Espresso: Quel divieto di Ogm ipocrisia pagata cara

Quel divieto di Ogm
ipocrisia pagata cara
Non possiamo coltivarli. Ma ne importiamo (e ne mangiamo) in grande quantità. Così l’Italia resta indietro in una biotecnologia decisiva per il futuro
Di Massimo Riva
Il conto alla rovescia per l’apertura dell’Expo milanese è ormai questione di una manciata di giorni. Dopo tanti scandali e vicissitudini frustranti ci si può solo augurare che tutto vada per il meglio. Alla fin fine, come dicono gli inglesi: “Rigth or wrong, my country”. Ma nemmeno il più generoso dei patriottismi può far sorvolare sulle incongruenze dell’approccio italiano al bel tema centrale della manifestazione: l’alimentazione nel pianeta Terra.
Al riguardo il ministero delle Politiche agricole e forestali ha indicato come priorità la difesa della “specificità” delle produzioni agro-alimentari nazionali. Scelta che si sostanzia nel ribadire il più fermo divieto all’uso di sementi geneticamente modificate (Ogm). Che quella della biodiversità domestica sia una bandiera gloriosa non v’è dubbio: il nostro paese vanta una quantità di prodotti d’eccellenza da far invidia al mondo intero che, infatti, si cimenta spesso in truffaldini tentativi di imitazione. Peccato che, alla luce dello stato dei fatti, il rigoroso impegno assunto dal ministro Maurizio Martina risuoni stonato come i rintocchi di una campana fessa.
Accade, infatti, che le già ricordate produzioni di specifica eccellenza convivano con una larghissima maggioranza di attività per le quali il riparo della biodiversità è una maschera artificiosa e ingannevole. E non mi riferisco soltanto a qualche caso di azione fraudolenta come quella, per esempio, di chi mette sul mercato col marchio Italia prosciutti ricavati da suini allevati chissà poi come in Turchia. No, c’è una questione in materia di ben più seria e diffusa valenza economica e politica che, a dispetto dei veti ministeriali, tiene più che mai aperto il tema degli Ogm.
La catena alimentare che porta alla produzione di beni di largo consumo - quali latte, formaggi, carni e salumi - fa capo a due fondamentali nutrimenti per gli animali: il mais e la soia. Ebbene la produzione nazionale al riguardo è da tempo largamente carente per cui da anni il deficit viene colmato con importazioni dall’estero. Nel caso della soia le cifre sono addirittura impressionanti perché gli acquisti oltre confine sfiorano ormai il novanta per cento del fabbisogno interno. Quanto al mais la situazione sta progressivamente peggiorando: una dozzina d’anni fa ce la facevamo da soli, ora l’autonomia nazionale è scesa attorno al 60 per cento.
E qui scatta la trappola: gran parte di queste importazioni di mais e soia viene fatta da paesi che fanno ampio ricorso alle coltivazioni Ogm, come qualche listino delle Borse Merci ha almeno il pudore di confessare. Questa malcelata verità apre la strada a una serie di incresciose deduzioni.
La prima: alla faccia dei divieti e delle prediche identitarie del ministero, sulle tavole degli italiani i prodotti da Ogm sono presenti in massa ovvero li si mangia ma non li si può coltivare.
La seconda è che, quando si avvolge nella bandiera della biodiversità italiana, il ministro Martina finisce per vestire i panni vuoi del candido negligente vuoi del callido ipocrita: scelga lui. La terza è che questa dipendenza dagli Ogm altrui ha tutte le premesse per aggravarsi.
Intanto, perché le coltivazioni Ogm vantano una competitività inarrivabile con rese per ettaro superiori fino al 50 per cento rispetto alle colture naturali. Con tali riflessi ribassisti sui prezzi da emarginare gli agricoltori tradizionali. Poi c’è il piccolo particolare che Bruxelles ha demandato a scelte nazionali il via o lo stop alle semine Ogm e così presto avremo importazioni di mais Ogm, per esempio dalla Spagna, ancor meno arginabili di quelle extracomunitarie.
Infine, col passare del tempo, il gap italiano risulterà sempre più incolmabile perché al divieto domestico di coltivazione si è pure accompagnata la paralisi della sperimentazione scientifica in materia. Non so quali novità potranno venire dall’Expo per l’alimentazione del pianeta, ma per l’Italia già sarebbe un successo se si riuscisse a liberare la nostra agricoltura dalla tassa occulta del tartufismo ministeriale in tema di Ogm.
