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Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda lucameni il 11/04/2010, 14:34

Non è questione di urlare ma di tenere una posizione ferma e intransigente.
Chi si propone così non perde voti ma semmai li acquista (vedi indicatori delle elezioni 2001).
La faccenda delle "urla" è stato per troppo tempo lo strumento della sinistra inciucista per giustificare il proprio nulla e la complicità con quanto accaduto.
A mio avviso con quanto si parla non c'entra nulla.
E' verissimo semmai che chi la fa "fuori dal vaso" spesso procura assist agli avversari.
Faccio un esempio.
A fronte della recentissima tragedia polacca in rete già si trovano commenti e inni a queste morti, in cui ci si rammarica perchè non sia successo a Berlusconi. Praticamente interventi - purtroppo anche in quantità - da parte di una manica di idioti.
Ovviamente tutto questo sarà preso al balzo dagli organi di informazione per mostrare l'inaffidabilità del cosidetto popolo di sinistra.
Ma essere fermi su posizioni intransigenti sui temi della politica è ben altra cosa, per fortuna.
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda franz il 11/04/2010, 16:14

lucameni ha scritto:Non è questione di urlare ma di tenere una posizione ferma e intransigente.
...
Ma essere fermi su posizioni intransigenti sui temi della politica è ben altra cosa, per fortuna.

Su questo a mio avviso non ci piove. Sulle questioni di principio bisogna tenere posizioni ferme e intransigenti.
Ma esse sono solo una parte, non il tutto.
La politica è fatta principalmente (lo ripeto meglio: p-r-i-n-c-i-p-a-l-m-e-n-t-e) di accordi tra le parti, compromessi, soluzioni eque, aggiustamente temporanei, soluzioni minimali ma funzionali, piccoli passi concreti. A volte anche qualche stop e poi qualche passo piu' lungo ma principalmente piccoli passi.
Solo i massimalisti ed i demagoghi si oppongono ai piccoli passi concreti.

La domanda di Orlando, a cui si sfugge perché non si sa rispondere, è chiara: prescindendo da berlusconi, quali sono i problemi della giustizia e quali le soluzioni? Per esempio, il fatto che le cause civili attualmente pendenti sono più di 5 milioni (con una crescita media annua del 7,5 per cento) è un problema a sè (che c'era anche con i governi di centrosinitra) oppure dipende dal fatto che al governo c'è Berlusconi con i suoi problemi? Esistono problemi e soluzioni a prescindere dal caso del PdC?
Ora se qualcuno sta cercando di convincerci che siccome c'è Berlusconi allora tutti i problemi della giustizia dipendono da lui e non esistono soluzioni a prescindere da lui (ed ogni soluzione è un inciucio) per me è segretamente pagato da berlusconi o è come se lo fosse.

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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda lucameni il 11/04/2010, 16:27

Gran parte dei problemi della giustizia civile, penale e amministrativa sono se non risolvibili a breve, certamente possibili di essere ricondotti a disagio sopportabile in tempi brevi.
Le soluzioni ci sono, ma non certo quelle messe in agenda come prioritarie dal PDL che invece - e chi bazzica i tribunali lo sa - porterebbero solo allo sfascio.
Non vedo perchè il PD, accanto a proposte astrattamente condivisibili, debba comunque agevolare, anche se in forma più ingentilita, dei provvedimenti che nella sostanza vanno nella direzione auspicata da B. e che - appunto - distruggerebbero quel poco che ancora si salva.
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda franz il 11/04/2010, 16:50

lucameni ha scritto:Gran parte dei problemi della giustizia civile, penale e amministrativa sono se non risolvibili a breve, certamente possibili di essere ricondotti a disagio sopportabile in tempi brevi.
Le soluzioni ci sono, ma non certo quelle messe in agenda come prioritarie dal PDL che invece - e chi bazzica i tribunali lo sa - porterebbero solo allo sfascio.
Non vedo perchè il PD, accanto a proposte astrattamente condivisibili, debba comunque agevolare, anche se in forma più ingentilita, dei provvedimenti che nella sostanza vanno nella direzione auspicata da B. e che - appunto - distruggerebbero quel poco che ancora si salva.

