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Università, quei 600 mila fuori corso

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Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda franz il 15/07/2012, 11:04

ne avevamo già parlato a lungo, ai tempi delle polemiche sugli "sfigati" che si laureano dopo i 28 anni.
Ora qualche nuovo dato.


Sono oltre il 33% degli iscritti. Il rettore della Sapienza: li aiutiamo con il part time
Università, quei 600 mila fuori corso
Il ministro Profumo: sono troppi, più tasse

Il titolare dell'Istruzione: manca il rispetto delle regole e dei tempi

ROMA - «I fuori corso all'università esistono solo da noi», per questo «bisogna cambiare rotta». Il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo mette il dito nella piaga, a suo parere tutta italiana, dei quasi 600mila studenti che non hanno completato il ciclo di studi nei tempi previsti dall'ordinamento universitario, il 33,59% del milione e 782 mila iscritti all'anno accademico 2010/2011. E lo fa senza mezzi termini, sollevando quello che ritiene «un problema culturale»: «All'Italia manca il rispetto delle regole e dei tempi. Credo che la scuola sul rispetto delle regole debba dare un segnale forte» perché «gli studenti fuori corso hanno un costo, anche in termini sociali», incalza Profumo.

Tanto è vero che uno dei provvedimenti inseriti all'interno della spending review sembra puntare proprio all'aumento delle tasse per quegli studenti che trascorrono all'università molti più anni del necessario. Ogni università attualmente non può ottenere come finanziamento dalle tasse universitarie più del 20% di quanto riceve dal ministero dell'Istruzione attraverso il fondo di funzionamento ordinario. Con il nuovo decreto nel computo di questo 20% non verrà considerata la quota delle tasse che deriva dagli studenti fuori corso ed extracomunitari. Di fatto, gli atenei potrebbero decidere di alzare le tasse a questi studenti.

«Questo farà in modo che imparino a non perdere tempo», sottolinea il ministro, che però ci tiene a precisare: «Non puniamo nessuno, il 20% va depurato solo perché nel tempo sono cambiate le condizioni». Però, di fatto, pagare di più spinge gli studenti a «sbrigarsi»? «Non credo. Penso che piuttosto bisogna valorizzare le capacità delle persone, orientandoli in maniera mirata, come stiamo facendo con il portale www.universitaly.it». Un'altra strada suggerita dal ministro è valorizzare il regime «part-time», ovvero una formula che permette di diluire i tempi di studio, senza risultare fuori corso, pensata proprio per studenti lavoratori. «Alla Sapienza di Roma è obbligatorio dopo tre anni di fuori corso - spiega Luigi Frati, rettore dell'università più grande d'Europa, con i suoi 130mila studenti - è uno dei modi per facilitarli nel raggiungimento della laurea». Per Frati, i 162mila studenti che in Italia si sono laureati fuori corso (su 289mila totali, dati Miur 2010) non sono «bamboccioni, ma solo giovani in difficoltà» che andavano aiutati con misure concrete: come Telmasapienza, l'unica università telematica pubblica messa su dalla Sapienza per aiutare gli studenti fuori regione. Eppure la Sapienza ha comunque 40mila studenti fuori corso, non roba da poco.

La Luiss, l'ateneo di Confindustria, ha invece poche decine di fuori corso e un tasso di abbandono dopo il primo anno dello 0%, rispetto al 17% nazionale. E gli studenti si laureano in 5 anni e tre mesi in media (per la laurea specialistica o di vecchio ordinamento), contro una media italiana di 8. Tutto merito di quegli 8mila euro all'anno da pagare? «I soldi possono essere un deterrente, ma il vero problema è che gli studenti vanno seguiti», sostiene il direttore generale Pierluigi Celli. «Se uno studente da noi non dà esami per due semestri consecutivi, cerchiamo di capire quali sono i suoi problemi, lo facciamo seguire da un tutor. E se continua a non produrre risultati, lo faccio studiare nel mio studio», conclude con una battuta. Una situazione ovattata rispetto allo «studente che si ritrova in atenei strapieni, con una spersonalizzazione totale della didattica, costi altissimi, soprattutto fuori sede» sottolinea Giuseppe Failla, del Forum nazionale dei giovani. E come conferma Anna Buonanno, studentessa di Giurisprudenza all'università di Salerno, che con i suoi quasi vent'anni di iscrizione e perseveranza potrebbe essere considerata un modello: «Mi manca un ultimo esame e spero di dare la tesi entro l'anno. Sono una studentessa lavoratrice, è vero, e questo mi ha creato dei ritardi. Ma l'atteggiamento autoritario dei professori, le corsie preferenziali, la distanza dall'apparato, possono creare grossi problemi agli studenti. Comunque io alla laurea ci arriverò, questo è certo. E mi iscriverò anche all'Albo degli avvocati». Con buona pace di Profumo, che a un figlio fuori corso direbbe: «Il tempo nel raggiungimento degli obiettivi è fondamentale».

