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Il caso ILVA di Taranto

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda franz il 29/07/2012, 12:03

flaviomob ha scritto:Immagino che i siti siderurgici presenti nel resto d'Europa rispettino le regole ambientali... per cui ... credo che sia scorretto ammettere, per interessi economici o sociopolitici, un impianto fuori norma che produce e che è in grado di fare concorrenza sleale (perché spende meno per rimediare ai danni ambientali) agli altoforni presenti negli altri paesi europei.

Premesso che non basta immaginare (e vorrei saperlo anche io, concretamente, come vanno le cose nelle altre acciaierie d'europa) hai perfettamente ragione.
Che si chiuda la ILVA di Taranto, e chi se ne importa dei lavoratori. Anzi andava chiusa decenni fa quandi inquinava 90 volte di piu' di adesso.. Non andava nemmeno privatizzata, andava chiusa.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda flaviomob il 30/07/2012, 1:53

Un'altra opinione interessante

http://uninomade.org/ilva-di-taranto-la ... lla-paura/

...
Oggi Ilva produce disastro e paura; la paura è anzi il principale prodotto della fabbrica, quello necessario ad assicurare la governance del potere. Impongono lavoro e morte insieme, come unica alternativa all’incertezza e alla povertà. Ma sono corni falsi del dilemma, l’uno e l’altro. Se ne convincano Vendola e Landini; soprattutto se ne convincano i protagonisti reali, i lavoratori dell’Ilva e la popolazione vittima inerme di questi fuorilegge. Non va chiuso solo il famigerato camino E 312; deve essere chiusa ed eliminata la fabbricazione di paura.


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Pietro Ichino sull'ILVA di Taranto

Messaggioda franz il 30/07/2012, 8:22

LLVA DI TARANTO: LE ANOMALIE DI UNA CRISI

IL SEQUESTRO DELLO STABILIMENTO SIDERURGICO PUGLIESE È L’ENNESIMO CASO DI SUPPLENZA DEL GIUDICE PENALE RISPETTO A DIFETTI DELLE AMMINISTRAZIONI – LA CONCILIAZIONE TRA GLI INTERESSI AMBIENTALI ED ECONOMICI IN GIOCO DEVE ESSERE PERSEGUITA CON L’ALLINEAMENTO GRADUALE RISPETTO AI MIGLIORI STANDARD EUROPEI

Intervista a cura di Luciano Pignataro, pubblicata dal quotidiano Il Mattino il 28 luglio 2012

Professor Ichino, la vicenda dell’Ilva di Taranto riporta la mente alle grandi mobilitazioni degli anni ’70 e ’80 al Sud contro i primi segnali di deindustrializzazione. Quali sono secondo lei le differenze?
La deindustrializzazione incipiente di quegli anni era un fenomeno di dimensioni mondiali. Il problema dell’Ilva di Taranto, oggi, è invece un problema tipicamente italiano.

In che senso?
Qui oggi abbiamo un intervento giudiziale, di portata drammatica per una grande azienda e per la vita di decine di migliaia di persone, motivato da un danno ambientale che è sotto gli occhi di tutti e che, in un Paese civile, avrebbe dovuto essere oggetto di controllo in sede amministrativa molto prima che intervenisse un giudice penale.

Ma la Regione ha stipulato un accordo con l’impresa su questa materia.
Più d’uno, se è per questo. Senza però esercitare in modo rigoroso i propri poteri di controllo circa l’adempimento di quanto dovuto e di quanto concordato. Il problema è sempre quello: in Italia il ruolo dei giudici si dilata innaturalmente perché essi svolgono una funzione vicaria rispetto ad amministrazioni che funzionano poco e male. Anche questo intervento dei giudici, suscita qualche interrogativo.

Per quale aspetto?
Dal punto di vista delle emissioni nocive, la situazione dell’Ilva è oggi molto migliore rispetto a dieci e ancor più rispetto a venti anni fa. Se il reato c’è oggi, lo stesso reato c’era anche in tutti gli anni passati, e in misura più grave. Per spiegare un insieme di provvedimenti giudiziali così gravi e improvvisi, occorre pensare che i giudici abbiano scoperto qualche cosa di più: per esempio frode e corruzione.

Qui comunque l’alternativa di fondo è tra lavoro e salute. Cosa bisogna scegliere in questi casi?

