da annalu il 14/02/2015, 21:22
Secondo me hanno ragione sia Piano che Franz.
Franz ha ragione nel ritenere che "la vita", cioè alcuni dei viventi che attualmente abitano questo pianeta, potrà con tutta probabilità sopravvivere ad ogni genere di catastrofe ambientale (o trasformazione ambientale) prevedibile; del resto è noto che "i viventi dominanti" hanno sempre prodotto cambiamenti imponenti sull'ambiente, infatti l'ossigeno che respiriamo è presente nell'atmosfera solo perché sottoprodotto (di scarto) della fotosintesi dei primi organismi fotosintetici, e molta della CO2 è stata sequestrata nel sottosuolo perché bloccata nei resti solidi degli organismi vissuti (e morti) in tempi remoti.
Detto questo, è altrettanto vero che di fronte ad ogni mutamento climatico o altro, non è mai accaduto che tutte le specie riuscissero a sopravvivere, ed anche quelle sopravvissute sono state gravemente decimate nel durissimo processo di adattamento alle nuove situazioni, e spesso i sopravvissuti sono risultati ben diversi dagli antenati esistiti in precedenza.
Detto questo, credo anch'io, come Franz, che l'umanità (intesa come specie umana) ha forti probabilità di riuscire a superare anche una catastrofe ambientale, ma a quale prezzo?
Se l'innalzamento della temperatura media porterà ad uno scioglimento massiccio dei ghiacci, il pianeta subirà trasformazioni imponenti in tempi rapidi, intere città verranno sommerse dai mari, regioni ora fertili perché irrorate da fiumi provenienti dagli attuali ghiacciai, potranno diventare sterili deserti se i ghiacciai dovessero scomparire, e così via. L'umanità potrebbe sopravvivere, ma come, e soprattutto quale umanità?
Se la distruzione dovesse comportare per prima cosa l'annientamento delle infrastrutture tecnologiche, la nostra ancora fragile civiltà occidentale potrebbe non farcela, e potremmo arretrare di qualche centinaio se non migliaio di anni; per poi ricominciare, forse, ma credo che all'inizio non sarebbe divertente.
Se invece l'effetto principale dovesse essere una variazione significativa dei tassi di ossigeno ed anidride carbonica nell'aria, i primi a scomparire sarebbero tutti i popoli più poveri e meno tecnologici, mentre riuscirebbero a sopravvivere solo quei pochi capaci di costruire città dotate di sistemi di climatizzazione sufficientemente potenti, ammesso che quei pochi possano farcela.
I racconti di fantascienza più seri hanno presentato varie prospettive post-cataclisma (che fosse una guerra nucleare, o altri tipi di catastrofi tipo diluvio universale poco cambia), e sempre si prospettava la sopravvivenza o di pochissimi super-ricchi o di tribù molto primitive, capaci di sopravvivere in situazioni estreme ed in completo isolamento.
Dopo qualche secolo (o millenio, a seconda del grado di catastrofe) probabilmente una qualche forma di civiltà potrà risorgere. Se gli storici e i paleontologi del futuro misureranno il tempo in ere geologiche, probabilmente questo periodo potrà apparire relativamente breve; ma noi, che non possiamo non commisurare il tempo alla durata delle nostre brevi vite, non avremmo molto di cui rallegrarci.
Annalu