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Vecchia Universita'

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Vecchia Universita'

Messaggioda pagheca il 30/09/2008, 9:34

Questo articolo di GA Stella non e' del tipo che a me piace. E' un invettiva a tema, con conclusioni preconfezionate, mentre sarebbe preferibile che l'articolista metta i fatti, e il lettore tragga le conclusioni, anche se capisco che questo modo di argomentare e' caratteristico del giornalismo italiano. Trovo inoltre alcune conclusioni un po' semplicistiche e unidirezionali, mentre il diavolo e' sempre nei dettagli. Ad esempio nel caso dei costi relativi alle universita' e alla qualita' della ricerca in Italia, che varia molto a seconda del campo e che e' il prodotto non solo delle Universita' ma anche degli Istituti di Ricerca (come CNR, ENEA, INAF, o INFN). Certo e' che la situazione delle universita' italiane e' sconcertante. Ho passato 20 anni all'Universita' la Sapienza prima di fare le valigie (anche a causa di questo), cambiando gruppo di tanto in tanto: in 3 casi la moglie o l'amante (in un caso una studentessa) avevano fatto una brillante carriera all'ombra del marito (ovvero firmando il 100% delle pubblicazioni del marito professore). In un altro caso l'unico concorso da ricercatore uscito in diversi anni e' stato vinto dal figlio di un noto docente molto influente e aggressivo. Non che non fosse bravo, ma c'era sicuramente chi era piu' bravo di lui (e poi non capisco perche' dov'e' la necessita' per una persona "brava" di fare un concorso nel dipartimento del padre). Comunque, una situazione del genere (amante ex-studentessa che fa improvvisa fulgida carriera) l'ho trovata sorprendentemente anche nell'universita' al top in Europa: Oxford. Ma a dire il vero si tratta di un unico caso.

L'articolo vale comunque una lettura e una visita in libreria per comprare il libro di Pedrotti.
Pagheca


da http://www.corriere.it/cultura/08_sette ... aabc.shtml.
INCHIESTA L’ECONOMISTA DELLA BOCCONI ANALIZZA UN SISTEMA DISASTROSO. E SPIEGA QUALI SONO I RIMEDI

La prof che non pubblicò una riga
Università malata. La denuncia di Roberto Perotti: clientelismo e sprechi

Il bello del calcio è che, qualche volta, può accadere l’impossibile: la Corea del Nord che batte l’Italia, l’Algeria che batte la Germania, Israele che batte la Russia. Il brutto dell’università italiana è che troppo spesso accade l’impossibile. Come all’Università di Bari, dove un concorso del 2002 dichiarò idonea alla cattedra l’aspirante docente Fabrizia Lapecorella, che aveva zero pubblicazioni nelle quattro categorie delle 160 riviste più importanti del mondo, zero nelle prime venti riviste italiane, zero in tutte le altre, zero libri firmati come autore, zero libri come curatrice, zero libri come collaboratrice. E ovviamente zero citazioni fatte dei suoi lavori: come potevano citarla altri studiosi, se non risulta aver mai scritto una riga? Eppure, battendo una concorrente che aveva un dottorato alla London School of Economics, 10 pubblicazioni e 31 citazioni sulle riviste nazionali e internazionali più importanti, vinse lei. Destinata a essere promossa poco più di tre anni dopo, dal terzo governo Berlusconi, direttore del Secit per diventare col secondo governo Prodi esperto del Servizio consultivo e ispettivo tributario e infine, di nuovo con Tremonti, direttore generale delle Finanze. Una carriera formidabile. Durante la quale, stando alla banca dati centrale di tutte le biblioteche italiane, non ha trovato il tempo per scrivere una riga. Sia chiaro: magari è un genio. E forse dovremo essere grati a chi l’ha scoperta nonostante difettasse di quei lavori che all’estero sono indispensabili per diventare ordinari.

