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Università: 10 proposte del Partito Democratico

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Università: 10 proposte del Partito Democratico

Messaggioda annalu il 29/10/2008, 13:52

Ricevo da amici dell'Università "La Sapienza" il documento per l'Università illustrato da Modica in una riunione di universitari romani, e presentato ieri da Veltroni, in modo che lo si possa discutere e commentare.
Lo devo dividere in due parti, perché è lungo.

IL FUTURO DELL’UNIVERSITA’ ITALIANA
Dieci proposte del Partito Democratico


Luciano Modica – Responsabile Nazionale Università
28 0ttobre 2008



Premessa
La situazione universitaria italiana si è fatta incandescente. I pesantissimi tagli finanziari, il blocco quasi totale del turn over, la spinta verso la trasformazione delle università pubbliche in fondazioni di diritto privato alimentano forti proteste. In effetti questi primi provvedimenti governativi sono profondamente deleteri.

I tagli finanziari impediranno dal 2010 il pagamento degli stipendi ai dipendenti. Il blocco del turn over significa chiudere la porta in faccia a migliaia di giovani, i più preparati, che vorrebbero dedicarsi alla ricerca e alla didattica nelle università e che spesso hanno già trascorso un lungo periodo di esperienza nella ricerca di punta. La privatizzazione delle università presenta pericoli sociali e culturali senza garanzie di vero miglioramento e porterebbe l’Italia fuori dalla tradizione europea e dagli impegni sottoscritti a livello internazionale che definiscono la formazione e la ricerca universitarie beni pubblici e pubbliche responsabilità.

Il Partito Democratico si è opposto a questi provvedimenti e continuerà la sua opposizione in Parlamento e nel Paese cercando di ottenerne sostanziali modifiche. Ma non intende sottrarsi alla responsabilità politica di preparare e sostenere le proprie proposte alternative per costruire l’università del nuovo secolo, curandone i mali attuali entro una visione strategica e coerente.

Introduzione
In questo autunno 2008 ci si potrebbe chiedere se l’università italiana abbia ancora un futuro. Infatti una grave crisi finanziaria strutturale attanaglia da anni il sistema universitario, come testimoniano i confronti statistici internazionali più accreditati. Tra i Paesi europei dell’OCSE l’Italia è ultima per investimenti nell’università, sia rispetto al PIL che rispetto alla spesa pubblica nazionale. E’ ultima anche per percentuale di laureati nella classe d’età 25-64, nonché per investimenti per ricerca rispetto al PIL.

Il sistema universitario attraversa inoltre una profonda crisi di credibilità. Sotto attacco da parte dei mezzi di comunicazione a causa delle tante disfunzioni e soprattutto degli scandali concorsuali, ha perso il consenso di una parte notevole dell’opinione pubblica. Ciò rende più difficile la ripresa degli investimenti pubblici e privati nelle università.

D’altra parte è impensabile che un Paese che fa parte pienamente dell’economia della conoscenza e vuole continuare a farne parte rinunci alla sua università. Della società della conoscenza l’università rappresenta infatti lo snodo cruciale in quanto vi si incontrano l’alta formazione dei giovani e l’innovazione guidata dalla ricerca, cioè i due fattori primari – produzione e diffusione – della conoscenza.

La terapia proposta dal governo è chiara: ridurre ulteriormente e drasticamente sia i finanziamenti statali che il personale e spingere gli atenei ad una auto-privatizzazione mediante la trasformazione in fondazioni. L’illusione è che il cavallo affamato (e privatizzato) ricominci a galoppare.

Il Partito Democratico non condivide affatto la terapia governativa, anzi teme che essa possa aggravare la malattia trasformando il futuro dell’università nella cronaca di una morte annunciata. Vuole invece proporre una terapia alternativa fatta di proposte concrete, cercando il consenso di tutti coloro che tengono all’università e non vogliono che essa muoia, anzi pensano che oggi l’Italia abbia più e non meno bisogno di università, di formazione superiore, di ricerca e di innovazione in tutti i campi.

