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Gelmini: protesta di pochi. Il mio modello è Obama

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Gelmini: protesta di pochi. Il mio modello è Obama

Messaggioda franz il 27/10/2008, 9:12

Intervista al ministro: il mio modello è Obama. Nuove proteste nelle scuole
Gelmini: protesta di pochi
Il mio modello è Obama

«Niente classi separate, solo corsi di italiano per chi non lo parla»

MILANO — Il mio modello? Barack Obama. Parola di Mariastella Gelmini. Mentre infuria la protesta della scuola e dell'università, il ministro alla Pubblica istruzione procede diritta per la sua strada. Ma rivela la sua stima per il candidato democratico nella corsa alla Casa Bianca e tende una mano all'opposizione: «Ma soltanto a quella costruttiva. Altrimenti, facciamo da soli».

Ieri Veltroni ha chiesto il ritiro del suo decreto e la relativa modifica della Finanziaria. È possibile?
«Scusi, ma non ne capisco la ragione. La manovra economica è legge da giugno, il Pd è fuori tempo massimo. Quanto al decreto, ha ottenuto già l'approvazione della Camera ed è stato ampiamente discusso al Senato: sarà votato mercoledì. Ma certo, su come proseguire nell'opera di riforma della scuola italiana, le mie porte sono spalancate ».

Però, voi avete posto la fiducia e non c'è stato dibattito parlamentare. Dove si doveva discutere?
«Sono cinque mesi che si discute di scuola e il Pd non ha fatto una proposta che fosse una. L'unica idea è quella di non cambiare nulla: "Non toccate la scuola, giù le mani dall'università". Questo sarebbe riformismo? A me, sembrano pietrificati».

L'opposizione sulla scuola appare più diffusa che non su altri temi. È perché mette in discussione anche parecchi posti di lavoro?
«La sinistra ha perso totalmente il rapporto con chi lavora e ora lo sta perdendo anche con gli studenti. Bisogna dirlo con chiarezza: il disastro dell'istruzione in Italia è figlio delle logiche culturali della sinistra contro il merito e la competitività. Per decenni scuola e università sono state usate come distributori di posti di lavoro, di clientele e magari di illusioni».

Illusioni?
«Sì, certo. L'illusione di posti di lavoro che non esistono. L'illusione che lo Stato possa provvedere a dare posti fissi in modo indipendente dalla situazione economica e dal debito pubblico. La sinistra per i suoi interessi politici inganna le persone, ha creato il precariato proprio diffondendo illusioni».

Non esagera? In Italia non c'è stata soltanto la sinistra.
«Quando Veltroni è diventato leader del Pd, ci ho creduto anche io: ho sperato che questo Paese potesse cambiare veramente con un progetto bipartisan. Che potesse essere riformato, abbandonando le vecchie posizioni ideologiche e sindacali responsabili del declino dell'Italia. Speravo che Veltroni si ispirasse alla lezione di Tony Blair. Purtroppo, oggi parla come un rappresentante dei Cobas».

Addirittura?
«Ma sì, via... Si è schiacciato sulle posizioni più conservatrici su ogni argomento. Guardi, le dirò qualcosa che non si attende: il mio punto di riferimento è quello che sta facendo Barack Obama in America ».

Cosa le piace di Obama?
«Sta proponendo per la scuola americana provvedimenti simili ai nostri, penso soprattutto agli incentivi al merito per gli insegnanti. E anche lui vuole razionalizzare le scuole sul territorio per destinare i risparmi alla qualità dell'istruzione. E poi, la possibilità per tutti, anche per chi non si può permettere le università costose, di aver una istruzione di qualità. Questo è un vero, coraggioso riformatore: non certo il leader del Pd».

Molti giovani scendono in piazza, però...
«Gli studenti in Italia sono 9 milioni. Coloro che protestano, alcune migliaia. Le facoltà occupate sono pochissime. E in molte, gli studenti ricacciano indietro gli occupanti. Non immagina quanti messaggi ricevo da studenti stanchi di slogan vecchi e di professori militanti».