Già ma io ho letto, grazie a te, le recenti proposte (articolate) di Orlando ma non conosco (pur avendole cercate) quelle di IDV. Eppure mi aspetterei di trovarle. Ho trovato solo uno stitico "Efficienza della macchina della giustizia; Riduzione del numero delle leggi e semplificazione delle stesse" che è francamente esilarante. E quando mai qualcuno sano di mente potrebbe proporre pubblicamente l'inefficenza della macchina della giustizia nonché l'aumento del numero delle leggi e la loro complicazione? Invero queste cose nessuno le propone in modo palese ma quasi tutti lo fanno, in silenzio, e infatti ci sono circa mille addetti a questo compito, pagati profumatamente, nelle due camere.
Concordo che le soluzioni ci sono e che non sono certo quelle proposte dal PdL ma il centro sinistra ha governato molti anni (due volte) senza affrontare alcuna soluzione concreta, lasciando la giustizia nella stessa misera situazione in cui l'ha trovata. E Di Pietro era anche lui ministro, anche se con altri incarichi. Quello che voglio far capire è che la responsabilità è anche nostra. Berlusconi è un facile alibi dietro cui nascondersi per far dimenticare che dal 1996 al 2001 e dal 2006 al 2008 non abbiamo fatto sostanzialmente un XXXXX.

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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda ranvit il 11/04/2010, 21:03

Dice bene franz....la politica è principalmente la ricerca continua di piccoli passi avanti.
Soprattutto quando non si ha il consenso della gente....

Certo è difficile avere a che fare con questo "signore" :
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http://www.repubblica.it/politica/2010/ ... _-3273307/

La reazione di Anna Finocchiaro alle parole di Berlusconi a Confindustria
L'irritazione del Colle nella ricostruzione di Scalfari su Repubblica
Il Pd: "Come fare riforme con un premier
che attacca gli organi costituzionali?"
Bonaiuti: "La centrale di propaganda del Pd cerca di mascherare la verità
la sinistra ha poca o nessuna voglia di confrontarsi sulle riforme


ROMA - Nessuna reazione ieri, dopo il passaggio che Silvio Berlusconi ha dedicato alle riforme davanti alla platea di Confindustria. Iniziato con la lamentazione per i pochi poteri del governo rispetto al Parlamento, continuato con la promessa di una riforma fiscale e, in mezzo, le battute sulla sua insofferenza ai controlli sulle leggi della Consulta e del Quirinale. Parole non insistite ma che hanno creato stupore negli ambienti istituzionali e - come ha raccontato Eugenio Scalfari nel suo fondo domenicale su Repubblica - irritato Giorgio napolitano che ha chiamato Gianni Letta per protestare, ricevendone le scuse personali che sembrano non essere affato bastate al capo dello Stato.

E adesso, proprio sul punto delle garanzie, arriva l'attacco del Pd attraverso la capogruppo al senato Anna Finocchiaro: "Ieri il premier ha apertamente attaccato la Consulta e la presidenza della Repubblica, denunciando ancora una volta la filosofia che muove la sua volontà riformatrice. Questo Paese ha certo bisogno di riforme ma non di un potere senza controlli ed equilibri. È davvero difficile - dice la presidente del Pd a Palazzo Madama - pensare a un confronto con chi ha questa concezione della democrazia e delle Istituzioni". Che nel merito contesta al presidente del Consiglio di proseguire con una politica di "annunci e alla confusione, sempre sulla base del suo tornaconto propagandistico. Però, quello che, nelle parole del premier, non cambia mai sono gli attacchi che egli sferra agli organi costituzionali e di garanzia".

L'ultimo attacco, dicevamo, ieri in Confindustria: "Ogni provvedimento governativo ha detto - viene preliminarmente sottoposto al presidente della Repubblica e al suo staff che ne controlla addirittura gli aggettivi". Parole che - rivela Scalfari nel fondo su Repubblica - arrivano alle orecchie di Napolitano che si fa chiamare Gianni Letta al telefono. Ricevendo di risposta un: "Non sapevo nulla. Ho udito anch'io. Le faccio le mie personali scuse".

Nella ricostruzione di Scalfari la risposta del Presidente è stata: "Le scuse personali non risolvono la questione. Se non si trattasse del presidente del Consiglio ma di una qualunque altra persona dovrei dire che siamo in presenza di un bugiardo che dice una cosa al mattino e fa l'opposto la sera oppure d'una persona dissociata e afflitta da disturbi schizoidi".