Le nostre proposte sono volte al futuro, immediato e soprattutto di lungo termine. Servono provvedimenti organici e coraggiosamente innovativi, avendo ben chiara in mente l’università di cui l’Italia avrà bisogno tra dieci o venti anni, quella, per intendersi, i cui professori di riferimento saranno gli attuali giovani ricercatori, di ruolo o precari che siano.

Non si parte da zero, naturalmente. Molto lavoro fu fatto negli anni 2002-2006, in particolare nella preparazione del programma elettorale per le politiche del 2006, raccogliendo un notevole consenso in seno al mondo universitario. Da quelle idee, speranze, promesse conviene ripartire con fiducia e audacia, facendo tesoro dell’esperienza insoddisfacente dei venti mesi di governo tra il 2006 e il 2008.

La politica dei tagli, dei segni meno, deve essere rimpiazzata da quella dei segni più.

All’università italiana servono più autonomia responsabile in un quadro di regole semplici e chiare, più valutazione e riconoscimento del merito degli studenti, dei docenti e delle istituzioni, più spazio ai giovani e alla ricerca libera, più internazionalizzazione della ricerca, dei docenti, degli studenti e dei modi di funzionamento, più attenzione all’equità sociale e infine, come conseguenza e non come condizione, più investimenti pubblici e privati.

Solo così gli atenei italiani potranno competere ad armi pari nella società globalizzata della conoscenza, attraendo ricerche e studenti da tutto il mondo e non solo esportando i nostri migliori talenti. Solo così le università potranno veramente costituire i centri della conoscenza e i motori dell’innovazione dei loro territori. Solo così il Paese potrà tornare ad esprimere fiducia nella sua università.

Dieci proposte

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IL FUTURO DELL'uNIVERSITA' ITALIANA (II)

Messaggioda annalu il 29/10/2008, 14:02

Dieci proposte

Proposta n. 1
Concorsi più rapidi, più meritocratici, più internazionali, con meno nepotismi, localismi e lobbismi disciplinari.


Occorre innanzitutto distinguere tra concorsi per reclutare e concorsi per promuovere.

Per reclutare in un’università un nuovo docente (di prima, seconda o terza fascia) la scelta è fatta da una commissione nominata dagli organi di governo dell’ateneo che valuta i curricula dei candidati tenendo conto dei giudizi valutativi espressi in modo indipendente da esperti italiani e stranieri, nonché di un eventuale seminario pubblico tenuto dal candidato sulle proprie ricerche. Deve essere esclusa ogni forma di idoneità. Le regole concorsuali devono facilitare la partecipazione ai candidati, da dovunque provengano.

Per promuovere un docente da una fascia a quella immediatamente superiore la valutazione è effettuata dall’università di appartenenza previo conseguimento da parte dei candidati di un’abilitazione alla docenza nella fascia superiore rilasciata da una commissione nazionale. La commissione nazionale siede in permanenza per un triennio e rilascia l’abilitazione sulla base del curriculum dell’interessato e di criteri qualitativi e quantitativi approvati preventivamente e validi per l’intero triennio.

In ambedue i casi sono valutabili esclusivamente i lavori scientifici pubblicati dai candidati nell’ultimo quinquennio.

Occorre ridurre fortemente, adeguandolo agli standard europei, lo schema dei settori scientifico-disciplinari ai fini concorsuali che è diventato una gabbia culturale e l’occasione di lobbismi accademici microsettoriali.

Per incentivare la mobilità dei docenti tra gli atenei, ogni università dovrebbe poter promuovere i suoi professori solo in una proporzione prefissata dei reclutamenti esterni effettuati.


Proposta n. 2
Valutare le università per rimanere in Europa.


Attivare al più presto l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR). La nomina del suo organo direttivo deve essere affidata a comitati di selezione internazionali, formati da esperti dei sistemi universitari, in modo da svincolare l’Agenzia dalle alterne vicende politiche.

L’attivazione di un’Agenzia nazionale e indipendente permetterà di inserire a pieno titolo l’Italia nella rete europea già costituita delle agenzie nazionali di valutazione.


Proposta n. 3
Finanziare le università in base al merito.


Tutti i finanziamenti statali alle università (fondo ordinario, edilizia, dottorato, internaziona-lizzazione, piani di sviluppo, etc.) dovrebbero essere unificati in un solo capitolo di spesa da ripartire in tre quote.

