Le cause del calo del prezzo petrolifero:
http://temi.repubblica.it/limes/le-ragi ... olio/67529A novembre, il prezzo del petrolio è crollato: la qualità Brent è diminuita da 84,71 a 70,02 dollari al barile ($/b), mentre il Wti da 78,78 a 66,1$/b.
Il cambio euro/dollaro si è mantenuto attorno a 1,24€/$. Nel contempo, il rublo si è fortemente deprezzato, sfondando quota 49 contro il dollaro e quota 60 contro l'euro. Solo nel breve periodo Mosca attutirà le minori entrate - espresse in dollari - derivanti dalla vendita delle materie prime, grazie all’apprezzamento del biglietto verde nei confronti del rublo. L’oro invece, nonostante la vittoria del No al referendum svizzero che mirava a obbligare la Banca Centrale a detenere il 20% di riserve in metallo prezioso, si è mantenuto poco sotto i 1.200$/oncia.
Alberto Clò ha recentemente scritto che “la caduta dei prezzi è riconducibile, in buona sostanza, a due grandi ordini di variabili. Primo, lato offerta, il ciclo degli investimenti che si è avviato dalla metà del decennio scorso, con una spesa totale tra il 2003 e il 2013 di 4 mila miliardi di dollari nel solo upstream, che ha generato un sensibile aumento dell’offerta corrente e della capacità produttiva di petrolio (oltre i 100 milioni di b/d).
Secondo, lato domanda, la sua distruzione strutturale nei paesi industrializzati (2005-2013: -5,0 milioni di b/d) quale effetto combinato dell’elasticità ai più elevati prezzi, dei miglioramenti d’efficienza, della recessione e del rallentamento congiunturale della crescita della domanda nei paesi emergenti (specie nell’area asiatica) [...]. Il combinato disposto di queste dinamiche ha generato due effetti: (a) un forte oversupply di greggio (eccesso di offerta), specialmente di qualità leggera nel bacino Atlantico, rispetto a una domanda mondiale comunque in crescita che ha raggiunto un nuovo record di 92-93 milioni di b/d; (b) un aumento della spare capacity (capacità produttiva inutilizzata) a 7-8 milioni di b/d - e quindi della resilienza a eventi traumatici - come non si osservava dalla metà degli anni 1980”.
Siamo così certi che una caduta dei prezzi dell’ordine del 38% circa in meno di 5 mesi sia riconducibile, in buona sostanza, a queste due variabili? A metà 2010 e 2012, il mercato del petrolio - nonostante la presenza di surplus dell’offerta nettamente superiore a quello attuale - non ha prodotto un crollo dei prezzi di questa entità. Di fatto, il trend corrente non è determinato solo dall’equilibrio fisico di domanda e offerta ma anche da altri fattori, in primis geopolitici, sulla scia dei quali si inserisce la speculazione.
Più precisamente: già a ottobre abbiamo suggerito l’ipotesi di una precisa scelta politica - operata anzitutto dai sauditi - in funzione anti-russa e anti-iraniana. Per il ministro delle Finanze di Mosca, Anton Siluanov, il calo del prezzo del petrolio potrebbe costare alla Federazione Russa fino a 100 miliardi di $ all’anno, mentre le sanzioni provocherebbero perdite per 40 miliardi di $.
Al momento, la Banca Centrale di Russia, non sempre in linea con le volontà del Cremlino, sta cercando di arginare questa situazione attraverso l’innalzamento dei tassi di interesse e l’abbandono della banda di oscillazione del rublo in favore della libera fluttuazione del medesimo (deprezzamento). Parallelamente, in accordo con le volontà presidenziali, essa prosegue da tempo una lenta ma costante accumulazione di riserve di oro in vista di ulteriori turbolenze: una parte della rendita derivante dalla vendita di materie prime viene investita in oro fisico.
In secondo luogo, la scelta di Riyad mette in difficoltà l’estrazione di tight oil nordamericano. A ben vedere però, come spiega Jack Worthington, investment banker e consigliere finanziario, la maggior parte dei produttori americani di tight fa profitti con costi del barile inferiori al break-even point (punto di pareggio del bilancio fiscale) della quasi totalità dei paesi Opec. Ad esclusione, guarda caso, di paesi come il Kuwait (75$/b), gli Emirati Arabi Uniti (70$/b) e il Qatar (65$/b), mentre i 93$/b equivalenti al prezzo di equilibrio dell’Arabia Saudita non sono certo un problema, visti gli oltre 720 miliardi di dollari in riserve di valuta estera del Regno.
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