Anche al netto della frode e della corruzione, l’impatto di un grande stabilimento siderurgico sulla salubrità di qualsiasi territorio non è mai positivo. Il problema è stabilire il grado di sacrificio della salubrità della zona che siamo disposti a sopportare, pur di avere il lavoro e il benessere.

E come si stabilisce, secondo lei il grado di sacrificio accettabile?
L’unico vantaggio che abbiamo per il fatto di essere un Paese un po’ più arretrato rispetto ai nostri partner europei sta nella possibilità di fare riferimento a quel che fanno loro. La cosa più sensata che possiamo fare è proporci di allineare l’impatto ambientale di uno stabilimento come l’Ilva a quello di stabilimenti analoghi in Germania o in Svezia.

E se il gap rispetto a quei Paesi è troppo grande per essere superato dall’oggi al domani?
Dobbiamo imporci un superamento graduale, ma il più possibile accelerato, di quel gap. Questo, però, è cosa di competenza di una amministrazione regionale o statale, non di un giudice penale.

Il tema della salute e dell’ambiente non dovrebbe essere il primo impegno di un sindacato?
Sulla protezione della salute non si possono accettare compromessi: ce lo vieta, oltretutto, il diritto europeo. Sulla protezione dell’ambiente, invece, qualche compromesso è inevitabile, a tutte le latitudini e longitudini. Nessuno stabilimento siderurgico può avere un impatto ambientale nullo. Ma il bilanciamento tra interessi economico ed ecologico non può essere affidato al giudice: questo è compito del governo centrale e locale.

Ieri l’Unità ha proposto un parallelo tra la scelta che devono affrontare oggi i lavoratori dell’Ilva di Taranto con quella che due anni fa hanno dovuto affrontare i lavoratori della Fiat di Pomigliano.
Non scherziamo. Dal punto di vista della protezione della salute e sicurezza delle persone, il nuovo stabilimento di Pomigliano costituisce un’eccellenza assoluta, a livello mondiale. Lì il referendum riguardava soltanto alcune marginali modifiche della disciplina contenuta nel contratto collettivo nazionale in materia di orario, di pause e di trattamento di malattia. Credo che tutti in Puglia oggi, compreso Niki Vendola, sarebbero felici se potessero sostituire lo stabilimento dell’Ilva con dieci stabilimenti come quello di Pomigliano!
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda pianogrande il 30/07/2012, 17:21

Sono d'accordo.
Quando arriva la magistratura è perché la classe dirigente non ha funzionato.
Metto nello stesso calderone l'imprenditoria, la politica, i sindacati.

Adesso, tutto questo disastro è colpa della magistratura.
I giudici non possono che fare i giudici.
Non è loro compito mediare né concordare né programmare il rientro dei parametri.
Era ed è di chi finora ha fatto troppo poco.

Questo discorso assomiglia molto a quello letto da un'altra parte del forum.
L'Italia vuole deroghe e poi rinvii e poi sanatorie e poi trattative e poi condoni e poi ........

Non è la magistratura che deve risolvere il problema.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda trilogy il 30/07/2012, 17:27

franz ha scritto:LLVA DI TARANTO: LE ANOMALIE DI UNA CRISI

.....
E se il gap rispetto a quei Paesi è troppo grande per essere superato dall’oggi al domani?
Dobbiamo imporci un superamento graduale, ma il più possibile accelerato, di quel gap. Questo, però, è cosa di competenza di una amministrazione regionale o statale, non di un giudice penale.

Il tema della salute e dell’ambiente non dovrebbe essere il primo impegno di un sindacato?
Sulla protezione della salute non si possono accettare compromessi: ce lo vieta, oltretutto, il diritto europeo. Sulla protezione dell’ambiente, invece, qualche compromesso è inevitabile, a tutte le latitudini e longitudini. Nessuno stabilimento siderurgico può avere un impatto ambientale nullo. Ma il bilanciamento tra interessi economico ed ecologico non può essere affidato al giudice: questo è compito del governo centrale e locale.
...


Ichino dice cose corrette. Come sempre in Italia, ogni problema viene lasciato marcire per anni, poi tutto finisce sul tavolo del giudice. E comunque si concluda questa vicenda ci sono state e ci saranno conseguenze per la salute, per l'ambiente e per i lavoratori che potevano essere mitigate e in parte evitate con un intervento tempestivo.