La prima è il finanziamento ordinario calcolato per ogni ateneo sulla base dei costi standard per la didattica (per studente) e per la ricerca (per docente), con parametri prefissati e relativamente stabili nel tempo.

La seconda, assegnata su base annuale o biennale, costituisce la parte premiale della qualità dei risultati ottenuti dalle università e certificati dall’Agenzia nazionale di valutazione.

La terza è assegnata come cofinanziamento statale pluriennale a specifici obiettivi di sviluppo (nuove infrastrutture, nuove linee di ricerca, miglioramento della qualità, riequilibrio tra territori, etc.) concordati tra ateneo, Ministero e Regione.

A puro titolo indicativo, la prima quota (finanziamento ordinario) potrebbe essere il 70% del totale, la seconda (incentivi alla qualità) il 20%, la terza (cofinanziamento allo sviluppo) il 10%.


Proposta n. 4
Finanziare la ricerca con procedure trasparenti e internazionali.


Imitando gli esempi presenti in molti altri Paesi, è opportuno costituire un’Agenzia nazionale indipendente per il finanziamento della ricerca pubblica, cui affidare l’assegnazione di tutti i finanziamenti statali destinati ai progetti di ricerca delle università e degli enti pubblici di ricerca, in particolare quelli liberamente proposti in tutti i campi da gruppi di ricercatori. La nuova agenzia opererebbe valutazioni ex ante, mentre l’ANVUR valuta ex post.

L’assegnazione ai progetti di ricerca più meritevoli è fatta sulla base di bandi pubblici, di metodologie internazionali di valutazione e di procedure valutative trasparenti, svolte anche in collaborazione con organismi sovranazionali specializzati (ad esempio l’European Research Council).


Proposta n. 5
Governance universitaria più responsabile, efficace ed efficiente.


Il modello di governo di ciascuna università deve essere lasciato il più possibile alle scelte statutarie autonome dell’ateneo, salvo poche regole di legge comuni per tutte le università come le seguenti.
• Le università devono essere governate dal rettore, dal consiglio di amministrazione e dal senato accademico, con una forte distinzione delle funzioni.
• Il rettore ha tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione.
• Il consiglio di amministrazione, presieduto dal rettore, delibera tutte le scelte gestionali dell’università.
• Il senato accademico svolge tutte le funzioni di indirizzo culturale, di garanzia e di controllo, delibera lo statuto e tutti i regolamenti.
• Il rettore è elettivo.
• Il consiglio di amministrazione è formato su proposta del rettore (senza meccanismi elettivi dei suoi componenti) approvata dal senato accademico.
• Il senato accademico è interamente elettivo.

Per quanto riguarda la strutturazione interna di un’università (facoltà, dipartimenti, corsi di studio, etc.), questa è interamente lasciata alle scelte statutarie autonome dell’ateneo, eliminando anche i riferimenti di legge ad organi interni. La legge si limita a fissare principi di buona organizzazione cui gli statuti devono ispirarsi.

Un principio potrebbe essere quello che lo statuto fissi un unico livello di articolazione interna di un’università, che si chiami facoltà o dipartimento o in altro modo, eventualmente con soluzioni diverse per ambiti disciplinari diversi. A questo livello è garantita ad ogni docente la partecipazione al processo decisionale sia per la didattica che per la ricerca, ridando quindi unitarietà ai due compiti accademici fondamentali.

Alle singole iniziative, come ad esempio i corsi di studio, lo statuto garantisce poi la massima flessibilità organizzativa in base alla volontà dei docenti interessati e al principio di sussidiarietà verticale, secondo il quale ogni decisione deve essere assunta allo stesso livello organizzativo in cui la decisione medesima opererà, riducendo al massimo le piramidi procedimentali di pareri consultivi a cascata.


Proposta n. 6
Valutare periodicamente i risultati del lavoro ed incentivare i migliori.


Il corpo docente delle università è articolato in tre fasce, differenziate per qualità ed esperienza crescenti nella ricerca e nella didattica. In ciascuna università i professori in servizio in una fascia dovrebbero essere in numero maggiore di quelli in servizio nella fascia immediatamente superiore.