Valentina Santarpia 15 luglio 2012 | 8:41 www.corriere.it
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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda lucameni il 15/07/2012, 11:45

Appunto ma sono dati nudi e crudi che hanno poco senso se non si conosce come funziona l'Università italiana che per anni, almeno in molte sedi, ha fatto una selezione basata sulla quantità dei testi di studio. Ad esempio. Esamifici senza qualità e basato sul 'ndo cojo cojo, almeno nelle facoltà professionali ed affollate. Come perfetto contrappasso agli esamucoli anni '70, che però spesso sono presi ad esempio, non volendo pensare che le cose poi si sono ribaltate magari con professori e commentatori che in Università, da studenti, hanno fatto la bella vita e ora fanno la morale facendo finta che gli anni '90 e '00 siano tali e quali al post-sessantotto.
Poi dipende dalle facoltà, dalla presenza dei prof, mai seriamente monitorati, dal fatto che ci siano o meno studenti lavoratori, dal fatto che uno scelga deliberatamente di non studiare oppure che non sia in grado di farlo.
Ci sono innumerevoli variabili che proprio il menefreghismo organizzativo e didattico ha amplificato.
Le variabili in un'Università italiana che è stata anni aliena da criteri di logica organizzativa sono tali che affidarsi, appunto dopo anni di questo andazzo, a numeri puri e crudi senza aggiungere altri dati poi si torna alla faccenda degli sfigati; anche se Profumo può dirlo con maggiore cortesia rispetto il tizio paraculato che lo ha preceduto.
Anche questo mi conferma nella mia idea: spesso chi parla è un "teorico" , forse perchè così i problemi non appaiono più tali, non si toccano ambiti complicati e si svolge il mestiere di "tecnico" senza mettersi troppo in gioco e senza rompere troppo le palle a ceti più privilegiati ma pure con alle spalle qualche marachella.
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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda franz il 15/07/2012, 11:55

Non dovrebbero esistere studenti lavoratori.
Nel senso che nessuno studente dovrebbe essere obbligato a lavorare per pagarsi gli studi.
Un sussidio di studio che copra affitto, vitto, libri e che duri esattamente quanto serve per finire il corso.
Solo veramente a chi dimosta, ad un'analisi severa e minuziosa, di non avere entrate integrative dalla famiglia (analisi estesa alla famiglia, nel caso).
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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda annalu il 16/07/2012, 15:44

franz ha scritto:Non dovrebbero esistere studenti lavoratori.
Nel senso che nessuno studente dovrebbe essere obbligato a lavorare per pagarsi gli studi.

Anche questo è un discorso teorico.
Gli studenti lavoratori non sono solo ragazzi i cui genitori non hanno le risorse per mantenerli agli studi. Ci sono anche giovanotti cresciutelli, magari con già una famiglia loro e che lavorano per mantenersi e mantenerla. Giovani che hanno interrotto gli studi per i motivi più vari e che in un secondo tempo decidono di riprenderli, se viene loro offerta la possibilità.
Mi sembrerebbe grave che l'Università italiana, dopo decenni di lassismo totale, ora rendesse impossibile a questa categoria di persone di riprendere gli studi e laurearsi, se lo meritano. Basterebbe semplicemente che potessero iscriversi ad un percorso particolare previsto sin dall'inizio, di lunghezza maggiore del curriculum normale (che so, otto anni per una laurea quinquennale per esempio), e organizzato in modo che lo studente possa seguire i corsi secondo un criterio logico ed abbia dei tempi prefissati per il superamento degli esami.
Per alcuni anni alla Sapienza di Roma c'erano dei corsi serali cui potevano iscriversi gli studenti che presentavano un certificato di lavoro, e soprattutto, un turno delle esercitazioni pratiche obbligatorie era tenuto in orari serali o preserali (dopo le 17), per consentire a chi lavorava di frequentare.
Se si vuole creare una struttura che funzioni, i modi per superare gli ostacoli senza penalizzare i più deboli è sempre possibile. Ma bisogna volerlo, e questo purtroppo non sempre si verifica.
Comunque, a parte questo specifico caso degli studenti lavoratori, il fuori-corso abituale è uno scandalo, che non solo costa in soldi alle università e allo stato, ma diseduca i giovani all'impegno ed al rispetto delle regole.
Quindi in linea di principio mi sembra giusto che i fuori-corso (senza giustificato motivo: esiste anche che si ammala seriamente e deve sospendere gli studi per un periodo) vengano in qualche modo penalizzati.