Ma resta il tema: con quali criteri vengono distribuite le cattedre nella università italiana? Roberto Perotti, PhD in Economia al Mit di Boston, dieci anni di docenza alla Columbia University di New York dove ha la cattedra a vita, professore alla Bocconi, se lo chiede in un libro ustionante che non fa sconti fin dal titolo: L’università truccata. Gli scandali del malcostume accademico. Le ricette per rilanciare l’università (Einaudi). Un’analisi spietata. A partire, appunto, dal sistema di assegnazione delle cattedre. Dove i casi di persone benedette dalla nomina a «ordinario » con 12 «zero» su 12 in tutte le tabelle delle pubblicazioni e delle citazioni, a partire da quelle del «Social Science Citation Index», sono assai più frequenti di quanto si immagini, visto che Perotti ne ha scovati almeno cinque. Dove capita che il rettore di Modena Giancarlo Pellicani indica una gara vinta dal figlio Giovanni anche grazie alla scelta di non presentarsi di 26 associati su 26. Dove succede che il preside di Medicina a Roma, Luigi Frati, possa vincere la solitudine avendo al fianco come docenti la moglie Luciana, il figlio Giacomo, la figlia Paola. Un uomo tutto casa e facoltà. Che probabilmente diventerà rettore della Sapienza. Superato solo da certi colleghi baresi come i leggendari Giovanni Girone, Lanfranco Massari o Giovanni Tatarano, negli anni circondati da nugoli di figli, mogli, nipoti, generi... Il familismo è però solo una delle piaghe nelle quali il professore bocconiano (che ha l’onestà di toccare perfino il suo ateneo, rivelando che «l’ufficio relazioni esterne della Bocconi impiega circa 100 persone e ha un bilancio di 13 milioni di euro» che basterebbero ad assumere «i migliori docenti di economia degli Usa») affonda il bisturi. A parte quello che «il clientelismo e la corruzione esistono, ma sono tutto sommato circoscritti», Perotti fa a pezzi almeno altri tre miti. Uno è che «il vero problema dell’università italiana è la mancanza di fondi». Non è vero. Meglio: è vero che «le cifre assai citate della pubblicazione dell’Ocse "Education at a Glance" danno per il 2004 una spesa annuale in istruzione terziaria di 7.723 dollari per studente» appena superiore ad esempio a quella della Slovacchia o del Messico. Ma se si tiene conto che metà degli iscritti è fuori corso e si converte più correttamente «il numero di studenti iscritti nel numero di studenti equivalenti a tempo pieno», la spesa italiana per studente «diventa 16.027 dollari, la più alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia ». Quanto agli stipendi dei docenti, è verissimo che all’inizio sono pagati pochissimo, ma da quel momento un meccanismo perverso premia l’anzianità (mai il merito: l’anzianità) fino al punto che un professore con 25 anni di servizio da ordinario non solo prende quattro volte e mezzo un ricercatore neoassunto ma «può raggiungere uno stipendio superiore a quello del 95 percento dei professori ordinari americani (...) indipendentemente dalla produzione scientifica».


Altro mito: nonostante tutto, «l’università italiana è eroicamente all’avanguardia mondiale della ricerca in molti settori».Magari! Spiega Perotti che in realtà, al di là della propaganda autoconsolatoria, fra i primi 500 atenei del mondo, secondo la classifica stilata dall’università cinese Jiao Tong di Shanghai, quelli italiani sono 20 e «la prima (la Statale di Milano) è 136ª, dietro istituzioni quali l’Università delle Hawaii a Manoa ». Certo, sia questa sia la classifica del Times (dove la prima è Bologna al 173˚posto) sono fortemente influenzate dalle dimensioni dell’ateneo. Infatti nella «hit parade» pro capite della Jiao Tong 2008 possiamo trovare al 19˚posto la Normale di Pisa. Ma a quel punto le grandi università italiane slittano ancora più indietro: la Statale milanese al 211˚,Bologna al 351˚,la Sapienza addirittura a un traumatico 401˚posto. Da incubo. Quanto al quarto mito, quello secondo cui «l’università gratuita è una irrinunciabile conquista di civiltà, perché promuove l’equità e la mobilità sociale consentendo a tutti l’accesso all’istruzione terziaria», l’economista lo smonta pezzo per pezzo. I dati Bankitalia mostrano che nel Sud (dove il fenomeno è più vistoso) dal 20% più ricco della società viene il 28% degli studenti e dal 20% più povero soltanto il 4%. Un settimo. In America, dove l’università si paga, i poveri che frequentano sono il triplo: 13%. Come mai? Perché al di là della demagogia, spiega l’autore, l’università italiana è «un Robin Hood a rovescio, in cui le tasse di tutti, inclusi i meno abbienti, finanziano gli studi gratuiti dei più ricchi ». Rimedi? «Basta introdurre il principio che l’investimento in capitale umano, come tutti gli investimenti, va pagato; chi non può permetterselo, beneficia di un sistema di borse di studio e prestiti finanziato esattamente da coloro che possono permetterselo». Non sarebbe difficile. Come non sarebbe difficile introdurre dei sistemi in base ai quali il rettore che «fa assumere la nuora incapace subisca su se stesso le conseguenze negative di questa azione e chi fa assumere il futuro premio Nobel benefici delle conseguenze positive». Tutte cose di buon senso. Ma che presuppongono una scelta: puntare sul merito. Accettando «che un giovane fisico di 25 anni che promette di vincere il premio Nobel venga pagato tre volte di più dell’ordinario a fine carriera che non ha mai scritto una riga». Ma quanti sono disposti davvero a giocarsela?
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Re: Vecchia Universita'