Fissato in una legge il principio irrinunciabile della libertà didattica e di ricerca di ciascun docente universitario, i regolamenti di ateneo stabiliscono i compiti didattici minimi, anche differenziandone le tipologie a seconda delle discipline. Gli organi collegiali delle strutture universitarie attribuiscono i compiti didattici e gestionali a ciascun docente, anche su base pluriennale, garantendo un’equilibrata ripartizione dei carichi di lavoro e dell’impegno nel lavoro di ricerca.

Dovranno essere possibili due tipologie di rapporto di lavoro: full time o part time, senza distinzione di stato giuridico. Nel primo caso i docenti si impegnano a svolgere tutta la loro attività lavorativa, compresa l’eventuale attività professionale, all’interno dell’ateneo. Nel secondo caso contrattano con l’ateneo la quota di presenza nelle strutture universitarie e sono retribuiti in modo proporzionale a questa. In ambedue i casi i regolamenti prevedono una presenza oraria minima (senza orario di lavoro) con adeguati meccanismi di controllo.

Il rapporto di lavoro in ciascuna fascia inizierebbe a tempo determinato e sarebbe trasformato a tempo indeterminato solo a seguito di una valutazione della qualità e quantità del lavoro svolto dall’interessato. Il lavoro scientifico e didattico di ciascun professore sarebbe comunque valutato periodicamente lungo tutta la carriera e dall’esito positivo della valutazione dipenderanno gli incrementi stipendiali.


Proposta n. 7
Più giovani professori e meno lunghi precariati.


In attesa di ripristinare il normale turn over dei docenti e dei tecnici-amministrativi cancellando l’attuale blocco quasi totale, devono essere subito esclusi dal blocco i reclutamenti di ricercatori (professori di terza fascia).

Va confermato per il 2009 e potenziato negli anni successivi il reclutamento straordinario previsto dal Governo Prodi per dare spazio a tanti brillanti giovani ricercatori precari che attendono di misurarsi in concorsi seri per continuare a lavorare nelle università.

Occorre modificare la normativa degli assegni di ricerca in modo da renderli dei veri posti di lavoro a tempo determinato nella ricerca post-dottorato per un minimo di tre anni e un massimo di sei, costituendolo nei fatti come il canale di formazione del docente/ricercatore.

Un certo numero di assegni di ricerca, comprensivi del finanziamento per la ricerca, dovrebbero essere banditi direttamente dal Ministero con commissioni internazionali, lasciando che siano i vincitori a scegliere l’università o l’ente pubblico di ricerca dove svolgere il loro progetto di ricerca sull’esempio degli IDEAS - Starting Grants dell’European Research Council.


Proposta n. 8
Innalzare la qualità dei dottorati di ricerca per innalzare la qualità delle università.


E’ opportuno lasciare agli atenei il massimo di autonomia nell’organizzazione dei dottorati di ricerca, normalmente in scuole di dottorato, rendendo obbligatorio un numero minimo di borse di studio bandite ogni anno per ciascuna scuola di dottorato e un numero minimo di docenti attivi nella ricerca che vi si impegnano e ne assumono la responsabilità scientifica.

Va attivato subito un meccanismo di accreditamento scientifico (ex post) delle scuole di dottorato come uno dei primi compiti importanti dell’ANVUR.

In attuazione della Costituzione devono essere introdotte forme di diritto allo studio per il dottorato di ricerca che è il terzo e ultimo livello degli studi universitari.


Proposta n. 9
Studenti protagonisti. Incentivare la mobilità degli studenti in Italia e in Europa.


E’ giusto garantire la borsa di studio a tutti gli studenti che abbiano conseguito l’idoneità alla borsa per ragioni di alto merito personale e basso reddito familiare.

E’ anche opportuno aprire un canale di borse di studio assegnate anticipatamente e direttamente dallo Stato, di cui gli studenti vincitori possano fruire in qualunque università italiana, ripensando ed adeguando la normativa nazionale sul diritto allo studio.

Occorre sostenere finanziariamente gli studenti che utilizzano il programma ERASMUS per periodi significativi, spingendo in prospettiva tutti gli studenti universitari italiani a trascorrere un periodo di studio in un altro Paese europeo.