Sarà, ma le manifestazioni sono lì da vedere. O no?
«Funziona così: a Firenze occupano una stanza in venti e nei tg si dice che l'università è occupata. Oppure, a Milano, succede che in duecento escano dai centri sociali e vadano a scorrazzare nei cortili della Statale. Visto che nessuno dà loro retta, bloccano la stazione Cadorna. I tg dicono: scontri tra studenti e polizia. Ma di studenti non ce ne erano».

Guardi che è impervio cercar di dimostrare che non ci siano manifestazioni studentesche. Non partecipano persino parecchi giovani di destra?
«No, guardi: i giovani della destra continuano la loro decennale battaglia contro i baroni e i professori ideologizzati, non certo contro il decreto».

Che ne pensa di far intervenire le forze dell'ordine nelle scuole e nelle università?
«Penso che non si porrà il problema, anche perché in tutta Italia mi pare che i ragazzi si rifiutino di occupare. Il 30 ottobre, certo, ci sarà lo sciopero, il solito vecchio rito di chi difende l'indifendibile. Ma dopo, credo che si potrà riprendere a confrontarsi con le riforme. Ovviamente, con chi fa proposte».

Resta il fatto che i tagli ci saranno. È così sicura che non si tradurranno in un impoverimento della didattica?
«I primi a vivere il disagio della scuola esistente sono proprio i professori, pagati con stipendi da fame e proletarizzati da sinistra e sindacato. E poi, il 30% dei risparmi realizzati, 2 miliardi di euro, sarà utilizzato per pagare meglio i professori sulla base del merito».

C'è chi dice: va bene tagliare le spese improduttive. Ma i risparmi devono essere interamente spesi sulla scuola. Non è una posizione sensata?
«Me lo lasci dire: bisognava anche riportare tutti alla realtà. Dire che la gestione allegra del denaro pubblico è finita. E dunque, prima si eliminano gli sprechi. Poi, ma soltanto dopo, si potrà reinvestire in qualità. Questo per quanto riguarda la scuola. Per l'università il 2009 non prevede particolari tagli. Qualche problema potrà esserci dal 2010 ma abbiamo tempo sufficiente per discuterne con chi vuol farlo seriamente».

Sulle classi ponte per gli immigrati restano margini di ambiguità. Che cosa saranno?
«L'ambiguità è di chi ha tentato come al solito di buttarla sul razzismo. Qualunque genitore che ha un figlio alle elementari conosce il problema rappresentato da chi in classe non sa l'italiano. Un problema didattico, che come tale va risolto: non faremo classi separate, le classi ponte saranno corsi magari pomeridiani di italiano per consentire a chi non lo è di imparare la lingua il più rapidamente possibile».

Marco Cremonesi
27 ottobre 2008
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Re: Gelmini: protesta di pochi. Il mio modello è Obama

Messaggioda franz il 27/10/2008, 12:36

Il sostegno agli studenti di un italiano su due, la difesa del sistema dell'istruzione
e la convinzione che la riforma Gelmini è "utile solo a far cassa" nell'indagine Demos & Pi

Sorpresa, la scuola pubblica
piace al 60% degli italiani

Non attecchisce l'idea degli sprechi e degli insegnanti fannulloni
Molti favorevoli al grembiule, al voto in condotta e agli esami di riparazione
di ILVO DIAMANTI

CIO' CHE sorprende maggiormente, nell'indagine condotta da Demos nei giorni scorsi, è il grado di consenso per la scuola pubblica: ampio e perfino in crescita rispetto a un anno fa. Nonostante l'ondata di discredito che - da anni e tanto più in questi tempi - sta sommergendo le istituzioni scolastiche. Ma soprattutto quei "maledetti professori"... Pretendono di insegnare in una società che non sopporta i "maestri" - figuriamoci i professori. Nonostante l'ondata di risentimento contro tutto ciò che è pubblico e statale. Scuola compresa.