Messaggioda trilogy il 30/09/2008, 11:00

Il Rapporto "università in cifre 2007" interessante per avere una panoramica.
ciao
trilogy

http://www.pubblica.istruzione.it/news/ ... nitiva.pdf
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Re: Vecchia Universita'

Messaggioda pagheca il 05/10/2008, 11:10

Un amico con esperienza nel settore della ricerca in quanto occupa una posizione di alto livello in una grande organizzazione scientifica europea, ha scritto una breve recensione su questo libro di Perotti oggetto di questo forum che trovo molto interessantee perche' mette in luce una serie di luoghi comuni sull'universita' italiana.

Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione sugli argomenti segnalati, e aprire una discussione su come andrebbe realmente riformata la ricerca in Italia e il meccanismo di reclutamento, che secondo me e' alla base dell'attuale declino.

saluti
pagheca

da http://thalatta.org/ALPrambling/?p=12:

Ho letto. I. Roberto Perotti, L’università truccata
Roberto Perotti, “L’università truccata”, Einaudi 2008

recensione di Alfredo Li Pira (pseudonimo)

Un libretto breve ed agile, anche se scritto male (ma perché le case editrici italiane non hanno gli “editors”?), che fa il punto sull’Università italiana, proponendo come via d’uscita dal pantano in cui la stessa cerca di navigare, le stesse ricette di cui discutiamo con gli amici ricercatori emigrati da anni: ovvero abolizione del valore legale del titolo di studio, abolizione del concorso, abolizione della gratuità dell’istruzione universitaria (compensata da un vero sistema di borse), ed un sistema in cui le risorse seguano la qualità. Una ricetta tutto sommato “banale”, nel senso che la si può riassumere nell’anglosassonizzazione dell’università, poco più che l’applicazione del sistema UK/USA all’Italia. Una parte consistente del libro consiste nell’analizzare e smontare una serie di miti su cui riposa la retorica nazionale (soprattutto quella di sinistra), miti con cui viene pervicacemente difeso il sistema attuale: ad esempio che il problema dell’università italiana è la cronica mancanza di fondi (falso, la spesa per studente in corso è la quarta nel mondo, equivalente a quella svedese e circa il 50% più di quella francese), che i docenti italiani sono pagati malissimo (falso, sono pagati malissimo i ricercatori di prima nomina, ma la progressione salariale automatica li rende presto meglio pagati dei loro equivalenti inglesi), che nonostante la povertà l’università italiana produca consistentemente ricerca di eccellente livello (falso, sia usando indicatori bibliografici che altri approcci le università italiane sono consistentemente in fondo alle classifiche). Ma questi miti sono pervicacemente propagati da tutti i ministri, destri e sinistri, che li usano come ottime scuse per non attaccare i problemi di fondo del sistema e fare invece una riforma inutile dopo l’altra, cambiando il sistema dei concorsi ogni tre anni. Il libro ha anche alcuni elementi ameni, come quando ricostruisce con minuzia la ragnatela di parentele che lega fra loro i docenti di alcune università (l’ateneo di Bari è preso ad esempio) dove sembra sia pratica consolidata l’assunzione di figli, coniugi, nipoti e parenti vari.

Tutto sommato interessante in quanto permette di discutere con un po’ più di numeri alla mano. Deprimente in quanto è perfettamente chiaro che nessuno avrà mai il coraggio di affrontare il problema alla radice.
pagheca
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Re: Vecchia Universita'

Messaggioda franz il 05/10/2008, 12:15

pagheca ha scritto: ... Ma questi miti sono pervicacemente propagati da tutti i ministri, destri e sinistri, che li usano come ottime scuse per non attaccare i problemi di fondo del sistema e fare invece una riforma inutile dopo l’altra, cambiando il sistema dei concorsi ogni tre anni.
...
Tutto sommato interessante in quanto permette di discutere con un po’ più di numeri alla mano. Deprimente in quanto è perfettamente chiaro che nessuno avrà mai il coraggio di affrontare il problema alla radice.

Appunto. Torniamo sempre allo stesso punto. Non solo i problemi ma la percezione che abbiamo di essi.
E nella percezione giocano moltissimo i "miti" raccontati per anni e che sono stati propoagandati da tutti, sx e dx, in un gioco delle parti a somma zero che lascia tutto come prima.
Come uscire dal gioco, come sfatare i miti che abbiamo sapientemente costuito?
Con che credibilità lo facciamo, come saremo creduti?

Ciao,
Franz
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