Sarebbe importante concludere l’iter della Carta dei diritti e doveri degli studenti universitari e introdurre specifici diritti di cittadinanza degli studenti universitari fuori sede.

E’ necessario rifinanziare il programma della Legge 338/00 per costruire residenze universitarie adatte ad ospitare non solo gli studenti con le borse del diritto allo studio ma anche gli studenti più meritevoli e quelli stranieri. L’internazionalizzazione delle università passa anche dalla presenza in Italia di molti studenti stranieri.

Va ripensato tutto il problema dei criteri di accesso all’università, in particolare per i corsi di laurea a numero programmato.


Proposta n. 10
Più finanziamenti pubblici al sistema universitario e par condicio tra le università.


E’ velleitario pensare di competere in Europa e nel mondo definanziando le università. Le università devono accettare di riformarsi profondamente ma devono essere messe in condizioni finanziarie almeno pari alla media degli altri Paesi europei, ad esempio portando in cinque anni la spesa pubblica per l’università alla media OCSE (2,8%).

Per favorire le donazioni liberali alle università (che vuol dire in particolare donazioni alla ricerca cui molti cittadini italiani appaiono propensi) il regime fiscale che incentiva il donatore non può dipendere dalla forma giuridica dell’istituzione che riceve la donazione ma solamente dalla sua natura e quindi deve valere indistintamente per tutte le università.
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Re: Università: 10 proposte del Partito Democratico

Messaggioda ranvit il 29/10/2008, 18:36

Condivido poco o niente!
Fondamentalmente perchè, aldilà degli slogan tipo "piu' rapidi, meritocratici etc", non si capisce chi dovrebbe valutare il merito di questo e di quello e di quell'altro....o perlomeno io capisco che lo farebbero le solite cricche.
Viceversa, penso io, se un'Università riesce ad ottenere piu' finanziamenti dai privati di altre, allora si che testimonierebbe oggettivamente che merita!

Non sono un addetto ai lavori e quindi mi fermo qui.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Università: 10 proposte del Partito Democratico

Messaggioda franz il 30/10/2008, 12:59

Volevo iniziare una rapida analisi e critica (positiva) di quanto proposto.
Lo faro' un pezzo per volta, perché il tempo è tiranno.

Per Modica comuincia male e se tutti i professori fossero come lui capirei meglio la crisi dell' università.

La situazione universitaria italiana si è fatta incandescente. I pesantissimi tagli finanziari, il blocco quasi totale del turn over, la spinta verso la trasformazione delle università pubbliche in fondazioni di diritto privato alimentano forti proteste. In effetti questi primi provvedimenti governativi sono profondamente deleteri.


Vediamo la 133 sui tagli:

In relazione a quanto previsto dal presente comma, l'autorizzazione legislativa di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a) della legge 24 dicembre 1993, n. 537, concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, e' ridotta di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013.


Si tratta complessivamente del 3.2% in 5 anni.
Un taglio ampiamente ricuperabile intervenendo sugli spechi che tutti sappiamo esistere e che sono sicuramente piu' del 5%. Si inizia quindi con la demagogia (ma è chiaro, si cavalca la protesta anche dei baroni che si oppongono a qualsiasi riforma).

I tagli finanziari impediranno dal 2010 il pagamento degli stipendi ai dipendenti. Il blocco del turn over significa chiudere la porta in faccia a migliaia di giovani, i più preparati, che vorrebbero dedicarsi alla ricerca e alla didattica nelle università e che spesso hanno già trascorso un lungo periodo di esperienza nella ricerca di punta. La privatizzazione delle università presenta pericoli sociali e culturali senza garanzie di vero miglioramento e porterebbe l’Italia fuori dalla tradizione europea e dagli impegni sottoscritti a livello internazionale che definiscono la formazione e la ricerca universitarie beni pubblici e pubbliche responsabilità.

Come ho detto, c'è molto da ottimizzare sugli sprechi senza tagliare stipendi. Se poi volessimo lasciare spazio ai giovani, caro Modica, allora che si mandino in pensione tanti baroni e cariatidi di 70 e 80 anni, che ancora stanno nelle nostre università. La nostra è una con l'età media piu' alta del mondo occidentale. Qui sta il problema, non nei tagli.