Bonaiuti attacca la sinistra. Le critiche democratiche al premier seguite all'editoriale di Scalfari provocano la polemica reazione di Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. "La centrale di propaganda del Pd cerca di mascherare la verità: la sinistra ha poca o nessuna voglia di confrontarsi sulle riforme, perchè non riesce a trovare l'accordo tra le sue mille anime".
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.....ma questo "passa il convento"!

L'azione del Pd, in attesa di tempi (e uomini) migliori, è comunque quella di limitare i danni.....al Paese contribuendo a non fare pessime riforme e a sè stesso (Pd) dando un'immagine di partito che opera per il bene del Paese rispettando la volontà popolare.
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda lucameni il 14/04/2010, 18:23

A A.Orlando risponde Caselli.


http://antefatto.ilcannocchiale.it/glam ... _giustizia



"Candida giustizia.

14 aprile 2010

Andrea Orlando è intervenuto sul quotidiano Il Foglio per esporre le proposte del Pd nel settore Giustizia, di cui è responsabile. Vari commentatori temono che possa esservi troppa disponibilità al dialogo purchessia. Orlando (anche sul Fatto di domenica scorsa) ha respinto l’ipotesi e gliene va dato atto. Ma forse vi sarebbero state meno perplessità senza lo strano invito a fingere che in Italia il problema sia “solo quello di far funzionare la giustizia”, dimenticando il premier con i “suoi processi da aggiustare e le sue vendette da consumare”. Anche il Candide di Voltaire faticherebbe ad astrarsi così tanto, essendo impresa davvero ardua fingere di vivere nel migliore dei mondi mentre la realtà che incombe è tutt’affatto diversa. Del resto, l’interlocutore prescelto da Orlando non gli ha reso un gran servizio intitolando il suo intervento: "Caro Cav, il Pd ti offre giustizia". Dove - a parte il tu confidenziale - sintomatica è soprattutto la parola "offre": posto che offerta (Devoto-Oli) è l’atto rituale di riconoscimento della divinità, mediante destinazione ad essa dei prodotti del proprio lavoro. Come a dire che in fondo interessa non tanto il dialogo ma piuttosto l’ossequio…Altre perplessità potrebbero sorgere proprio per la scelta dell’interlocutore, se si considera che Il Foglio si è spesso segnalato per l’insofferenza verso i magistrati (maledetti giustizialisti!) colpevoli di concepire le garanzie come veicolo di eguaglianza, mostrando invece di preferire un garantismo "strumentale" che depotenzi la magistratura di fronte al potere politico ed economico. Per cui suona un po’ singolare che si rammenti alla sinistra che “tra le sue radici c’è la cultura delle garanzie”, come fa Orlando, proprio mentre ci si applica su Il Foglio. Ma ciascuno è ovviamente libero di chiedere ospitalità a chi crede.

Ma veniamo alle proposte di Orlando. Impossibile non essere d’accordo con lui quando chiede di puntare l’attenzione sulle cause civili, mentre ricorda che il processo penale obiettivamente punisce secondo criteri di classe. E’ giusto pretendere una revisione dei meccanismi delle notifiche e una semplificazione delle impugnazioni. E’ sacrosanto definire fondamentale il tema dell’organizzazione e delle risorse. Anche se non si può fare a meno di osservare come sia fuorviante porre oggi un problema di "qualificazione del personale amministrativo", quando in verità si tratta di una specie in via di estinzione per la voragine ormai cronica fra organici e forze effettive.

Fin qui però siamo nel perimetro entro cui non è difficile, se davvero si vuole migliorare un sistema allo sbando, trovare una base comune. Dove il gioco si fa duro è quando si passa a parlare di giusti tempi del processo, obbligatorietà dell’azione penale, sistema elettorale del Csm, distinzione dei ruoli fra pm e giudici, azioni disciplinari. Qui le proposte di Orlando rivelano – a mio giudizio – un limite. L’opposizione rinunzia ad un suo autonomo programma. Assume una posizione subalterna adattandosi passivamente all’agenda di gran parte della maggioranza, senza chiedersi se siano proprio questi i nodi reali della questione giustizia oggi in Italia, posto che tale agenda ha come principale obiettivo (come non accorgersene?) la riforma non della giustizia ma dei giudici, oggi troppo indipendenti per poter essere ancora tollerati da quelli che gli viene l’orticaria se solo si accenna a legalità, regole e controlli. Un limite: tanto più che mettersi in scia, giocando solo di rimessa senza schemi propri, comporta il rischio di perdere e perdersi.

