano ad esistere, anche se si allontana la sensazione che possano essere usate davvero: però non facciamo gran conto del fatto che si sono messe a punto le "piccole bombe atomiche", ossia le atomiche tattiche o aggeggi analoghi, che invece potrebbero benissimo essere usate. Sul piano dei destini del pianeta non sono così distruttive, e nemmeno così spettacolari, ma su una scala territoriale ridotta hanno lo stesso effetto e la stessa veneficità di quelle grosse. Le radiazioni sono le stesse.
Ma Di Pietro parla solo di Berlusconi, e tiene fuori la Lega, e questo è male: non si tratta di sconfiggere tanto il Cavaliere di Mediaset, ma una cultura, una malattia che va al di là dei suoi affari e del suo premierato.
Ci vuole un'azione più convincente che non un'invettiva che rischia di indicare l'obiettivo sbagliato.