10 aprile 2015
http://espresso.repubblica.it/opinioni/ ... a-1.207383
Non possiamo coltivarli. Ma ne importiamo (e ne mangiamo) in grande quantità. Così l’Italia resta indietro in una biotecnologia decisiva per il futuro
Di Massimo Riva
Il conto alla rovescia per l’apertura dell’Expo milanese è ormai questione di una manciata di giorni. Dopo tanti scandali e vicissitudini frustranti ci si può solo augurare che tutto vada per il meglio. Alla fin fine, come dicono gli inglesi: “Rigth or wrong, my country”. Ma nemmeno il più generoso dei patriottismi può far sorvolare sulle incongruenze dell’approccio italiano al bel tema centrale della manifestazione: l’alimentazione nel pianeta Terra.
Al riguardo il ministero delle Politiche agricole e forestali ha indicato come priorità la difesa della “specificità” delle produzioni agro-alimentari nazionali. Scelta che si sostanzia nel ribadire il più fermo divieto all’uso di sementi geneticamente modificate (Ogm). Che quella della biodiversità domestica sia una bandiera gloriosa non v’è dubbio: il nostro paese vanta una quantità di prodotti d’eccellenza da far invidia al mondo intero che, infatti, si cimenta spesso in truffaldini tentativi di imitazione. Peccato che, alla luce dello stato dei fatti, il rigoroso impegno assunto dal ministro Maurizio Martina risuoni stonato come i rintocchi di una campana fessa.
Accade, infatti, che le già ricordate produzioni di specifica eccellenza convivano con una larghissima maggioranza di attività per le quali il riparo della biodiversità è una maschera artificiosa e ingannevole. E non mi riferisco soltanto a qualche caso di azione fraudolenta come quella, per esempio, di chi mette sul mercato col marchio Italia prosciutti ricavati da suini allevati chissà poi come in Turchia. No, c’è una questione in materia di ben più seria e diffusa valenza economica e politica che, a dispetto dei veti ministeriali, tiene più che mai aperto il tema degli Ogm.
La catena alimentare che porta alla produzione di beni di largo consumo - quali latte, formaggi, carni e salumi - fa capo a due fondamentali nutrimenti per gli animali: il mais e la soia. Ebbene la produzione nazionale al riguardo è da tempo largamente carente per cui da anni il deficit viene colmato con importazioni dall’estero. Nel caso della soia le cifre sono addirittura impressionanti perché gli acquisti oltre confine sfiorano ormai il novanta per cento del fabbisogno interno. Quanto al mais la situazione sta progressivamente peggiorando: una dozzina d’anni fa ce la facevamo da soli, ora l’autonomia nazionale è scesa attorno al 60 per cento.
E qui scatta la trappola: gran parte di queste importazioni di mais e soia viene fatta da paesi che fanno ampio ricorso alle coltivazioni Ogm, come qualche listino delle Borse Merci ha almeno il pudore di confessare. Questa malcelata verità apre la strada a una serie di incresciose deduzioni.
La prima: alla faccia dei divieti e delle prediche identitarie del ministero, sulle tavole degli italiani i prodotti da Ogm sono presenti in massa ovvero li si mangia ma non li si può coltivare.
La seconda è che, quando si avvolge nella bandiera della biodiversità italiana, il ministro Martina finisce per vestire i panni vuoi del candido negligente vuoi del callido ipocrita: scelga lui. La terza è che questa dipendenza dagli Ogm altrui ha tutte le premesse per aggravarsi.
Intanto, perché le coltivazioni Ogm vantano una competitività inarrivabile con rese per ettaro superiori fino al 50 per cento rispetto alle colture naturali. Con tali riflessi ribassisti sui prezzi da emarginare gli agricoltori tradizionali. Poi c’è il piccolo particolare che Bruxelles ha demandato a scelte nazionali il via o lo stop alle semine Ogm e così presto avremo importazioni di mais Ogm, per esempio dalla Spagna, ancor meno arginabili di quelle extracomunitarie.
Infine, col passare del tempo, il gap italiano risulterà sempre più incolmabile perché al divieto domestico di coltivazione si è pure accompagnata la paralisi della sperimentazione scientifica in materia. Non so quali novità potranno venire dall’Expo per l’alimentazione del pianeta, ma per l’Italia già sarebbe un successo se si riuscisse a liberare la nostra agricoltura dalla tassa occulta del tartufismo ministeriale in tema di Ogm.
10 aprile 2015
http://espresso.repubblica.it/opinioni/ ... a-1.207383