Perché oggi lo Stato è rivalutato, ma come barelliere della finanza ammalata; come pronto soccorso del mercato ferito. Nonostante il conseguente calo dei fondi pubblici, che si ripete da anni, con ogni governo, di ogni colore. Perché, per risparmiare, si riducono le spese improduttive. Come vengono ritenute, evidentemente, quelle sostenute per la scuola, la formazione e la ricerca. Nonostante il contributo offerto dal sistema scolastico stesso al proprio discredito. Per le resistenze opposte dagli insegnanti ai progetti di riforma volti a valutarne il rendimento e a premiarne il merito.

Per le degenerazioni del reclutamento universitario, i concorsi pilotati, a favore di amici e parenti fino al terzo grado. Nonostante le interferenze dei genitori, pronti a chiedere rigore e autorità ai professori. Pronti a difendere i propri figli contro i professori (lo ammettono 7 italiani su 10).

Nonostante tutto questo, la scuola, i maestri, i professori "del sistema pubblico" godono ancora di stima e considerazione fra i cittadini. In particolare:
a) il 60% e oltre degli italiani si dice soddisfatto (molto o moltissimo) della scuola pubblica di ogni ordine e tipo. E, nel caso delle scuole elementari, il gradimento sfiora il 70% degli intervistati, senza grandi differenze di età, genere, ceto; ma neppure di orientamento politico.
b) Parallelamente, il 64% dei cittadini manifesta (molta o moltissima) fiducia negli insegnanti della scuola "pubblica". Penalizzati, secondo il 40% degli intervistati, da stipendi troppo bassi.

In entrambi i casi - scuola pubblica e insegnanti - il giudizio appare migliorato rispetto a un anno fa. In evidente contrasto con la rappresentazione dominante, al cui centro campeggiano l'insegnante fannullone e incapace, la scuola inefficiente e sprecona. Argomenti politici e mediatici di successo, che fra i cittadini non sembrano, tuttavia, attecchire. La scuola e gli insegnanti godono, al contrario, di buona reputazione. E non per "ideologia" o per pregiudizio politico. Fra gli intervistati, infatti, appare ampia la consapevolezza dei problemi che la affliggono. Il distacco nei confronti del mercato del lavoro, la violenza, l'incapacità di ridurre le diseguaglianze, la preparazione inadeguata degli insegnanti. Ancora: lo scarso rilievo attribuito al merito, sia per gli studenti che per i loro insegnanti. Infine, anzi, in testa a tutto: la penosa penuria di risorse.

I provvedimenti della ministra Mariastella Gelmini, peraltro, non sono catalogati attraverso pre-giudizi generalizzati. Vengono, invece, valutati in modo distinto, caso per caso. Una larghissima maggioranza degli intervistati si dice favorevole: al ritorno del voto in condotta, dei grembiulini, degli esami di riparazione. Novità antiche che piacciono perché propongono soluzioni semplici a problemi complessi. Evocano la tradizione e la nostalgia per curare i mali odierni. Si rivolgono, in particolare, alla domanda d'ordine e di autorità, che oggi appare diffusa.

Il giudizio, però, cambia sensibilmente quando entrano in gioco temi che richiamano l'organizzazione didattica e il modello educativo. In primo luogo: il ritorno del "maestro" unico alle elementari. Un provvedimento che divide gli italiani. Non piace, anzi, a una maggioranza, per quanto non larghissima. Mentre è nettissimo, plebiscitario il dissenso verso la chiusura degli istituti con meno di 50 studenti (in un Paese di piccoli paesi, come il nostro, si tratta di una diffusa reazione di autodifesa). Ma anche verso la scelta di differenziare (per quanto transitoriamente) le classi per gli studenti stranieri e italiani. Perché, al di là del merito, il provvedimento sembra dettato da preoccupazioni di consenso più che di inserimento.