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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda ranvit il 16/07/2012, 15:52

Comunque, a parte questo specifico caso degli studenti lavoratori, il fuori-corso abituale è uno scandalo, che non solo costa in soldi alle università e allo stato, ma diseduca i giovani all'impegno ed al rispetto delle regole.
Quindi in linea di principio mi sembra giusto che i fuori-corso (senza giustificato motivo: esiste anche che si ammala seriamente e deve sospendere gli studi per un periodo) vengano in qualche modo penalizzati.



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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda franz il 16/07/2012, 18:26

annalu ha scritto:Giovani che hanno interrotto gli studi per i motivi più vari e che in un secondo tempo decidono di riprenderli, se viene loro offerta la possibilità.

Anche per loro meglio una borsa di studio (+ un reddito minimo famiiare) per laurearsi nel minimo tempo possibile che un aiuto che dilati il tempo di laurea, spostando in là l'inizio di una nuova attività lavorativa da laureato con maggior reddito.
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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda flaviomob il 20/07/2012, 14:06

Io credo che a fronte di un percorso formativo serio, di qualità e selettivo, non sia sbagliato consentire tempi più lunghi di accesso all'università rispetto a quanto programmato, però a condizioni chiare.
Personalmente sono anche contro il numero chiuso: per laurearmi educatore professionale ho dovuto affrontare assurdi test di CHIMICA FISICA MATEMATICA e BIOLOGIA (mi ricordo ancora una domanda sul Coguaro...) solo perché il corso rientrava tra le professioni sanitarie, sotto Medicina. Tra parentesi, un mio compagno di corso ammise bellamente di averlo superato copiando spudoratamente... :lol: E ora è un ottimo educatore.

Per i fuori corso: chi si trova semplicemente in ritardo con gli esami di fatto non frequenta i corsi e non rappresenta un costo aggiuntivo (non necessita di nuove aule ne' di ulteriori docenti). Dove vi sono validi motivi (es. studente lavoratore) si può mantenere l'attuale sistema (ripeto: in assenza di costi aggiuntivi). Dove invece ciò dipende da scarso impegno, è giusto aumentare di molto la quota di iscrizione in modo da garantire anche un recupero dei bilanci dell'ente.

Per quanto riguarda il numero chiuso, intanto i test vanno migliorati ed adeguati; poi bisognerebbe prevedere, per chi non ce la fa, la possibiltà di accedere comunque ai corsi pagando una retta molto alta. Se si superano, poniamo, l'80% degli esami del primo anno entro i primi due semestri, l'ammissione al corso diventa definitiva e quanto versato in più dallo studente viene scalato dalle rate di iscrizione agli anni successivi. Se invece il reprobo non si impegna e non passa... perde tutto e si cerca qualcosa di meglio da fare... Almeno si risanano un po' i bilanci... ;)


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Re: Università, quei 600 mila fuori corso

Messaggioda lucameni il 20/07/2012, 15:55

Bè io sono iscritto alla facoltà di Scienze Politiche a Firenze, per prendere una seconda laurea. Ovviamente visto il mio status di 40enne sono studente - lavoratore, che studia sia per interesse personale (devo dire che per ora mi sono capitati per lo più esami interessanti e molto formativi) sia per rimpolpare il curriculum.
Come me, seppur minoranza tra tanti giovincelli, ci sono altri che magari potrebbero fruire del cosidetto piano di studi part-time.
Questo per dire che la realtà universitaria è quanto mai variegata. E che negli anni, anche con la testimonianza di coloro che hanno frequentato tra gli anni '60 e gli anni 2000, le cose si sono evolute e involute in maniera ciclica, portandosi dietro diverse politiche di selezione, spesso cervellotiche, a volte incomprensibili, a volte fin troppo comprensibili.
Per non parlare delle differenze spesso abissali tra sede e sede universitaria, tra facoltà e facoltà in termini di difficoltà, di quantità di studio, di selezioni più o meno accurate, di rapporto con i docenti.
In questi anni di frequentazione, prima a Legge e poi a Sc. Pol. (affrontata con tutta calma ma pure con un certo esborso di denaro), mi sono più che mai balzati agli occhi moltissime incongruenze, assurdità, disorganizzazioni, e via e via che non sono mai state prese in esame dai vari editorialisti, commentatori. E - purtroppo - pure dai ministri o presunti esperti.
Quindi mi dà un certo fastidio che se ne parli così per discorsi fumosi, appunto tipo quello del ministro, mentre la realtà è parecchio complicata e molto meno manichea di quello che vogliano far apparire i soloni di turno.
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