Nel merito, meriterebbero di essere commentate tutte le proposte di Orlando, ma c’è spazio solo per alcune. Scelgo innanzitutto l’obbligatorietà dell’azione penale. Una pietra angolare della democrazia, che va difesa. Partire dallo sfascio del sistema per rimuoverla può far comodo a chi non crede nell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ma chi ci crede dovrebbe lavorare perché il sistema funzioni consentendo al principio dell’obbligatorietà di diventare effettivo. Non accettare di fatto la logica di chi vorrebbe buttar via il classico bambino profittando dell’acqua sporca. Quanto alla polemica sulle correnti, condivido l’opinione di Rita Sanlorenzo (segretaria di quella banda di irriducibili iconoclasti che è Md…) secondo cui il loro dominio sull’elezione dei componenti togati del Csm si contrasta introducendo un sistema elettorale proporzionale su liste, che riporti il potere di scelta in mano ai magistrati, come vuole la Costituzione. E’ il sistema positivamente sperimentato per l’elezione dei Consigli giudiziari: preferire un sistema elettorale maggioritario su base regionale sostituirebbe inevitabilmente, ai difetti del correntismo, lo sfacelo del clientelismo localistico. Orlando pone poi il problema della "efficacia delle attuali azioni disciplinari".

Mai come in questo caso occorre partire dai dati di fatto. Nel 2009 ci sono state 62 condanne e 17 uscite dall’ordine giudiziario, su un corpo di circa 9000 magistrati. Una "efficacia delle attuali azioni disciplinari" che è nettamente superiore a quella di ogni altra amministrazione pubblica o ordine professionale. Dunque non un plotone di esecuzione, ma neppure quella "giurisdizione domestica" spacciata dalla propaganda di coloro che - provando fastidio per l’indipendenza della magistratura - vorrebbero regolare alcuni conti con il suo organo di autogoverno. Dunque, va bene discutere di tutto, ma partendo dalla realtà, non assumendo posizioni subalterne all’agenda altrui che possono favorire compromessi al ribasso.

Infine, sbaglia a mio giudizio Orlando quando dice che "intanto…si parla troppo, solo, di intercettazioni". E no: proprio qui sta la cartina di tornasole di ogni possibile riforma della giustizia. Cambiare la disciplina delle intercettazioni, pretendendo indizi non più di “reato” ma di “colpevolezza” (l’aggettivazione in un modo o nell’altro non sposta le cose) significa che ad esse si potrà di fatto ricorrere soltanto quando si conosce già il colpevole, e cioè quando le intercettazioni non servono più a nulla. Peggiore mortificazione della giustizia non si può immaginare, trattandosi di una mortificazione che sacrifica la sicurezza di tutti i cittadini sull’altare dell’interesse di pochi. Ma mortificare la giustizia è in rotta di collisione con qualunque seria volontà di riforma. Altro che parlarne troppo! Tutto ciò va gridato preliminarmente a piena voce, sostenuto con contrapposizione dialettica forte e senza riserve. Altrimenti può riaffiorare la preoccupazione (o l’accusa) che una parte dell’opposizione in tema di giustizia non voglia poi differenziarsi troppo dalla maggioranza politica contingente, ma preferisca una sostanziale omogeneizzazione.

Da il Fatto Quotidiano del 13 aprile "
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda ranvit il 14/04/2010, 19:49

Ma......negli altri Paesi occidentali come stanno le cose?
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda lucameni il 14/04/2010, 19:58

Comparazione estremamente difficile ma in parte rispondono due agili e chiarissimi libri di Bruno Tinti.
Vi propongo delle recensioni scritte da persona che conosco benissimo.

"Toghe rotte"

La presentazione più efficace di “Toghe rotte” è proprio la breve prefazione di Marco Travaglio: dieci pagine che fotografano perfettamente l’intento di Bruno Tinti e dei suoi anonimi colleghi; ed anche la descrizione devastante di come sia mal messa la giustizia italiana.