Proviamo a imparare a trovare capitali privati.
Le università private in Itaalia sono poche ma rappresentano 1/3 della spesa totale.
La spesa in campo universitario su PIL oggi è lo 0.9% ma quella è la somma di pubblico (0.6%) e di privato (0.3%).
Contando che le università pubbliche sono 62 e quelle private una quindicina, direi che la propensione alla spesa dei privati è superiore a quella pubblica.

Se facciamo, tra l'altro, il riferimento alla spesa per studente, la nostra università è una delle meglio finanziate procapite al mondo. Con gli scarsi risultati che vediamo.

A me l'introduzione domopopulista di Modica non è piaciuta.
Per risolvere i problemi dell'Università (come di qualsiasi altro comparto) occorre abbandonare la demagogia e mettersi su una strada oggettiva ed analitica, scientifica.

Il PD, complice forse anche l'ondata di protesta, pare per ora lontano da questa visione.

Farere personale,
ovviamente.

Franz
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Re: Università: 10 proposte del Partito Democratico

Messaggioda franz il 30/10/2008, 13:25

La terapia proposta dal governo è chiara: ridurre ulteriormente e drasticamente sia i finanziamenti statali che il personale e spingere gli atenei ad una auto-privatizzazione mediante la trasformazione in fondazioni. L’illusione è che il cavallo affamato (e privatizzato) ricominci a galoppare.

Vero, ma c'è una altrettanta ben piu' grave illusione che lasciando gli stessi fondi o aumentandoli le cose migliorino.
In 10 anni di fondo in aumento il personale è aumentato del 56% e molte università hanno sforato il tetto del 90% come spesa del personale.
E' chiaro che serve una inversione di tendenza.

In questi anni non si è fatto nulla e come sappiamo "il medico pietoso fa la piaga cancrenosa".
Oggi io credo che i tagli rendano piu' "virtuoso" un sistema che dargli piu' fondi.

Vedremo poi punto per punto le proposte del PD.
Alcune sono ottime, altre ragionevoli, alcune mi sono sembrate solo una elencazione di auspici e buoni proposti, che con l'attuale sistema di baronie non serve a nulla.

Ciao,
Franz
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Re: IL FUTURO DELL'uNIVERSITA' ITALIANA (II)

Messaggioda franz il 31/10/2008, 12:54

PD ha scritto:[color=#0000BF]Dieci proposte

Proposta n. 1
Concorsi più rapidi, più meritocratici, più internazionali, con meno nepotismi, localismi e lobbismi disciplinari.

Proposta n. 2
Valutare le università per rimanere in Europa.

Proposta n. 3
Finanziare le università in base al merito.

Inizio dalle prime tre.
Perché mai dovrebbe esiste una normativa unica per i concorsi universitari?
Non si fa prima a dire che ogni Università, nella sua autonomia, emana le sue norme?
Chi emana norme virtuose, attirerà i migliori.
Chi invece emana norme per promuovere i soliti noti e la fuffa, starà peggio.

La valutazione chi deve farla?
Perché una agenzia di valutazione quando il mercato ed il passaparola funzionano meglio e costano meno?
Gli studenti migliori cercheranno da soli le università migliori, sulla base della qualità dell'insegnamento.
Non esiste una agenzia di valutazione dei medici e degli ospedali eppure tutti sanno chi sono quelli bravi e ottimi.

Se il merito non è stabilito da un ente (ipotesi per me classica per una mentalità statalista del secolo scorso) ma dal mercato (che avrà tante pecche ma sa riconoscere il merito molto piu' di commissioni etc) va da se' che il finanziamento pouo' essere stabilito in base mista: 1/3 su quota studenti in ruolo e uguale per tutti, 1/3 pubblico per il merito stabilito dal mercato ed 1/3 dal mercato, tramite le fondazioni.