Mentre fra gli italiani, anche i più insicuri, è ampia la convinzione che famiglia e scuola siano i principali canali di integrazione (e di controllo sociale).
Semmai, appare più ideologica la base del consenso per le politiche del governo, che ottengono il massimo grado di sostegno fra le persone più lontane dalla scuola, per esperienza personale e familiare: gli anziani, le famiglie dove non vi sono né studenti né docenti. Al contrario, le resistenze crescono nelle famiglie dove vi sono insegnanti o studenti. Ma soprattutto nei confronti dei provvedimenti meno popolari: maestro unico e classi differenziate per stranieri. Ciò suggerisce che l'opposizione alle politiche della scuola, elaborate dalla ministra Gelmini, sia dettata, in buona misura, dall'esperienza delle famiglie e delle persone.

Da ciò un giudizio complessivamente negativo nei confronti della riforma, ma anche verso l'azione della ministra. Rimandate entrambe, non bocciate senza appello. In altri termini: gran parte degli italiani è d'accordo sulla necessità di riformare la scuola.
Tuttavia, alla fine sul giudizio dei cittadini e degli utenti gli aspetti concreti pesano assai più di quelli simbolici. E il ritorno dei grembiulini e del voto in condotta non giustificano, agli occhi dei più, il taglio dei finanziamenti, il maestro unico, le classi "dedicate" per gli stranieri. C'è difficoltà a immaginare la possibilità di curare la scuola amputandone gli organi vitali. Riducendo ancora risorse ritenute oggi largamente inadeguate. Ciò spiega il consenso largamente maggioritario a sostegno delle proteste contro la riforma, che da qualche settimana agitano le scuole e affollano le piazze. Coinvolgendo, insieme, studenti, professori e genitori.

A differenza del mitico Sessantotto, evocato spesso, a sproposito, in questi giorni - per "colpa" dell'anniversario (40 anni) e per pigrizia analitica. In quel tempo gli studenti contestavano il passato che ingombrava, pesantemente, la società, la cultura, le istituzioni. Zavorrava le loro aspettative di vita e di lavoro. Per cui manifestavano e protestavano "contro" la società adulta. "Contro" i professori e i loro stessi genitori. Oggi, al contrario, il malessere degli studenti nasce dal furto del futuro, di cui sono vittime. La loro rivolta "generazionale" incrocia la protesta "professionale" dei professori e la solidarietà dei genitori, a cui li lega un rapporto di reciproca dipendenza, divenuto sempre più stretto, negli ultimi anni. Da ciò un problema rilevante per i giovani, i figli e gli studenti. Magari sconfiggeranno la Gelmini. Ma come riusciranno a "liberarsi" davvero con la complicità degli adulti, il permesso dei genitori, e il consenso dei professori?

(27 ottobre 2008)
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Ultima modifica di franz il 27/10/2008, 13:15, modificato 1 volta in totale.
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Re: Gelmini: protesta di pochi. Il mio modello è Obama

Messaggioda franz il 27/10/2008, 12:42

Sorpresa, la scuola pubblica
piace al 60% degli italiani


Francamente non capisco. Il 60% viene considerato positivo, tanto da essere una sorpresa.
Per me è un disastro. La scuola pubblica in un paese civile dovrebbe avere un gradimento molto superiore, prossimo al 90%.
Il gradimento del 60% andrebbe confrontato con analisi simili in altri paesi OECD e secondo me là troviamo gradimenti molto piu' alti.
E questo 60% basso per me è frutto di decenni e decenni di incuria, soprattutto nella prima repubblica, e dei falliti tentativi di riforma della seconda.

Ciao,
Franz
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Re: Gelmini: protesta di pochi. Il mio modello è Obama

Messaggioda franz il 27/10/2008, 15:11

franz ha scritto:
Sorpresa, la scuola pubblica
piace al 60% degli italiani


Francamente non capisco. Il 60% viene considerato positivo, tanto da essere una sorpresa.