Conviene riportarne un brano: “Il quadro che ne esce è realistico fino alla brutalità, dunque diametralmente opposto alla vulgata corrente. Il quadro di un paese dominato da almeno quattro diverse culture immunitarie stratificate e incrociate: quella molliccia e mafiosetta del familismo amorale; quella giustificazionista dei cattolici all’italiana, sempre pronti all’indulgenza e al perdonismo; quella deresponsabilizzante e anti-istituzionale del sinistrismo anni ’60 e ’70, per cui “è sempre colpa della società” e del “modello di sviluppo”; e quella losca e affaristica dell’aziendalismo anarocoide, perfettamente incarnata dal cavalier Berlusconi e dalla sua fairy band, ovvero tolleranza mille per i colletti bianchi e tolleranza zero per i poveracci”.
L’autore-curatore, due anni fa ancora in carriera quale Procuratore aggiunto presso la Procura di Torino e specializzato nell'inseguire i reati finanziari, con questo saggio di grande successo ha dato voce ad un sentire diffuso tra i magistrati e anche tra tutti coloro che, avendo avuto a che fare con i tribunali, non si fanno incantare dalla disinformazione dei media; come se in Italia, con buona pace di fantasiosi editorialisti tipo il prof. Whitebread, il problema fosse il “giustizialismo” e quei loschi individui illiberali, addirittura contrari ad indulti e leggi ad personam.
Incazzarsi perché il novantacinque per cento dei processi penali finisce nel nulla non so se voglia dire giustizialismo: basta intendersi sul significato delle parole.
Quello che in altri paesi vuol dire almeno centocinquanta anni di carcere (tipo reati fiscali, falso in bilancio e così via), da noi significa elezione al Parlamento; e magari pure diventare presidente del consiglio.

Non deve perciò meravigliare se qualcuno di noi potrà intendere in altro senso il liberalismo, la giustizia, l’efficienza della procedura penale e civile.
“Toghe rotte” è un saggio scritto con uno stile brillante, molto scorrevole, senza velleità dottrinali, ma che, proprio in virtù del suo svelare la concreta applicazione di quei codici e leggi che ci sono state raccontate come espressione di grandi principi di civiltà, rappresenta un atto di coraggio in questa Italia di conformisti e parolai.
Un atto di coraggio premiato sicuramente con la vendita di tante copie del libro, ma comunque una voce non allineata né con la casta politica di governo e della pseudo-opposizione, né con le correnti corporative della magistratura.
Raccontare le cose come stanno da noi, soprattutto quando si entra nel campo della cosiddetta “giustizia”, non è la regola ma l’eccezione.
Una descrizione di inefficienza kafkiana che da un lato potrà irritare coloro, militanti ed adoranti politici, che vogliono credere a tutti i costi alla favola dello Stato di polizia in mano a magistrati stalinisti; e dall’altro un quadro che potrà spiazzare tutti quei lettori, magari pure con alle spalle studi giuridici, che mai avrebbero pensato di veder ridotti così i principi del “giusto processo”.
Chiunque si sia fatto un mazzo tanto sui tomi di diritto e abbia avuto poi la sfortuna di vedere cosa succede veramente nelle aule di tribunale, sa di cosa parlo.
Ne consegue che per molti di noi “Toghe rotte” non racconta nulla di nuovo, niente di cui non si sia in fondo consapevoli.
Leggere in poco più di centocinquanta pagine la descrizione di tali inefficienze e assurdità, tutto d’un fiato, fa comunque un certo effetto: in altri termini la dimostrazione di come tra la teoria, le dichiarazioni di principio e la pratica ci sia un abisso.
Altro merito del libro, come ben sottolinea ancora una volta Travaglio, è quello di “smontare con esempi concreti tutti i luoghi comuni dei nostri politici che fanno il pianto greco ogniqualvolta finisce sotto inchiesta un membro della casta, anzi della cosca. Per esempio le litanie sulla “violazione del segreto istruttorio” (che non esiste più dal 1989) o della “privacy” (che viene meno quando sono in ballo personaggi pubblici coinvolti in indagini giudiziarie). Come se il problema non fossero i fatti scoperti dalla magistratura ma la pubblicazione delle notizie sui giornali”.
Le inefficienze del sistema giudiziario italiano e le prospettive di prossime riforme, foriere di ulteriori abomini, sono evidenziate da grotteschi episodi di ordinaria ingiustizia e dove i magistrati si sbattono di lavoro pur sapendo che tutto quello che fanno sarà inutile in previsione delle inevitabili scarcerazioni, condoni, prescrizioni.
Al di là di questa aneddotica, il cui piglio quasi divertente mette ancor più in risalto le storture di un ingranaggio che fa a pezzi dignità e buon senso, “Toghe rotte” in “Corso accelerato di diritto e procedura pena”, presumibilmente ad opera proprio di Bruno Tinti, toga tutt’altro che “rossa”, ci descrive cosa vuol dire l’applicazione dell’attuale codice di procedura, della legge Gozzini e di tutte le riforme salva ladri promulgate in un paese sempre più allergico alle regole, ma che appunto per questo ne produce in quantità: ne discende un barlume di consapevolezza che, paradossalmente, non è proprio possibile ricavare con lo studio dei codici e dei poderosi manuali istituzionali di procedura e diritto.
A quel punto, abbandonate per un attimo le impegnative considerazioni dottrinali dei nostri professori universitari, possiamo capire come mai le galere italiane sono abitate da un ottanta per cento di tossici e piccoli delinquenti, mentre chi ruba miliardi ha la prescrizione assicurata; e sta a casa sua.
In altre parole: “una procedura penale del genere non esiste in nessun altro paese del pianeta. Cercate e vedrete che siamo gli unici a tutelare gli imputati instigandoli a fuggire dal processo” (pag. 43); ovvero una giustizia ad oggi programmata per non funzionare, che per diventare efficiente necessiterebbe di poche e semplicissime soluzioni. Se solo si volesse.
In questo senso viene alla mente Davigo quando, serissimo, ci diceva come la migliore riforma della giustizia consisterebbe nell’abrogazione dei nostri attuali codici e nell’adozione di quelli svizzeri.
E poi ancora nel capitolo “Si fa ma non si dice” parole semplici e chiare per distinguere la cosiddetta questione morale dalla questione penale.
Mentre Vaclav Havel descriveva la magistratura come “il potere dei senza potere”, ovvero un’amministrazione che serve ai più deboli, qui in Italia pare che se ne sia data un’interpretazione opposta, quale strumento volutamente inefficiente per rendere la vita facile ai potenti pieni di grana e la vita difficile ai poveracci senza santi in paradiso.

