Lavorare da casa per inquinare meno

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Lavorare 8 ore al giorno svegliarsi sempre alla stessa ora e finire sempre alla stessa ora, è uno stile di vita claustrofobico, al quale si aggiunge lo stress che provoca il pendolarismo. Ma c’è anche un altra possibilità: lo smart working, il lavoro agile, che si sta lentamente diffondendo. Permette al lavoratore di lavorare da casa e di vivere in modo più sano.
Non molte aziende lo stanno utilizzando, ma potrebbe essere una chiave per il futuro: in questo modo infatti si fa anche del bene all’ambiente, riducendo le emissioni che provocano il riscaldamento globale (proprio in questi giorni si tiene in Polonia il summit Cop 24 che dovrebbe riconfermare gli accordi di Parigi, nel quale gli Stati si impegnarono a mantenere l’aumento di temperatura sotto gli 1,5 °C. Purtroppo siamo ancora lontani da quella meta).
Secondo un studio intitolato Added Value of Flexible Working e commissionato da Regus, un fornitore mondiale di spazi di lavoro. a Development Economics, una società di consulenza che fornisce ricerche di mercato, una diffusione su vasta scala del lavoro flessibile ridurrebbe i livelli di anidride carbonica di 214 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030, in pratica la stessa quantità di CO2 che verrebbe sottratta dall’atmosfera da 5,5 miliardi di alberi.
Il beneficio non riguarderebbe solo l’ambiente: si risparmierebbero infatti anche 3,53 miliardi di ore impiegate ogni anno per raggiungere il posto di lavoro, ovvero l’equivalente del tempo passato al lavoro annualmente da 2,01 miliardi di persone. E ci sarebbero anche consistenti vantaggi economici: il valore aggiunto della flessibilità all’economia mondiale sarebbe pari a oltre 10.000 miliardi di dollari se venisse applicata nei sedici Paesi analizzati, ovvero Australia, Austria, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Hong Kong, India, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Singapore, Stati Uniti e Svizzera.
Quando pensiamo ai benefici del lavoro flessibile, spesso ci concentriamo sui vantaggi locali. In particolare pensiamo che permetta di avere un migliore rapporto tra vita e lavoro, più tempo con la famiglia, meno ore passate a guidare o a spostarsi.
Ma il lavoro flessibile non è solo lavorare a casa. E’ infatti la possibilità di lavorare in qualsiasi posto ci si trovi, che sia un caffè o un rifugio di montagna. E’ stato reso possibile dalla tecnologia, che ci ha permesso di essere sempre connessi, di inviare messaggi, fare video conferenze o inviare dati, perfino facendo a meno del computer. E un modo di lavorare che faceva paura perché i datori di lavoro non sapevano come controllare le ore effettivamente lavorate dai dipendenti, ma che si è trasformato invece in un risparmio notevole di tempo e risorse.
Impiegati che lavorano dovunque e in qualsiasi ora significa rispondere immediatamente a ogni esigenza. Certo, il rischio che si diventi schiavi e si debba essere pronti a rispondere 24 ore su 24 c’è. Ma ovviamente questo dipende da regole che devono essere fissate.
E quando vengono rispettate, l’agilità lavorativa rende molto più felice la forza lavoro, alzando inevitabilmente la produttività. Va poi considerato che ogni singolo pendolare che cambi il suo modo di viaggiare, risparmia 6-9 tonnellate di anidride carbonica ogni anno.
La disponibilità ad accettare un contratto a 8 ore chiusi in un ufficio preoccupa soprattutto per il futuro. I millennial infatti hanno logiche completamente diverse rispetto alle generazioni precedenti. Ma entro il 20125 saranno il 75 per cento della forza lavoro. Prima di tutto, abitando da sempre l’ambiente digitale, non vedono ragione di adottare logiche desuete, tra le quali quelle che richiedono una presenza in carne ed ossa. Il loro desiderio è piuttosto quello di lavorare in una community virtuale, come quella a cui sono abituati, senza sprecare ore preziose della loro giornata.