Ciao,
Franz

Da NoiseFromAmerica:
Viene spesso proposto da editoriali pubblicati dai quotidiani italiani più influenti di "affidarsi al mercato" per risanare il sistema universitario italiano. Secondo questa proposta si dovrebbe abolire il valore legale dei titoli di studio, far pagare gli studi universitari agli studenti o alle loro famiglie (introducendo un sistema di prestiti per i più poveri), e lasciare alle singole università la piena autonomia nell'organizzazione dei corsi e nel reclutamento dei docenti.
Leggi tutto ....
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Re: IL FUTURO DELL'uNIVERSITA' ITALIANA (II)

Messaggioda pagheca il 31/10/2008, 13:12

franz ha scritto:
PD ha scritto:[color=#0000BF]Dieci proposte

Proposta n. 1
Concorsi più rapidi, più meritocratici, più internazionali, con meno nepotismi, localismi e lobbismi disciplinari.

Proposta n. 2
Valutare le università per rimanere in Europa.

Proposta n. 3
Finanziare le università in base al merito.

Inizio dalle prime tre.
Perché mai dovrebbe esiste una normativa unica per i concorsi universitari?
Non si fa prima a dire che ogni Università, nella sua autonomia, emana le sue norme?
Chi emana norme virtuose, attirerà i migliori.
Chi invece emana norme per promuovere i soliti noti e la fuffa, starà peggio.


qui sta il punto, caro Franz. Sono perfettaemnte d'accordo con te, e tra l'altro e' la chiave con cui funzionano le universita' buone di tanti paesi. Ci sono altre ragioni per preferire concorsi locali:

1) un concorso nazionale ha costi elevati e tempi lunghissimi, mentre le universita' hanno bisogno di persone nell'immediato, appena erogati i fondi, nel giro di mesi.

2) non sempre chi ha le migliori referenze per una posizione e' il migliore in assoluto. Bisogna convincersi che un gruppo di ricerca e un dipartimento lavorano come un team oggi. C'e' bisogno di persone non solo con una buona creativita', ma con certe qualita' umane, anche manageriali, abilita' di reperimento fondi, capacita' di gestire collaborazioni. Una persona che va bene per il gruppo A puo' essere non indicata, anche a parita' di oggetto della ricerca, per il gruppo B.

3) L'idea che il numero di pubblicazioni, misurate aritmeticamente, o che l'abilita' a rispondere ad un tema, siano il metro giusto e' vecchia e non valida in generale. Qui da noi per esempio il personale accademico viene valutato anche dallo staff. Gli viene infatti richiesto di dare una presentazione in pubblico e dopo avviene una discussione a porte chiuse, molto aperta (e a volte molto aggressiva). Ho visto tanti candidati buoni sulla carta "perire" per una presentazione fatta male (per esempio troppo dispersiva), o per limitate capacita' umane.

C'e' da chiedersi quindi perche' una cosa cosi' semplice non sia passata per la mente di almeno una forza politica maggioritaria. La risposta secondo me e' che le lobby universitarie non hanno alcun interesse a rigirare il sistema dalle fondamenta (che secondo me sono il meccanismo di selezione del personale, a termine e tenure. Perche' questo metterebbe a nudo la nullita' di molti docenti, la loro mentalita' provinciale (molti docenti non sanno nemmeno come funzionano le cose all'estero). Preferiscono piccole riforme, che non smuovono i meccanismi di fondo, che agiscono su aspetti che sotto sotto ne aumentano il potere, come la battaglia sui fondi di ricerca.

saluti
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Re: IL FUTURO DELL'uNIVERSITA' ITALIANA (II)

Messaggioda franz il 31/10/2008, 13:49

PD ha scritto:Dieci proposte
[b]Proposta n. 4
Finanziare la ricerca con procedure trasparenti e internazionali.

dal momento stesso in cui il finanziamento dell'università va al 90% o quasi in stipendi del personale (mentre nella maggiore università del mondo, Harward, è del 38%) occorrono fondi separati per la ricerca.
Ma anche qui la soluzione (una sorta di concorso pubblico internazionale) secondo me è la pezza peggiore del buco, traducendo un noto proverbio veneto.