“In Italia la Giustizia è diventata una macchina per tritare acqua” (Gherardo Colombo)

“In Italia l’unica vera rivoluzione sarebbe una legge uguale per tutti” (Ennio Flaiano)

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Bruno Tinti (19 dicembre 1942, Roma), ex procuratore aggiunto presso la Procura di Torino. Autore di pubblicazioni, articoli e relazioni in convegni in materia penale tributaria e penale societario.

Bruno Tinti, Toghe rotte, Chiarelettere, Milano 2007

Riferimenti web:

http://it.wikipedia.org/wiki/Toghe_rotte

http://chiarelettere.ilcannocchiale.it/ ... oc=1619844

http://www.agoravox.it/Intervista-a-Bru ... ttivo.html




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La questione immorale


Un anno dopo il successo di “Toghe rotte” si replica.

Questa volta però Bruno Tinti, ormai ex magistrato e fresco collaboratore del quotidiano “Il fatto”, possiamo definirlo autore a tutti gli effetti, mentre nel precedente saggio-pamphlet appariva soprattutto come curatore di un’opera corale dove alcuni giudici e procuratori si raccontavano (anonimi) alle prese con lo sfascio della macchina giudiziaria.

“La questione immorale” segue a ruota, e il nostro Tinti, come volendo passare “dalla protesta alla proposta”, continua a proporci un tema che pare essere ancora oggetto misterioso presso tutti i media generalisti italiani e, paradossalmente, anche presso i futuri operatori del diritto, troppo condizionati da uno studio del diritto che si nutre di principi astratti e soprattutto interpretati ad uso e consumo di interessati avvocati e politici intenti a pararsi le terga.

Venti anni che bazzico certo mondo mi induce a fidarmi più dell’ex magistrato che dei Ghedini della situazione, tanto per dire.

Ma entriamo nel merito del libro.

Innanzitutto Tinti ci ricorda quale siano i problemi (presunti) che la classe politica, nella sua veste bipartisan e inciucista, ci spaccia come da risolvere al più presto: la separazione delle carriere, la non obbligatorietà dell'azione penale, la responsabilità civile dei magistrati (ma non c’era già la L. 117/88?), il blocco delle intercettazioni telefoniche e via e via allarmando.