:o :shock: ... certo che considerando che i nostri leader mandano i figli alla scuola privata ... forse anche solo il 60% è già un successo! :o :shock:

Scuola privata: quei compagni nelle aule più esclusive
Dagli scranni del Parlamento o dalle poltrone dei talk-show esaltano la scuola pubblica, la celebrano come unica fonte del sapere democratico e chiedono di tagliare (e tagliano) i finanziamenti statali alla scuola privata. Poi, però dove mandano i loro figli? Nelle più prestigiose scuole a pagamento, con rette non certo accessibili a tutti. Sono i politici del centrosinistra e vip di area, girotondini e imprenditori radical chic, che non si fermano di fronte alle file per poter accedere in questi istituti a cinque stelle.
Raccontano alcune madri del San Giuseppe De Merode, scuola privata, rigorosa, cattolica, che il ministro per i Beni culturali, Francesco Rutelli, ha fatto di tutto per inserire ad anno iniziato una delle figlie nelle splendide aule con vista su piazza di Spagna. Raccontano pure che una delle signore in questione, la cui erede non era stata accolta per numero chiuso (30 al massimo), non abbia affatto gradito di sentirsi scavalcata. E pare sia successo il putiferio.
Intanto, mentre l’ex sindaco di Roma insediava la giovane rampolla (il primogenito Giorgio ha studiato dai gesuiti), Antonio Tajani, la cui famiglia al San Giuseppe va da generazioni, dopo le scuole medie ha deciso di spostare il figlio per mandarlo in un liceo statale ai Parioli («Si trova benissimo» spiega l’europarlamentare di Forza Italia).
Rutelli non è il solo: Nanni Moretti, l’ultimo leader dei girotondini, dopo aver invitato Massimo D’Alema e gli altri compagni a dire «qualcosa di sinistra», ha iscritto il proprio bimbo in un’esclusiva scuola anglo-americana, l’Ambritt, frequentata solo da ricchi rampolli dell’alta borghesia. Idem per Claudio Velardi, ex golden boy del governo D’Alema: il figlio ha frequentato la scuola americana.

Marco Follini, neoresponsabile della comunicazione del Partito democratico, ha iscritto il proprio discendente, seguendo le procedure, nella scuola dei fratelli salesiani in pieno centro, a Roma. E al richiamo radical chic non ha saputo resistere nemmeno l’ex ds, ministro allo Sport, Giovanna Melandri. Per la sua progenie è stato ritenuto adeguato l’istituto San Giuseppe di via del Casaletto. Anche questo ambitissimo. Gestito da amorevoli suore.
Istruzione a pagamento anche per Anna Finocchiaro, ex ministro per le Pari opportunità, uno dei 45 membri del comitato nazionale per il Partito democratico: le due figlie vanno in un istituto a Catania.
Mettersi in fila, prego. L’attrazione della sinistra per la scuola privata non è roba di oggi: anche Piero Fassino ha studiato dai gesuiti. E chi avrebbe mai detto che un nonno di cognome Bertinotti andasse a prelevare i propri nipoti in uno degli istituti più chic di Roma, a gomito a gomito con la fondatrice del Manifesto, ex deputata e scrittrice di sinistra, Luciana Castellina?

Politici ma anche giornalisti, tutti attirati come calamite dagli istituti a cinque stelle. Qualche esempio? Michele Santoro ha optato per il francese Chateaubriand. Il giornalista di Anno zero è in ottima compagnia. È francese e privata la scuola scelta dalla giornalista del Tg3, Bianca Berlinguer, per la bambina avuta dal sociologo Luigi Manconi. Lo stesso vale per molti altri fanciulli con genitori dalle spiccate tendenze a sinistra: da quelli dell’imprenditore Alfio Marchini a quelli dell’ex direttore della Stampa Marcello Sorgi, fino a quelli dell’ex senatore ulivista Vittorio Cecchi Gori. Noblesse oblige.
http://blog.panorama.it/italia/2008/01/ ... esclusive/
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