Ogni Università pubblica, nella sua automomia, deve avere i suoi fondi, pubblici e privati.
Con quelli finanzia le ricerche che vuole. Chi ha solo stipendi, non farà ricerca.
La prova è nel budino, come dicono gli amerciani (ex-post, come dicevano i latini).
Strano che il PD di Veltroni, cosi' "americano" nello spirito, scelga invece la formulazione latina quando a fare le proposte sono illustri cattedrattici.
Se il budino funziona, faranno a gara a finanziarli, sia il privato (se non sono scemi) sia il pubblico (idem).

Ciao,
Franz
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Re: IL FUTURO DELL'uNIVERSITA' ITALIANA (II)

Messaggioda pagheca il 31/10/2008, 14:20

franz ha scritto:Ogni Università pubblica, nella sua automomia, deve avere i suoi fondi, pubblici e privati.
Con quelli finanzia le ricerche che vuole. Chi ha solo stipendi, non farà ricerca.
La prova è nel budino, come dicono gli amerciani (ex-post, come dicevano i latini).
Strano che il PD di Veltroni, cosi' "americano" nello spirito, scelga invece la formulazione latina quando a fare le proposte sono illustri cattedrattici.
Se il budino funziona, faranno a gara a finanziarli, sia il privato (se non sono scemi) sia il pubblico (idem).

Ciao,
Franz


forse ho capito male, Non e' fattibile che i fondi siano gestiti dalle universita' e non viene fatto da nessuna parte. La distribuzione dei fondi per la ricerca deve avvenire ad alto livello. L'universita' ha il diritto di applicare per i fondi.

Tra l'altro il rischio qui e' che ricerche di base, fondamentali per lo sviluppo a lungo termine, come la cosmologia o la matematica pura non attraggano piu' alcun interesse.

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Re: IL FUTURO DELL'uNIVERSITA' ITALIANA (II)

Messaggioda annalu il 31/10/2008, 14:30

pagheca ha scritto:qui sta il punto, caro Franz. Sono perfettaemnte d'accordo con te, e tra l'altro e' la chiave con cui funzionano le universita' buone di tanti paesi. Ci sono altre ragioni per preferire concorsi locali:

Le motivazioni che porti, sono in teoria le più giuste. Ma si vede che non hai mai fatto parte di commissioni di concorso italiane.

I concorsi da ricercatore in Italia SONO GIA' concorsi locali. Bene, è proprio da lì che comincia il nepotismo, perché i criteri di selezione vengono scelti apriori, sulla base dei titoli del concorrente che si vuole che vinca, e che di solito è una persona che già lavora in quella sede da anni (un precario anziano, non obbligatoriamente il migliore) oppure un raccomandato, che è anche peggio.
Diventerebbe già differente se almeno non potessero partecipare, come mi sembra avvenga negli USA, i candidati che si sono laureati in quella stessa università e da lì non si sono mai mossi. Berlinguer ha cercato di introdurre una norma del genere, ma è stato costretto a ritirarla.

pagheca ha scritto:3) L'idea che il numero di pubblicazioni, misurate aritmeticamente, [...] sia il metro giusto e' vecchia e non valida in generale. Qui da noi per esempio il personale accademico viene valutato anche dallo staff.

Mi soffermo su questo punto, perché è un dibattito che dura da decenni.
In Italia, chi contesta ogni forma di valutazione "oggettiva" tipo IF o simili, sono in genere cattedratici che devono far vincere allievi (o raccomandati vari) del tutto privi di titoli seri.
Ovvio che non si può vincere o perdere un concorso sulla base di semplici algoritmi su IF e citazioni, ma stabilire una "soglia minima" per partecipare ai concorsi, mi sembra utile almeno per eliminare i peggiori: adesso si dice che di far vincere un candidato bravo sono capaci tutti, ma un vero barone dimostra il suo potere mettendo in cattedra un somaro.

Dopo alcuni anni in cui i professori vengono scelti su basi ANCHE oggettive, una volta eliminati i baroni che dimostrano il loro potere facendo vincere gli incapaci, forse tornerebbe di moda il valore vero, e forse si ricomincerebbe a far vincere i concorsi a chi merita.
A quel punto, i criteri di valutazione esistenti in tutto il mondo, basati anche su presentazioni di colleghi valenti, potrebbero venir introdotti con successo.

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