Un’urgenza che ha una sua verità, ma forse – considerazione personale - più per la protezione delle citate terga che per l’effettiva funzionalità di quella macchina giudiziaria già sfasciata da decenni di “leggi ad personas”.

In altri termini - qui Tinti non usa troppi giri di parole – l’autore ci spiega i meccanismi con cui i politici, col pretesto di regalarci un futuro di diritti e una normativa in linea con i grandi principi di civiltà, vogliono ottenere il controllo dei magistrati e la garanzia dell'impunità.

A grandi linee, almeno noi lettori e cittadini meno sprovveduti, già lo sappiamo: togliendo l'iniziativa al P.M., metterlo alle dipendenze dell’esecutivo, sottrargli il controllo della polizia giudiziaria; e poi limitare le intercettazioni da parte della magistratura, mentre polizia, servizi e quindi il governo per motivi di sicurezza, vera o presunta, possono intercettare migliaia di cittadini.

Un quadro che si è venuto delineando sempre più in questi anni, da quando si è capito che le sole leggi ad personam non potevano essere sufficienti per assicurare l’impunità per se stessi, per i propri scherani e per i compari della finta opposizione.

A Bruno Tinti, proprio come nel caso del precedente “Toghe rotte”, va riconosciuto il merito di raccontarci una situazione drammatica ed anche complicata (si tratta pur sempre di una normativa di non facile comprensione, sia per i neofiti del diritto, sia per coloro che, usciti dalle aule universitarie, hanno ricevuto una formazione puramente teorica), con uno stile colloquiale, a volte fin troppo, e comunque con particolare chiarezza espositiva.

Si sente spesso dire che le riforme prossime venture della giustizia sarebbero fatte proprio per renderci finalmente in linea con quanto accade negli altri paesi garantisti dell’occidente democratico. Vogliamo crederci?

Se volete proprio crederci allora farete bene a non leggere “La questione immorale”. Le organizzazioni giudiziarie e le normative di stati come gli USA, la G.B., la Francia sono qui descritte con tutti i loro limiti (e pregi).

In altri termini, dopo aver affrontato, seppur in maniera sommaria, la comparazione dei più importanti sistemi giudiziari dell’occidente (con queste pagine “La questione immorale diventa qualcosa più di un polemico pamphlet), viene posta la domanda chiave di tutto il libro: se il sistema di reclutamento dei magistrati stranieri è pessimo e il nostro ottimo, perché loro stanno meglio di noi?

Così Tinti: “mentre il controllo che la politica opera sulla magistratura per assicurarsi di non essere sottoposta al controllo di legalità avviene in via diretta (ufficialmente o ufficiosamente), il sistema giudiziario resta intatto e può funzionare in maniera efficiente per tutto ciò che attiene ai consueti rapporti del vivere civile…… Corollario di questa riflessione è che, nel nostro Paese dove questo controllo diretto è – era (i casi Forleo e De Magistris rischiano di aprire una nuova fase) – impossibile, la sottrazione della politica al controllo di legalità avviene mediante tre drammatici strumenti: le leggi ad personam, la delegittimazione dei giudici, la delegittimazione della legge” (pag. 33).

Qualche altro passaggio significativo: (I politici) “hanno delegittimato il concetto stesso di legalità “e “i cittadini imparano della loro classe dirigente” (pag. 41).

“Alla fine è evidente che l’obiettivo è quello di trasformare il Pubblico Ministero: da magistrato autonomo e imparziale ad avvocato dell’accusa. Insomma oggi , con la classe politica attuale tesa a difendere la propria impunità, ciò significherebbe la morte della legalità e della democrazia” (135)

In merito alla risibile ma purtroppo molto diffusa idea di P.M. quale “avvocato dell’accusa”: “Per il Pubblico Ministero non è importante che l’imputato venga condannato, è importante che il colpevole sia condannato. E quindi, se l’imputato non è colpevole, il PM ha l’obbligo di chiedere che venga assolto. Alla fine, nel PM, si riassume il ruolo di accusatore e difensore” (pag. 136).