Se si guarda alla relazione dei tecnici si legge:

[..]Scontando una possibile maggiore fragilità della popolazione dei due quartieri per effetto delle condizioni socio-economiche e lavorative e il contributo di inquinanti da altre sorgenti estranee all’area industriale i decessi attribuibili diventano circa 40 (1,2% dei decessi totali 9 decessi per centomila persone anno) [..]
(pagina 214 della relazione dei periti)

http://download.repubblica.it/pdf/repub ... usioni.pdf

In pratica hanno fatto un lavoro statistico cercando mortalità in eccesso, per patologie che possono essere ricondotte agli inquinanti emessi dalla fabbrica. Per fare questo lavoro di confronto hanno dovuto scontare (tenere conto) delle condizioni socio economiche e degli altri agenti inquinanti. In altre parole se si confrontano i tassi di mortalità in un quartiere povero e uno ricco ho dei tassi differenti, e di questo devo tenere conto in un'analisi del genere. In pratica bassi redditi aumentano la mortalità anche dove non ci sono acciaierie.

L'assurdità che potrebbe emergere da questo caso è che chiudendo l'Ilva il reddito di tutta Taranto si riduce. Dato che l'eccesso di mortalità attribuita all'Ilva ha una evidenza statistica essenzialmente in due quartieri, mentre l'effetto sulle condizioni socio-economiche colpirebbe l'intera città, con effetti anche a livello provinciale e regionale. Cambiando il campione di riferimento potremmo attenderci, dopo la chiusura dell'ilva un aumento complessivo della mortalità nella città e dintorni dovuto ad un peggioramento delle condizioni socio-economiche.
Un tragico capolavoro della burocrazia italiana.
Ultima modifica di trilogy il 30/07/2012, 17:32, modificato 1 volta in totale.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda pianogrande il 30/07/2012, 17:31

Dilemma.
Morire di inquinamento o morire di miseria?
Ma in che minchia di paese viviamo?
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda franz il 30/07/2012, 18:12

pianogrande ha scritto:Dilemma.
Morire di inquinamento o morire di miseria?
Ma in che minchia di paese viviamo?

Un paese in cui "illuminati pianificatori" (in realtà delinquenti o come minimo incapaci) hanno consentito, tramite piani regolatori approvati a vari livelli di potere pubblico che le case fossero costruite a ridosso di un'acciaieria ... o che un'acciaieria fosse costruita a ridosso delle case. Questo per dirne una. Potremmo dirne un'altra considerando che la Ruhr, un tempo inquinatissima per la produzione di acciaio (legata alla presenza di miniere di ferro e carbone) oggi è bonificata ed è una delle zone piu' ricche e popolose della germania. Destino diverso da quello di Taranto, anche se il destino c'entra poco.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda ranvit il 30/07/2012, 18:19

Ma Vendola....che dice?
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda trilogy il 30/07/2012, 20:58

ranvit ha scritto:Ma Vendola....che dice?



Roma, 30 lug.(Adnkronos) - "L'Ilva deve rispondere della necessita' di rimuovere le cause che determinano lesioni gravi al diritto della vita. Finora il diritto ambientale non ha mai avuto la rilevanza giusta, ma ora tutti devono lavorare per rendere compatibile l'industria con la salute." Lo ha dichiarato al Tg3 il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, in merito alla vicenda dell'Ilva.


Belle parole, fatti concreti sempre in ritardo. Se il magistrato decide di spegnere l'impianto quello non riparte più.
Ci vogliono 8-12 mesi per spegnerlo e altrettanti per farlo ripartire. A quel punto dopo due anni di chiusura le sue quote di mercato sarebbero acquisite da altre imprese e il rientro sul mercato difficilissimo.
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Re: Il caso ILVA di Taranto

Messaggioda franz il 30/07/2012, 22:37

trilogy ha scritto:Belle parole, fatti concreti sempre in ritardo. Se il magistrato decide di spegnere l'impianto quello non riparte più.
Ci vogliono 8-12 mesi per spegnerlo e altrettanti per farlo ripartire. A quel punto dopo due anni di chiusura le sue quote di mercato sarebbero acquisite da altre imprese e il rientro sul mercato difficilissimo.

No, quest'ultima affermazione ritengo che non sia giusta. Il mercato è molto dinamico, anche se in fase calante. Si contratta giorno per giorno, non sulla base di contratti annuali. Quello spegnimento alzerà i prezzi e quando (e se) ripartirà farà riabbassare i prezzi. In un attimo tutti vorranno quell'acciaio.
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