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Lavorare 8 ore al giorno svegliarsi sempre alla stessa ora e finire sempre alla stessa ora, è uno stile di vita claustrofobico, al quale si aggiunge lo stress che provoca il pendolarismo. Ma c’è anche un altra possibilità: lo smart working, il lavoro agile, che si sta lentamente diffondendo. Permette al lavoratore di lavorare da casa e di vivere in modo più sano.
Non molte aziende lo stanno utilizzando, ma potrebbe essere una chiave per il futuro: in questo modo infatti si fa anche del bene all’ambiente, riducendo le emissioni che provocano il riscaldamento globale (proprio in questi giorni si tiene in Polonia il summit Cop 24 che dovrebbe riconfermare gli accordi di Parigi, nel quale gli Stati si impegnarono a mantenere l’aumento di temperatura sotto gli 1,5 °C. Purtroppo siamo ancora lontani da quella meta).
Secondo un studio intitolato Added Value of Flexible Working e commissionato da Regus, un fornitore mondiale di spazi di lavoro. a Development Economics, una società di consulenza che fornisce ricerche di mercato, una diffusione su vasta scala del lavoro flessibile ridurrebbe i livelli di anidride carbonica di 214 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030, in pratica la stessa quantità di CO2 che verrebbe sottratta dall’atmosfera da 5,5 miliardi di alberi.
Il beneficio non riguarderebbe solo l’ambiente: si risparmierebbero infatti anche 3,53 miliardi di ore impiegate ogni anno per raggiungere il posto di lavoro, ovvero l’equivalente del tempo passato al lavoro annualmente da 2,01 miliardi di persone. E ci sarebbero anche consistenti vantaggi economici: il valore aggiunto della flessibilità all’economia mondiale sarebbe pari a oltre 10.000 miliardi di dollari se venisse applicata nei sedici Paesi analizzati, ovvero Australia, Austria, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Hong Kong, India, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Singapore, Stati Uniti e Svizzera.
Quando pensiamo ai benefici del lavoro flessibile, spesso ci concentriamo sui vantaggi locali. In particolare pensiamo che permetta di avere un migliore rapporto tra vita e lavoro, più tempo con la famiglia, meno ore passate a guidare o a spostarsi.
Ma il lavoro flessibile non è solo lavorare a casa. E’ infatti la possibilità di lavorare in qualsiasi posto ci si trovi, che sia un caffè o un rifugio di montagna. E’ stato reso possibile dalla tecnologia, che ci ha permesso di essere sempre connessi, di inviare messaggi, fare video conferenze o inviare dati, perfino facendo a meno del computer. E un modo di lavorare che faceva paura perché i datori di lavoro non sapevano come controllare le ore effettivamente lavorate dai dipendenti, ma che si è trasformato invece in un risparmio notevole di tempo e risorse.
Impiegati che lavorano dovunque e in qualsiasi ora significa rispondere immediatamente a ogni esigenza. Certo, il rischio che si diventi schiavi e si debba essere pronti a rispondere 24 ore su 24 c’è. Ma ovviamente questo dipende da regole che devono essere fissate.
E quando vengono rispettate, l’agilità lavorativa rende molto più felice la forza lavoro, alzando inevitabilmente la produttività. Va poi considerato che ogni singolo pendolare che cambi il suo modo di viaggiare, risparmia 6-9 tonnellate di anidride carbonica ogni anno.
La disponibilità ad accettare un contratto a 8 ore chiusi in un ufficio preoccupa soprattutto per il futuro. I millennial infatti hanno logiche completamente diverse rispetto alle generazioni precedenti. Ma entro il 20125 saranno il 75 per cento della forza lavoro. Prima di tutto, abitando da sempre l’ambiente digitale, non vedono ragione di adottare logiche desuete, tra le quali quelle che richiedono una presenza in carne ed ossa. Il loro desiderio è piuttosto quello di lavorare in una community virtuale, come quella a cui sono abituati, senza sprecare ore preziose della loro giornata.
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