Sull’eventualità della separazione del P.M. dalla polizia giudiziaria: “ è ovvio quello che potrebbe succedere: massima solerzia e disponibilità per spaccio di droga, omicidio dell’amante e del coniuge (ma per il coniuge un po’ di più) sequestro di persona, rapina alle poste, furto al supermercato. Ma nel caso si cominciasse ad indagare su frodi fiscali, falso in bilancio, riciclaggio, corruzione, peculato, abuso d’ufficio, finanziamento illecito dei partiti allora, caro Pubblico Ministero, gli uomini sono quelli che sono, c’è tanto da fare, la sua richiesta sarà evasa prima possibile” (pag. 144).

Ai riferimenti tecnici e normativi perciò si accompagnano le osservazioni di coloro che vivono giorno per giorno la realtà demoralizzante e complessa della macchina giudiziaria; non fosse altro che ogni riforma creata per aumentare lo scudo a protezione dei potenti “non incide solo sui loro processi: aumenta l’inefficienza dell’intero sistema”.

Osservazioni peraltro apparentemente ovvie ma, non a caso, sempre trascurate da parte dei media. Nella seconda e terza parte del libro in “Riforme impossibili” e “Riforme possibili”, l’autore spiega come si potrebbe far funzionare al meglio la macchina della giustizia italiana, magari abbandonando quel “giusto processo” (vedi art. 111 C.) che poi tanto “giusto” non è, e soprattutto le leggi fatte per non funzionare (in “La questione immorale” di esempi concreti ne troviamo a iosa).

E per replicare a chi ha tacciato Tinti di essere una “toga rossa” basta leggersi un suo brano autobiografico su una vicenda risalente al 1980, nella quale dei sindacalisti impedivano l’accesso alla fabbrica ai loro colleghi non scioperanti, con i carabinieri che, su input politico, facevano resistenza alle indagini dei magistrati (rossi?).

Così viene raccontata la conversazione tra un appartenente all’Arma e un suo superiore: “Olio tra le parti signor colonnello, ho capito signor colonnello, non esacerbiamo gli animi, non è il momento delle denunce signor colonnello”.

Su questo olio che si voleva dispensare con tale disinvoltura così il nostro ex magistrato: “Se non avessimo cercato, un gran numero di reati sarebbe stato commesso impunemente e l’intero paese avrebbe constatato che prepotenza, violenza e complicità pubbliche rendono utile e impunita l’illegalità” (pag. 147). Insomma lì di “rosso” c’era proprio poco, anzi nulla.

Però lo sappiamo come vanno le cose in Italia e come, a distanza di vent’anni dalla caduta del sistema sovietico e ancora pieni di comprensibili rancori, una delle più tremende eredità del comunismo sia l’anticomunismo usato per farsi gli affari propri. Insomma, per dirla col nostro ex magistrato, “una giustizia che funzioni pare proprio faccia troppa paura”.

Per essere ancora più precisi: a me e ad altri di voi non penso farebbe paura, ma a qualcuno dei nostri zelanti riformatori credo proprio di si.

Sarò malfidato?

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Bruno Tinti (19 dicembre 1942, Roma), ex procuratore aggiunto presso la Procura di Torino. Autore di pubblicazioni, articoli e relazioni in convegni in materia penale tributaria e penale societario. Dal dicembre 2008 ha lasciato la Magistratura. Nel 2007 ha pubblicato con successo il libro Toghe rotte (ChiareLettere, 85mila copie), che è anche il titolo del suo fortunato blog sulla giustizia.

Collabora a “Il fatto”.

Bruno Tinti, La questione immorale, Chiarelettere, Milano 2009

Riferimenti web:

http://it.wikipedia.org/wiki/Toghe_rotte

http://chiarelettere.ilcannocchiale.it/ ... oc=1619844

http://www.agoravox.it/Intervista-a-Bru ... ttivo.html
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda franz il 14/04/2010, 20:27

ranvit ha scritto:Ma......negli altri Paesi occidentali come stanno le cose?

Su cosa? Sulla riforma della giustizia? Sulla giustizia? Sull'opposizione? Sull'inciucio?
Parliamo di giustizia.
Diciamo che mediamente le cose al nord europa funzionano e quindi il miglioramento viene seguito per via ordinaria, con piccoli aggiustamenti.
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Re: Questa è "l'opposizione". Le consuete prove di inciucio.

Messaggioda ranvit il 15/04/2010, 11:46

Mi riferisco alla separazione delle carriere, all'obbligatorietà dell'azione penale, alle intercettazioni telefoniche, etc
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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